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Sottrazione fraudolenta e operazioni straordinarie: senza fraudolenza non c’è reato

4 Maggio 2020

Enrico Di Fiorino, Partner, Caterina Peroni, Trainee, Fornari e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte rappresenta una fattispecie appartenente al nucleo storico del diritto penale tributario. Trattasi infatti, di condotta punita già ai sensi dell’art. 97, comma 6 del D.P.R. n. 602/1973. La disposizione, tuttavia, era rimasta per lungo tempo di fatto disapplicata, in ragione della complessità strutturale della fattispecie[1].

Anche il reato introdotto all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000, seppur significativamente ripensato rispetto alla previgente versione, per molti anni ha trovato marginale applicazione. La oramai frequente contestazione della fattispecie de qua è da ricondurre alla possibilità – prevista dall’art. 1, comma 143, della Legge n. 244/2007 (“Finanziaria 2008”), ora disciplinata all’art. 12 bis del D. Lgs. n. 74/2000 –di applicare la confisca per equivalente anche ai reati tributari, con conseguente ricorso all’istituto processuale del sequestro preventivo, il quale ha consentito alla sottrazione fraudolenta di trovare una nuova dimensione giurisprudenziale. Tale peculiare evoluzione ha determinato dei seri limiti dell’esegesi di questa norma, in quanto maturata quasi esclusivamente in sede cautelare. Anche per tale ragione, appare doveroso dare atto della sentenza qui in commento, che interviene all’esito di un processo di cognizione e che segna con ogni evidenza un passaggio significativo nel percorso di corretta ricostruzione della fattispecie tipica.

La sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 18 settembre 2019 (dep. 5 marzo 2020), n. 8959, Pres. Lapalorcia, Est. Rosi

Nel caso de quo, l’imputato veniva considerato responsabile dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Roma per i reati a lui ascritti di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., emissione di false fatture ai sensi dell’art. 8 del D. Lgs. n. 74/2000 e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000.

La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal GUP, assolveva l’imputato dalle prime due contestazioni, mentre confermava la condanna per il reato di sottrazione fraudolenta, operando una rideterminazione della pena.

Più nel dettaglio, secondo la ricostruzione dell’accusa, il ricorrente – in concorso con altri soggetti appartenenti al management del gruppo – essendo a conoscenza delle attività ispettive svolte dall’Agenzia delle Entrate e del recente avvio di un’indagine da parte della Guardia di Finanza su alcune società del gruppo, prendeva parte ad un’operazione di fusione per incorporazione di una società italiana – «fortemente patrimonializzata» – in una società di diritto lussemburghese, che veniva di fatto gestita dall’Italia. In particolare, l’imputato veniva ritenuto responsabile in virtù del fatto che aveva rivestito dapprima il ruolo di amministratore di fatto della società incorporata ed era stato successivamente nominato – alcuni mesi dopo l’operazione – legale rappresentante della sede secondaria aperta dalla società incorporante.

L’imputato presentava ricorso per Cassazione, articolato nei motivi che seguono.

In primo luogo, il ricorrente lamentava il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) e lett. e) c.p.p., rilevando che l’operazione straordinaria era stata realizzata oltre quattro mesi prima dell’assunzione della carica di legale rappresentante della società.

In secondo luogo, si rilevava l’assenza di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p. con riferimento all’omessa valutazione da parte della Corte di merito di diversi documenti, dai quali emergeva che gran parte degli atti afferenti all’operazione di fusione erano stati posti in essere precedentemente alla nomina dell’imputato quale legale rappresentante.

Inoltre, il ricorrente lamentava la violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) c.p.p., rilevando come gli atti di depauperamento erano stati considerati penalmente rilevanti pur in assenza di una motivazione circa l’asserita natura fraudolenta dell’operazione.

Infine, si lamentavano il vizio di violazione di legge e di motivazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) e lett. e) c.p.p. in relazione all’elemento soggettivo, con riferimento ad una fattispecie incriminatrice che richiede peraltro anche la sussistenza del dolo specifico di evasione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dall’imputato, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Subentro nell’incarico e responsabilità penale

La Suprema Corte è stata chiamata a chiarire se l’assunzione della carica sociale in un momento successivo alla (secondo il ricorrente) avvenuta integrazione del fatto di reato possa comportare l’esclusione della responsabilità penale dell’imputato. Come ricordato, infatti, l’imputato veniva nominato legale rappresentante della sede secondaria aperta dalla società incorporante solamente alcuni mesi dopo la fusione transfrontaliera.

