Con ordinanza del 1° dicembre 2023, n. 33546, la Corte di Cassazione (Pres. Scarano, Rel. Gianniti) è tornata sul tema della legittimazione processuale del fallito con riguardo ai rapporti patrimoniali ricompresi nel fallimento, ribadendo che il fallimento non determina la perdita della capacità processuale del fallito bensì la sostituzione del curatore, comunque potendo il fallito agire con legittimazione processuale suppletiva nei casi di inerzia degli organi fallimentari.
In particolare, la Suprema Corte, riprendendo un orientamento di legittimità, ha stabilito che le utilità conseguenti alla pronuncia favorevole ottenuta dal fallito sono acquisite al fallimento e non vanno a beneficio del fallito per il solo fatto che egli abbia agito in giudizio in via suppletiva al curatore.
Perciò, dopo aver evidenziato come il fallimento sia un evento neutro per il contraddittore in giudizio e per lo stesso giudice “non rilevando in causa se il fallito, stante l’inerzia del curatore, intraprende il giudizio per gestire utilmente il rapporto processuale in prima persona”, la Corte ha distinto sul piano degli effetti il caso in cui detta pronuncia sia favorevole o meno al fallito.
Nel caso di pronuncia favorevole, i risultati ricadranno nella massa fallimentare, essendo “pienamente utilizzabile da parte della massa ove raggiunga un risultato patrimoniale utile” e “può essere azionata dal curatore “in executivis” quale perfetto e valido tutolo giudiziale che il fallimento acquisisce in forza del sistema di cui agli artt. 42 e 44 L.F. che gli fa obbligo di “profittarne””.
Il caso di specie riguardava un’azione di responsabilità professionale esperita dal fallito nei confronti del perito stimatore nominato dal curatore fallimentare.
La Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia d’appello in quanto, dopo aver riconosciuto la responsabilità, ha attribuito “immotivatamente” tale somma direttamente in favore del fallito, e non già in favore della massa fallimentare.