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Sorte dei creditori non aderenti ad un accordo di ristrutturazione omologato in caso di successivo fallimento del debitore

10 Febbraio 2014

Fabrizio Dotti e Azzurra Camillieri, Simmons & Simmons

Di cosa si parla in questo articolo

L’accordo di ristrutturazione dei debiti, stipulato dall’impresa in crisi con creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti ed omologato dal Tribunale (come previsto dall’art. 182 bis della legge fallimentare), è divenuto negli ultimissimi anni di frequente uso, grazie ad alcune coraggiose iniziative e, soprattutto, agli interventi apportati alla legge fallimentare dalle riforme del 2010 e del 2012.

Sono pacifici i benefici, in termini di esenzione dalla revocatoria fallimentare per atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato e di esenzione da determinati reati fallimentari, a favore del debitore e dei creditori che stipulano e danno adempimento all’accordo omologato(1).

In caso di fallimento del debitore, a certe condizioni (essenzialmente che l’accordo sia stato omologato e che l’eventuale business plan sottostante – che non è previsto espressamente dalla legge ma che di fatto è indispensabile per poter costruire l’accordo e disporre della necessaria relazione di idoneità del professionista ex art. 182 bis, primo comma L.F. – sia attendibile), il debitore ed il creditore non potranno vedersi revocati (ex art. 67 L.F.) gli atti attuativi dell’accordo; inoltre, l’uno e gli altri non potranno essere perseguiti penalmente per determinati reati fallimentari, qualora taluni comportamenti che possano integrarne la fattispecie, siano stati compiuti in esecuzione dell’accordo omologato.

Che ne è, invece, degli atti compiuti nei confronti dei terzi creditori “estranei” all’accordo, ossia di coloro che non hanno stipulato l’accordo ex art. 182 bis L.F., con particolare riferimento ai pagamenti dei debiti a loro favore? L’imprenditore che vi ha dato corso ed i terzi che ne hanno partecipato possono invocare anch’essi i benefici di esenzione da revocatoria fallimentare e reati connessi? O si trovano in una situazione di rischio?

L’art. 182 bis della Legge Fallimentare prescrive inequivocabilmente che il debitore in stato di crisi che chiede l’omologa dell’accordo deve depositare, in sede di ricorso, una relazione di professionista attestante, tra l’altro, l’idoneità dell’accordo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei entro 120 giorni (dall’omologazione, se si tratta di crediti scaduti, o dalla scadenza, se si tratta di crediti non ancora scaduti alla data di omologazione)(2).

La legge fallimentare stabilisce, dunque, con una formulazione indiretta, un obbligo da parte dell’impresa in crisi di pagare integralmente i creditori estranei entro termini perentori.

Gli elementi fondamentali dei quali tener quindi conto sono quindi tre:

  1. l’adesione all’accordo di ristrutturazione è volontaria ed incoercibile; non vi è alcuna norma che imponga al creditore di partecipare ad esso;
  2. il debitore che stipula l’accordo non ha discrezionalità nel decidere se pagare o meno i creditori non aderenti; l’obbligo di pagamento è incondizionato e discende da una espressa norma di legge (3). Il debitore, in altre parole, non si può rifiutare di darvi corso;
  3. il termine predetto di 120 giorni impedisce al creditore non aderente all’accordo di esigere il proprio credito prima del suo decorso.

Il Tribunale di Milano, in un recente provvedimento relativo ad una opposizione a stato passivo da parte di creditore aderente a precedente accordo omologato (Decreto del Tribunale di Milano del 21 febbraio 2013, reperibile su “il Caso.it”) ha dichiarato en passant, che “Poiché gli accordi, come visto, integrano un “momento” negoziale qualificato di un procedimento inteso a garantire all’autonomia contrattuale di debitori e creditori aderenti determinati effetti, ne consegue la completa inefficacia degli stessi rispetto a tutti i soggetti estranei”.

Sulla base di tale asserzione, vi è stato chi ha teorizzato che, essendo i creditori non aderenti soggetti estranei all’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F., tutte le operazioni poste in essere dall’impresa nei loro confronti non sono protette dall’azione revocatoria prevista dalla legge, non avendo tali soggetti concluso il contratto con l’impresa, poi divenuta insolvente.

Sembrerebbe quindi dedursi, seguendo questa impostazione (che risulta ad oggi essere comunque minoritaria in dottrina), che il creditore non aderente, che viene pagato dall’impresa (a ciò obbligata dalla legge), corra il rischio, in caso di successivo fallimento dell’impresa in questione, di vedersi revocato il pagamento ricevuto.

