Ai fini della verifica dell’operatività di una società ai sensi dell’art. 30 L. 23 dicembre 1994 n. 724, l’Amministrazione finanziaria, nel riqualificare i beni immobili da “beni merce” ad “immobilizzazioni materiali”, soggette a coefficiente di redditività, deve, nel rispetto dei principi contabili applicabili, verificare l’idoneità in concreto di questi ultimi a costituire strumenti di produzione di reddito della gestione tipica, escludendo la destinazione alla vendita od alla trasformazione nell’ambito del processo produttivo.
Questo il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza in commento.
La controversia in oggetto traeva origine da un avviso d’accertamento mediante il quale l’Agenzia delle Entrate, contestando l’iscrizione tra le rimanenze di magazzino di un complesso immobiliare, riclassificava tutte le unità immobiliari facenti parte di detto complesso da rimanenze dell’attivo circolante – che non rilevano ai fini del calcolo dei ricavi presunti per il superamento del test di operatività – ad immobilizzazioni materiali, le quali diversamente, rientrano nel calcolo dei ricavi presunti.
La riqualificazione operata dall’Amministrazione Finanziaria si fondava sull’assunto secondo il quale gli immobili, che astrattamente erano destinati alla vendita, erano stati in gran parte concessi in locazione dalla contribuente a soggetti indirettamente riconducibili alla compagine sociale; il contribuente, nel complesso, aveva percepito i relativi canoni come unica fonte reddituale.
La Società impugnava tale provvedimento di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale competente, adducendo che la locazione fosse solo temporanea e che questo non potesse determinare il venir meno della destinazione alla vendita del complesso immobiliare; subordinatamente, la ricorrente riteneva di non poter essere comunque considerata non operativa, in quanto, riclassificando come immobilizzazioni materiali i soli immobili locati, i ricavi presunti sarebbero stati inferiori a quelli dichiarati.
Tuttavia, la contribuente vedeva respinte le proprie doglianze in entrambi i gradi di merito, nei quali i Giudici ritenevano legittima la pretesa fiscale.
Nello specifico, la Commissione Tributaria Regionale rilevava come tale complesso immobiliare non fosse invero destinato alla vendita come sostenuto dalla ricorrente, bensì ad un investimento durevole, conseguentemente da allocare tra le immobilizzazioni, in funzione della destinazione economica.
Di talché, i menzionati immobili avrebbero dovuto concorrere alla determinazione dei ricavi presunti e, nondimeno, del reddito minimo presunto.
In tal modo, l’operazione di qualificazione degli immobili come beni merce, pertanto nel disposto dall’art. 30, L. 724/1994 ai fini del test di operatività, veniva qualificata come elusiva, in quanto, a detta dei Giudici di secondo grado, la Società non esercitava effettivamente attività commerciale, ma era stata costituita per gestire un patrimonio nell’interesse dei soci.
La società ricorreva per la cassazione della pronuncia d’appello, denunciando, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione delle disposizioni codicistiche di bilancio, nell’avere la CTR avallato la posizione dell’Ufficio, ritenendo che la circostanza che nel compendio immobiliare la maggioranza dei singoli immobili fosse locata consentisse la riconduzione dell’intero complesso nel novero delle immobilizzazioni materiali, quando l’iscrizione contabile deve essere invece svolta per singola unità abitativa catastalmente individuata.
La Corte di Cassazione ha ribaltato il giudizio formulato nei gradi precedenti affermando che la riallocazione dell’intero complesso immobiliare nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni materiali e non tra le rimanenze – propugnata dall’Agenzia delle Entrate – risultasse essere confliggente con il principio contabile OIC 16, laddove le immobilizzazioni materiali vengono definite quali beni di uso durevole che vengono solitamente impiegati come strumenti di produzione di reddito nella gestione caratteristica dell’impresa.
Tali beni non possono né essere destinati alla vendita, né volti alla trasformazione al fine di ottenere dei prodotti dell’impresa.
Il giudice di seconde cure, a giudizio della Cassazione, ha correttamente applicato il criterio di destinazione economica per quanto riguarda le unità immobiliari concesse in locazione; ma avrebbe dovuto distinguere, in ossequio ai menzionati principi contabili, i rimanenti immobili non locati, che non potevano ricondursi alle immobilizzazioni materiali, ma risultavano correttamente classificati dalla ricorrente come beni merce, non dovendo concorrere quindi alla determinazione dei ricavi presunti.
Per l’effetto, la Corte, in accoglimento, per quanto in oggetto, del motivo di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla CTR competente in diversa composizione.