La tesi sostenuta dal ricorrente si basava sul fatto che, trattandosi di reato di pericolo istantaneo, tale delitto si sarebbe consumato nel mese di giugno 2012, al momento della fusione per incorporazione, e non in una data successiva al novembre 2012 (quando l’imputato ha iniziato a rivestire la carica di legale rappresentante della sede secondaria della società lussemburghese).

Sul punto, i giudici hanno rilevato come, in realtà, il delitto di sottrazione fraudolenta sia un reato di pericolo a carattere – eventualmente – permanente, nel senso che la consumazione del medesimo continua sino a che perdurano gli effetti degli atti idonei a mettere in pericolo la riscossione delle imposte. In particolare, la Suprema Corte si serve delle argomentazioni già avanzate in altra pronuncia della medesima Sezione, in cui si osservava come la natura di reato di pericolo, che si integra in presenza di qualsiasi atto idoneo a mettere in pericolo la conservazione della garanzia patrimoniale (id est, a prescindere dall’effettiva lesione del bene giuridico tutelato), non implica che tale delitto «debba essere necessariamente considerato come reato istantaneo, ben potendo la consumazione prolungarsi sino a quando, in ipotesi di più atti, tutti idonei a porre in essere una fraudolenta sottrazione, l’offesa abbia a permanere. Del resto, natura di pericolo da un lato e natura permanente dall’altro, ben possono, nel reato, tra loro coesistere, come dimostrato da analoghi precedenti in tal senso di questa Corte» (Cass. Pen., Sez. III, n. 37415/2012)[2].

Da tale inquadramento ne discende che non sarebbe sufficiente, al fine di escludere la responsabilità per il delitto di sottrazione fraudolenta, opporre la mera circostanza per cui l’assunzione della carica sociale sia avvenuta in un momento successivo all’operazione di fusione.

Si deve tuttavia segnalare l’esistenza di un diverso orientamento della giurisprudenza, richiamato dal ricorrente, per cui il delitto in esame sarebbe da qualificarsi quale reato istantaneo di pericolo,«che si realizza nel momento in cui viene posta in essere la simulata alienazione di beni o posti in essere altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva»[3]. Quest’ultima ricostruzione – accolta anche da parte della dottrina[4]– non escluderebbe, in ogni caso, la possibilità che una contestazione possa comunque essere formulata per tutto il tempo in cui siano posti in essere plurimi atti fraudolenti, idonei a pregiudicare l’adempimento dell’obbligazione tributaria[5].

Alla luce delle (invero severe) pronunce della giurisprudenza di legittimità in materia di reati di omesso versamento ex artt. 10-bis e 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000,è oramai pacifico come non sia sempre sufficiente – ai fini dell’esclusione della responsabilità penale – la mera considerazione di aver assunto l’incarico in un momento posteriore al realizzarsi di un determinato fatto[6]. Del resto, a prescindere dalla natura del reato di sottrazione fraudolenta, si è già rilevato come in caso di una pluralità di atti fraudolenti, il reato si consumerà con il compimento dell’atto – in ipotesi, anche successivo al momento dell’ingresso di un soggetto nell’organo amministrativo di una società – che determini il superamento della soglia di punibilità[7], o – in alternativa – che realizzi la massima gravità concreta[8].

Con la banale precisazione, a parere di chi scrive, che ben diverso appare il caso di assunzione dell’incarico nel mentre della realizzazione di un’operazione (in ipotesi sussumibile sotto la fattispecie di sottrazione fraudolenta), dal caso di omesso versamento, in cui la verifica circa la sussistenza di debiti di imposta non versati appare certamente più agevole.

Il connotato della fraudolenza

Il delitto di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000 pone una serie di problemi interpretativi ed applicativi, con riferimento all’accertamento dell’elemento oggettivo del reato.

Se infatti la prima ipotesi di condotta vietata – l’alienazione simulata (assoluta o relativa) di beni – risulta ben delineata nei suoi confini di tipicità (risultando facilmente individuabili le sue modalità esecutive), il secondo comportamento sanzionato – riconducibile alla generica dizione di “atti fraudolenti” – lascia il campo a potenziali interpretazioni, tali da porre più di un dubbio di compatibilità della norma con i principi di tassatività e determinatezza.