Peraltro, portando questo ragionamento alle estreme conseguenze, si potrebbe allora addirittura sostenere che, non essendo applicabili le esenzioni di legge, imprenditore e creditore non aderente potrebbero persino essere soggetti al rischio di incorrere in quei reati fallimentari configurabili a carico di chi dà e a chi riceve pagamenti in situazioni di insolvenza. Il che, ad avviso di chi scrive, è un assurdo sostanziale, prima che non corretto giuridicamente: l’adempimento di un obbligo di legge genererebbe “automaticamente” un reato, soggetto alla sola condizione di procedibilità del fallimento dell’impresa.

A nostro avviso, tale posizione è alquanto discutibile, per una serie di considerazioni.

Anzitutto, il provvedimento citato non ci pare possa essere addotto a fondamento di un siffatto ragionamento. La frase sopra evidenziata è contenuta in un obiter dictum” che ha deciso (a favore del creditore) un caso diverso, concernente la dazione di una garanzia a vantaggio di un creditore aderente ad un accordo omologato (4).

Da un punto di vista strettamente letterale, la “precisazione” del Tribunale non sarebbe dunque neppure conferente al caso del pagamento del debito a beneficio di terzo non aderente.

A parte ciò, osserviamo in primo luogo che non è corretto affermare tout court che l’accordo di ristrutturazione omologato non abbia efficacia nei confronti dei terzi creditori non aderenti; al contrario, l’art. 182 bis L.F. stabilisce in capo all’accordo omologato un effetto “paralizzante” nei confronti delle pretese creditorie dei terzi.

Non ci riferiamo al divieto di esecuzione forzata o di provvedimenti cautelari durante il procedimento di omologa, quanto alla dilazione “forzata” di 120 giorni, che la legge impone al credito del creditore estraneo.

Non v’ha chi non veda, infatti, che l’accordo omologato impedisce al terzo di dar corso a qualsiasi azione di recupero del credito nei confronti dell’impresa debitrice, prima che sia decorso il predetto termine di legge, evidentemente stabilito a favore del debitore. Dunque, non ci pare esatto sostenere che l’accordo di ristrutturazione produce effetti solo nei confronti delle parti che lo stipulano; invece, esso ha effetto anche verso i terzi estranei, che per 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza del credito non possono esercitare i propri diritti di creditori.

Non è concepibile una vincolatività dell’accordo per i terzi solo “a senso unico”; oltre agli effetti “negativi”, tale accordo deve necessariamente “passare” ai creditori non aderenti anche gli effetti positivi e, quindi, dar loro quella protezione contro la revocatoria fallimentare (e i reati fallimentari), riconosciuta allo strumento previsto dall’art. 182 bis L.F. .

Diversamente, si tratterebbe di un singolare caso di efficacia solo in malam partem” nei confronti dei soggetti non aderenti, peraltro di dubbia legittimità costituzionale.

Ma c’è di più.

Da un punto di vista generale, caratteristica indefettibile dell’accordo di ristrutturazione è proprio quella di permettere il pagamento integrale dei creditori non aderenti. Tanto è vero che l’attestazione dell’esperto, necessaria ai fini dell’omologa, si incentra sull’idoneità dell’accordo a realizzare tale finalità. Se l’accordo è idoneo a pagare tutti i creditori che non lo stipulano, può essere omologato; viceversa, non è ammissibile.

Dunque, se l’eleggibilità dell’accordo, ai fini dell’omologa, dipende dall’idoneità del medesimo a consentire il pagamento dei creditori estranei, viene da ritenere che, di conseguenza, il pagamento stesso non possa che considerarsi attuativo dell’accordo.

Difatti, con riferimento ai creditori estranei, è stato autorevolmente sostenuto che la ratio stessa dell’esenzione sarebbe riconducibile alla circostanza che il regolare pagamento dei creditori estranei realizza le finalità dell’istituto (5); tali pagamenti, infatti, rientrano necessariamente tra quelli posti in essere in esecuzione dell’accordo, nel rispetto della previsione normativa (6). L’accordo che non è idoneo a soddisfare integralmente i creditori estranei, è infatti inattuabile e quindi non omologabile.

In questo ordine idee, è stato quindi affermato che non sono revocabili neppure i negozi non esplicitamente previsti dall’accordo ma resisi strettamente necessari per la sua esecuzione, e che, in mancanza di una specificazione normativa, l’accordo impedisce l‘esercizio della revocatoria con riferimento sia agli atti normali sia a quelli anormali (7).

Sulla scorta di ciò, può dirsi con una certa sicurezza che anche i creditori non aderenti all’accordo, in quanto destinatari di pagamenti che, per effetto di una previsione di legge, sono attuativi dell’accordo, beneficino delle esenzioni accordate (8).

