Quando, il 22 agosto scorso, la BCE ha emanato la “Comunicazione sulle aspettative della vigilanza sulle NPE’s” a più di un banchiere si sarà gelato il sangue. In passato, simili messaggi non furono latori di buone notizie. Questa volta forse è un po’ diverso, ma per capirlo bene dobbiamo ripercorrere la storia recente.
Fu a marzo 2018 che le banche europee, e le italiane in particolare, ricevettero una delle comunicazioni più sgradite dalla vigilanza di Francoforte. Non era contenuta in un tomo pesante, un lunghissimo articolato, ma giunse sotto le spoglie innocue di un addendum alle linee guida della BCE sulla gestione delle sofferenze. Anche il suo contenuto era semplice e, a ben vedere, del tutto condivisibile, o almeno auspicabile. “Cara Banca – diceva pressappoco la comunicazione – nella mia qualità di autorità di supervisione, io mi aspetto che le sofferenze che hai in bilancio vengano integralmente coperte da accantonamenti entro due anni dalla loro classificazione se derivano da crediti chirografari, oppure in sette anni se si tratta di esposizioni garantite. E per essere sicuro che non te ne dimentichi o che rimandi tutto all’ultimo momento, ti indico anche un percorso di copertura graduale che ti porterà a centrare l’obiettivo in modo puntuale”.
Questo addendum precisava in termini quantitativi, e perentori, le linee guida che la BCE aveva emanato un anno prima. Le indicazioni del 2017 erano un corpus di principi operativi che raccoglievano sostanzialmente le best practices di settore e spingevano le banche europee ad adottare comportamenti virtuosi, schemi organizzativi adeguati, linee strategiche mirate, il tutto allo scopo di assicurare una governance definita ed efficace al tema delle insolvenze che, negli anni, si erano accumulate nei loro bilanci fino a superare i mille miliardi di euro. Un buon libretto di istruzioni non si rifiuta mai, e anzi all’occorrenza lo si consulta per trovare la soluzione di un problema. E così il documento del 2017 venne accolto sostanzialmente con favore dagli intermediari vigilati che, sembra di poter dire, ne fecero tesoro e lo utilizzarono per impostare i loro piani di smaltimenti delle sofferenze.
Ma un addendum con prescrizioni quantitative quello no, diventa troppo prescrittivo ed è difficile ignorarlo, oppure fingere soltanto di farlo proprio. I numeri sono numeri, e quelli semplici come il rapporto fra le sofferenze nette e il portafoglio crediti sono inesorabili. In più, l’obiettivo posto dalla vigilanza era (e rimane) decisamente arduo. Così la protesta si levò rumorosa, capeggiata dall’Italia che si trovava doppiamente esposta ai rigori del provvedimento: le sue banche erano cariche di prestiti inesigibili (anche perché non avevano potuto avvalersi di nessun bad bank di sistema) e il suo sistema giudiziario rende improbabile completare il recupero entro i tempi dell’integrale svalutazione.
Per una volta le nostre istanze hanno trovato accoglimento a Francoforte, forse perché anche ben spalleggiate da quell’europarlamentare Gualtieri che oggi è diventato Ministro dell’Economia. Certo, non abbiamo potuto scardinare il provvedimento, né contrattare tempi di provisioning più lunghi, ad hoc per il nostro Paese, ma siamo riusciti ad ottenere che la nuova policy si applicasse solo alle nuove sofferenze e non a tutto lo stock formatosi nel corso del tempo. Le conseguenze sulla propensione a concedere credito da parte delle banche si sono avvertite, ma comunque l’impatto è stato molto più morbido.
La nuova comunicazione della BCE del 22 agosto del 2019 costituisce un altro piccolo miglioramento della disciplina sulla gestione del portafoglio di sofferenze da parte delle banche. Non è un alleggerimento del compito, già impegnativo, di raggiungere il 5% del NPL ratio ma almeno rimuove una scomoda asimmetria che si era venuta a creare con la sovrapposizione fra le disposizioni della BCE e quelle dell’EBA in attuazione della CRR. Queste ultime prevedono che l’insufficiente copertura delle sofferenze sui presiti erogati dopo il 26 aprile 2019 vengano dedotte dal patrimonio di vigilanza, quindi intervengono direttamente sul primo pilastro. Le linee guida BCE invece prevedevano di considerare la carenza di accantonamenti nel secondo pilastro, essenzialmente come fattore rilevante del processo di revisione della vigilanza (SREP). Altra differenza rilevante era che la BCE imponeva quel tipo di trattamento su tutte le sofferenze classificate dopo il primo aprile 2018, a prescindere dalla data di erogazione del prestito, creando una sovrapposizione con quanto previsto dalla CRR. Ecco allora che, con ragionevolezza, Francoforte ha rivisto le proprie indicazioni allineandosi a quelle dell’EBA: tutte le nuove sofferenze seguiranno il medesimo percorso di provisioning graduale, a prescindere dalla data di erogazione del prestito. Il calendario della copertura è pure simile a quello individuato dall’EBA (3 anni, 7 anni o 9 anni in base alla presenza e alla tipologia della garanzia). Resta invece immutato questo era previsto per i prestiti classificati prima dell’aprile 2018.
Con questa modifica si realizza una semplificazione gestionale per le banche (anche se permane una certa asimmetria fra i prestiti erogati prima o dopo il 26 aprile 2019 che impattano sul 2° o sul 1° pilastro) e con l’allungamento dei tempi di provisioning si verifica anche un modesto alleggerimento del costo della manovra che risulta un poco diluita.
Resta fermo comunque che la BCE ha imposto un ritmo severo alla pulizia dei bilanci bancari, accompagnato dalla necessaria (e opportuna) adozione di strategie e modelli organizzativi coerenti. L’obiettivo dichiarato della vigilanza è preparare il sistema creditizio ad affrontare un periodo prevedibile (prossimo?) di recessione. Entrare in una contrazione economiche senza avere smaltito il fardello della precedente crisi comporterebbe sicuramente una maggiore contrazione del credito, con effetti prociclici sulla congiuntura. L’obiettivo, come detto, è condivisibile. Le indicazioni qualitative sono inoppugnabili, quelle quantitative restano comunque impegnative.