Considerazione, questa, che risulta ancor più allarmante laddove si consideri che la fattispecie incriminatrice de qua attribuisce rilevanza penale a condotte altrimenti lecite, di esercizio del diritto di proprietà, e in particolare della facoltà del privato di decidere della destinazione dei propri beni. Per tale ragione, appare necessario trovare un equilibrio tra il diritto del proprietario di disporre liberamente di quanto gli appartiene e la tutela dell’interesse dello Stato, rappresentato dalla possibilità di ricorrere utilmente all’esercizio della funzione esecutiva.

Del resto, rispetto alla previgente formulazione, la norma di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000 è caratterizzata da una significativa anticipazione della rilevanza penale: non solo, infatti, non è più richiesta l’avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, né che sia stata effettivamente avviata una procedura di riscossione[9], ma nemmeno rileva il fatto che la pretesa tributaria sia stata successivamente ugualmente soddisfatta[10]. Proprio le già menzionate difficoltà applicative hanno condotto il legislatore ad intervenire sulla fattispecie, riponendo la ragion d’essere del nuovo reato sull’idoneità del comportamento fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Tale anticipazione della rilevanza penale è stata realizzata attraverso l’eliminazione dell’evento di danno – essendo l’attuale formulazione inquadrabile quale reato di pericolo concreto – e della necessaria precedente attivazione da parte dell’amministrazione finanziaria.

Mentre un minoritario orientamento pretendeva di bypassare il requisito della fraudolenza, risolvendo la dimensione della condotta in chiave di mera idoneità, la Corte ha in più occasioni puntualmente ricollocato al centro della fattispecie incriminatrice tale elemento costitutivo, richiamando la  necessità di un accertamento della natura fraudolenta dell’operazione, la quale «non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario»[11].

Sono state proprio le Sezioni Unite a precisare – intervenendo sul concetto di “atti simulati e fraudolenti” rilevanti ai sensi dell’art. 388 c.p. (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”) – che debba intendersi fraudolento ogni atto che – seppur formalmente lecito – «sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione»[12].

Con la sentenza in commento, la Corte, nell’accogliere il ricorso, afferma che gli atti di disposizione – richiamati dalla fattispecie di sottrazione fraudolenta – debbano essere connotati, per l’appunto, dalla natura fraudolenta e caratterizzarsi per l’inganno o l’artificio, volto alla sottrazione delle garanzie patrimoniali all’amministrazione finanziaria.

In particolare – e in questo la pronuncia merita di essere segnalata – «la sentenza impugnata non ha argomentato in maniera sufficiente sulla natura artificiosa e fraudolenta della fusione, nonostante il punto fosse stato oggetto di uno specifico motivo di appello, non ha chiarito le modalità con le quali tale atto dispositivo abbia messo in pericolo le pretese esattoriali del Fisco, né ha individuato l’entità della diminuzione del patrimonio posto a garanzia dei debiti tributari. Allo stesso modo non si rinviene un’adeguata motivazione in merito al contributo causale del V. [il ricorrente]nella predisposizione di tale atto di fusione e quanto alla sua consapevolezza del carattere artificioso della fusione stessa».

Non può, difatti, certamente ravvisarsi la penale responsabilità per il reato ex art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000 a fronte della mera movimentazione di asset da parte del management o degli amministratori della società nell’ambito di un’operazione di fusione transfrontaliera, ancorché gli stessi fossero a conoscenza delle attività ispettive in corso da parte degli organi competenti. In particolare, gli atti di disposizione risulteranno idonei a rivestire natura fraudolenta solo in presenza della prova fornita dall’accusa di uno schema espressione di una rappresentazione artificiosa, sotteso ad impedire o comunque ad aggravare[13] il recupero delle somme da parte dell’amministrazione Finanziaria.

Qualora si giungesse ad un diverso approdo, finirebbero invece per essere sanzionate legittime condotte di disposizione – in contrasto con il diritto del privato di decidere liberamente la destinazione dei propri beni – solo in quanto aventi ad effetto (indiretto ed incidentale) la diminuzione delle garanzie patrimoniali, sulle quali può riporre fiducia il Fisco[14].