Nel caso di successivo fallimento del debitore ed eventuale successivo giudizio revocatorio, in cui il creditore non aderente sia convenuto per vedersi revocato quanto ricevuto, “il convenuto potrà paralizzare la pretesa attorea semplicemente eccependo che il pagamento ricevuto costituisce un atto esecutivo dell’accordo omologato. Eccezione che potrà essere superata soltanto ove il curatore provi l’eventuale dolosa, fraudolenta collusione tra debitore e terzo beneficiario dell’atto”. (9)

Peraltro, non sfuggirà che le due norme della legge fallimentare che prescrivono l’esenzione dalla revocatoria fallimentare e da determinati reati fallimentari, ossia l’art. 67, terzo comma, lettera “e”, e l’art. 217-bis, stabiliscono una protezione per tutti gli “atti” (rectius: atti, pagamenti, garanzie, operazioni) compiuti in esecuzione di un accordo omologato, senza distinzione tra quelli compiuti dalle parti dell’accordo e quelli compiuti da terzi (o a favore di terzi). Non si vede quindi da quale dato normativo dovrebbe emergere una limitazione degli effetti protettivi delle due norme ai soli creditori che hanno stipulato l’accordo.

Da un altro punto di vista, va poi detto che, nella prassi, ben difficilmente l’esperto indicato nel primo comma dell’art. 182 bis L.F. attesta l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei, se non dispone di un convincente business plan o, quantomeno, di un dettagliato piano dei flussi di cassa, che preveda l’indicazione dei creditori estranei, dei relativi crediti, delle fonti per il loro pagamento integrale e della relativa tempistica.

Tale piano forma normalmente oggetto di un approfondito esame da parte dei creditori che intendono aderire all’accordo e di una negoziazione con i medesimi, se non altro in quanto soggetti che, con il proprio supporto finanziario, ne assicurano il successo e che debbono essere, per primi, convinti della sua bontà. Il piano diviene poi parte integrante dell’accordo, o nel senso che viene letteralmente inserito nell’accordo, o nel senso che l’accordo prevede l’obbligo per le parti (in primis, per il debitore) di darvi corso.

Visti da questa angolazione, tutti gli atti del business plan incorporato nell’accordo costituiscono quindi atti letteralmente compiuti in esecuzione dell’accordo medesimo; pare difficile contestare che i pagamenti ivi previsti ai creditori estranei beneficino delle esenzioni di legge, e ciò senza bisogno di alcuna particolare interpretazione della norma stessa.

Circa l’operatività dell’esenzione in relazione ai reati fallimentari, la soluzione favorevole ai creditori non aderenti, ad avviso di chi scrive, è ancora più evidente.

A questo riguardo, assume rilevanza determinante l’art. 51 del codice penale, che esclude la punibilità in presenza dell’esercizio di un diritto o dell’adempimento di un dovere.

Per la configurazione dell’esimente dell’esercizio di un diritto, il diritto – il cui esercizio può escludere la punibilità di un fatto sanzionato penalmente – deve essere un vero e proprio diritto soggettivo protetto in modo diretto ed individuale, tale da comportare il sacrificio di tutti gli altri interessi in contrasto con esso. È necessario, altresì, che l’attività posta in essere costituisca una estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione, poiché – in caso contrario – si supererebbero i confini dell’esercizio lecito e si configurerebbero ipotesi di abuso del diritto stesso, che ricadono al di fuori della sfera di operatività dell’art. 51 c.p. stesso. (10)

A noi pare che non sia revocabile in dubbio che il diritto del creditore aderente al ricevimento del pagamento previsto dalla legge costituisca un diritto soggettivo in capo al medesimo. Tanto più che, come si è più volte detto, l’intero istituto dell’accordo omologato si incentra sull’idoneità a consentire tale pagamento.

In un’ottica, sistematica sembrerebbe logicamente conseguire che le operazioni poste in essere in esecuzione, tra gli altri, di un accordo di ristrutturazione sono obblighi a carico del debitore che la legge riconosce e pertanto sarebbe contraddittorio che la legge stesse le punisse attraverso la sanzione penale delle norme richiamate dall’art. 217 bis L.F. (11).

 

1

() Art. 67, terzo comma, lettera “e” Legge Fallimentare: “Non sono soggetti all’azione revocatoria (NDR: revocatoria fallimentare) ….. e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis…”

Art. 217-bis L.F.: “Le disposizioni di cui all’art. 216, terzo comma, e 217, non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’art. 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis…”.


