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Giurisprudenza

Società di fatto: la prova dell’esistenza secondo la Cassazione

15 Febbraio 2023

Cassazione Civile, Sez. I, 13 febbraio 2023, n. 4385 – Pres. Nazzicone, Rel. Campese

Con ordinanza n.4385 del 13 febbraio 2023, la Corte di Cassazione si è espresse sulla prova dell’esistenza della società di fatto.

L’esistenza di una società di fatto rappresenta una figura giuridica che può sorgere in mancanza di un contratto scritto, ma sulla base di un accordo tra i soci finalizzato all’esercizio in comune di un’attività economica.

La prova dell’esistenza di una società di fatto può essere dimostrata anche con prove orali o presunzioni, in virtù dell’art. 2297 del Codice Civile, che stabilisce che la società di fatto può essere provata con ogni mezzo, anche presuntivo.

La mancanza di un contratto scritto non impedisce dunque al giudice di ritenere l’esistenza di una società di fatto. La prova dell’esistenza di una società di fatto deve essere fornita sulla base di una rigorosa valutazione delle circostanze, volte a dimostrare l’esercizio in comune di un’attività economica, la ripartizione dei guadagni e delle perdite, l’esistenza di un fondo comune e il vincolo di collaborazione tra i soci.

Il giudice deve verificare se sussiste un elemento soggettivo, l’affectio societatis, ovvero la volontà dei soci di collaborare per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Inoltre, il giudice deve accertare se esistono elementi oggettivi, come la partecipazione alla gestione dell’attività economica e la condivisione dei profitti e delle perdite.

La società di fatto può essere rilevante anche nei rapporti con terzi. Infatti, l’opinione che un’attività economica sia svolta in forma societaria può essere generata non solo dalla presenza di un contratto scritto, ma anche dalle modalità con cui l’attività stessa viene svolta. In altre parole, la società di fatto può essere ritenuta esistente anche se non esiste alcun accordo tra i soci, ma solo in presenza di un comportamento comune che induce i terzi a ritenere che essi agiscano come soci.

In tale ipotesi, soccorre la tutela della buona fede dei terzi, per il principio dell’apparenza del diritto, in virtù del quale, nonostante l’inesistenza dell’ente, coloro che si comportino esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse.

In particolare, con la sentenza n. 8981 del 2016, è stato precisato che per far sorgere la responsabilità solidale dei soci ai sensi dell’art. 2297 cod. civ., non è necessario che il contratto sociale sia stato formalmente redatto e sottoscritto. È sufficiente che uno o più soci abbiano esteriorizzato la volontà di costituire una società e che la loro condotta complessiva abbia generato un ragionevole affidamento da parte degli esterni circa l’esistenza della stessa.

Un risalente, ma non per questo meno autorevole, pronuncia di legittimità (Cass. n. 7119 del 1982), poi, ha chiarito la natura dei fatti e delle prove che, in tali accertamenti, si rivelano particolarmente utili, in particolare, la sussistenza del contratto sociale può essere dimostrata non solo da prove dirette riguardanti i requisiti del contratto, ma anche da manifestazioni esteriori dell’attività del gruppo, se sintomatiche e concludenti.

Un esempio possono essere i finanziamenti e le fideiussioni in favore dell’imprenditore, che se appaiono giustificabili in relazione a vincoli di coniugio o parentela, possono, invece, costituire indizi rivelatori del rapporto sociale fra l’imprenditore e il finanziatore o garante, se sono ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa.


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