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2

(Ciò peraltro crea un problema interpretativo, nel caso in cui il deposito dell’accordo e la sua omologa sia successiva all’apertura di una procedura di “pre-concordato”, ai sensi dell’art. 161, sesto comma, L.F. . La norma in questione prevede infatti la possibilità, per il ricorrente che abbia depositato la domanda con riserva, di “virare” verso una domanda di omologa di accordo di ristrutturazione. Dato che, ai sensi dell’art. 169 L.F., alla domanda di concordato fa seguito la scadenza di diritto delle obbligazioni pecuniarie (essendo richiamato l’art. 55 L.F.), taluni interpreti si sono chiesti se tale norma si applichi anche al pre-concordato e, quindi, se tutti i crediti debbano considerarsi scaduti anche ai fini dell’art. 182 bis, qualora, appunto, alla domanda di pre-concordato segua invece il deposito di istanza di omologa dell’accordo. Probabilmente la risposta dev’essere negativa, dato che l’art. 169 L.F., per sua natura, parrebbe più legato ad una proposta definitiva, e non a qualcosa che definitivo non è; tuttavia, la lettera della legge non aiuta, in quanto anche il sesto comma dell’art. 161 usa le parole “domanda di concordato”. Ma ci fermiamo qui, in quanto stiamo andando fuori tema.


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3

(La legge non impedisce al debitore di rinegoziare preliminarmente con i creditori estranei i termini del debito, pattuendo, ad esempio, stralci – in contropartita con il pagamento prescritto dall’art. 182 bis L.F. – o piani di rientro bilaterali di durata superiore ai 120 giorni; tali accordi, che nella prassi sono frequenti, sono comunque il frutto di una libera scelta del creditore, che non è obbligato a consentirvi e, se non vi consente, rimane titolato a ricevere il pagamento integrale nei 120 giorni indicati dalla norma.


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4

(Una banca, che aveva stipulato con un’impresa in crisi un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal Tribunale ai sensi dell’art. 182 bis L.F., aveva ottenuto dal debitore delle garanzie reali, in esecuzione dell’accordo, a tutela dei propri crediti. Il debitore-garante era poi divenuto insolvente ed era stato assoggettato a procedura concorsuale. La banca aveva quindi presentato istanza di insinuazione al passivo come creditore privilegiato al passivo, vedendosi – viceversa – revocate d’ufficio le garanzie reali e ammesso il credito come chirografario.

Il creditore si era quindi opposto allo stato passivo, ed il Tribunale ha correttamente accolto l’opposizione, riconoscendo che la garanzia concessa in esecuzione di un accordo di ristrutturazione omologato ex art. 182 bis L.F. è perfettamente legittima, non è suscettibile di revocatoria fallimentare e qualifica il creditore come prelatizio, anche in caso di successivo assoggettamento del garante a procedura concorsuale.


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5

(E. Frascaroli Santi, Commento all’art. 182-bis, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare,, pp. 1080-1081, ed. 2009.


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6

() Commento all’art. 182-bis, in Commentario breve alla legge fallimentare, p. 1256, ed. 2013.


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7

(D’Ambrosio, Commento all’art. 182-bis, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, p. 1256, ed. 2013.


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8

() A questa conclusione perviene anche chi distingue tra soggetti “attivi” dell’accordo e soggetti destinatari degli atti attuativi dell’accordo medesimo. A tale riguardo è stato infatti sostenuto che “l’esenzione da revocatoria è “chiusa” nell’individuazione del soggetto attivo dell’atto protetto, il solo debitore che abbia presentato un accordo di ristrutturazione omologato, mentre è “aperta” con riferimento al destinatario dell’atto. L’ampia e generica espressione utilizzata lascia intendere che tutti gli atti posti in essere dal debitore volti all’esecuzione dell’accordo omologato rientrino in tale esenzione, e ciò a prescindere dal beneficiario finale dell’atto, godendo di tale beneficio anche i soggetti che non hanno partecipato all’accordo, primi fra tutti i creditori aderenti, sia quelli estranei, sia terzi comunque partecipi dell’accordo di ristrutturazione” (cfr. G.B. Nardecchia, in Commento all’art. 67 L.F., in C. Cavallini, Commentario alla legge fallimentare, p. 266, ed. 2010).


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9

(G.B. Nardecchia, in Commento all’art. 67 L.F. in C. Cavallini, Commentario alla legge fallimentare, p. 268, ed. 2010. Si discute, a questo riguardo, in merito al contenuto della frode del creditore; secondo un autorevole autore, la prova della frode del creditore deve essere intesa in modo estensivo “così da ricomprendere altresì gli stati soggettivi di consapevolezza dell’insolvenza irrimediabile, e dell’inattuabilità del piano” (D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. Comm., 2007, I, p. 168).


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10

() Cass. Pen., Sez. III, sentenza 14540/2011; Cass. Pen., Sez. III, sentenza 5589/1996.


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11

() R. Lottini, Il nuovo art. 217 bis l.fall.: una riforma che tradisce le aspettative, in Il Fallimento 12/2010, p. 1371-1372; F. Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. Trim. dir. Pen. Econ. 4/2009, pp. 863-865.


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