Sotto quest’ultimo profilo, in un interessante precedente la Corte osservava come «del resto, a ben vedere, la “tenuta” anche costituzionale (in particolare sotto il profilo del principio di offensività) della configurabilità in chiave di pericolo dell’illecito (altrimenti davvero fragile) appare garantita dalla necessità che la condotta volta alla sottrazione del bene si caratterizzi per la natura simulata dell’alienazione del bene o per la natura fraudolenta degli atti compiuti sui propri o sugli altrui beni: in altre parole, solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per tali modalità, strettamente tipizzate dalla norma, può essere idoneo a vulnerare le legittime aspettative dell’Erario posto che, diversamente, verrebbe sanzionata, in contrasto con il diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, ogni possibile condotta di disponibilità dei beni, allo stesso diritto di proprietà strettamente connaturata»[15].

Proprio con riferimento alla prova del carattere fraudolento delle operazioni, si deve osservare come la pretesa di ravvisare tale caratteristica nella mera idoneità degli atti a compromettere il recupero del credito da parte dell’Erario determinerebbe – nei fatti – l’impossibilità per il contribuente di disporre liberamente dei propri beni, una volta che – come nel caso di specie – si è avuta un’attività di verifica o accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria.

Scenario, questo, davvero preoccupante, laddove si consideri il vastissimo numero di casi in cui è stata ipotizzata la configurabilità della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Con particolare riferimento alle ipotesi di operazioni straordinarie, in plurime occasioni atti di cessione di azienda, fusione, trasformazione e scissione sono stati ritenuti idonei ad impedire – o quantomeno ad ostacolare – la riscossione del debito tributario da parte dell’amministrazione finanziaria[16]. A tal proposito, la giurisprudenza ha ricompreso nell’ambito di applicazione del reato:

  • un caso di scissione parziale di società e costituzione di una nuova società a responsabilità limitata, dove la Corte ha affermato che «in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione»[17];
  • l’anomala costituzione di plurime società di capitali aventi sede legale nel medesimo luogo, compagine sociale ed oggetto sociale identici[18];
  • un’ipotesi di scissione di una società aggiudicataria di servizi pubblici con cessione di ramo di azienda alla nuova società e conseguente attribuzione ad essa della liquidità della cedente e correlativa spoliazione di ogni consistenza patrimoniale della società debitrice verso l’erario. In particolare, nel caso in esame erano poste in essere «fraudolenti scissioni societarie, dall’azzeramento delle posizioni creditorie delle società cedenti, dalla spoliazione di ogni consistenza patrimoniale delle stesse società debitrici verso l’Erario e dall’attribuzione a società costituite ad hoc delle liquidità originariamente spettanti alle cedenti»[19];
  • un’operazione di riorganizzazione aziendale attraverso la quale la società debitrice nei confronti dell’amministrazione Finanziaria aveva decentrato ogni attività verso altre società del gruppo riconducibili alla medesima proprietà, lasciando al suo interno il solo rapporto di debito con il Fisco[20];
  • un caso di plurime operazioni di cessione di ramo di azione e di scissione societarie poste in essere dall’amministratore, al fine di conferire immobili a nuovi soggetti giuridici[21];
  • un’operazione di trasformazione della società immobiliare proprietaria degli immobili in una società in nome collettivo che «costituiva atto fraudolento commesso dall’indagato al fine di sottrarsi al pagamento dell’IVA e dell’IRES. L’operazione societaria, eseguita appena tre giorni dopo la verifica fiscale, a ragione è stata giudicata fraudolenta perché idonea a rendere in tutto o in parte inefficace la successiva procedura di riscossione coattiva dei crediti tributari vantati dallo Stato nei confronti della società a r.l., trasformata in società in nome collettivo per la quale si ritiene, come per tutte le società di persone, che le quote dei soci non possano formare oggetto di espropriazione fino a quando non si verifichi lo scioglimento della società o del rapporto limitatamente al socio debitore»[22];
  • un’ipotesi di cessione ad altre società riconducibili alla stessa famiglia di un ramo di azienda che continuava, di fatto, ad essere utilizzato dall’alienante[23].

Come appare evidente anche dalla significativa casistica qui ripercorsa, l’applicazione della fattispecie incriminatrice in analisi impone la ricerca di un bilanciamento tra due contrapposti interessi: da una parte, quello dell’amministrazione finanziaria alla soddisfazione del proprio credito, dall’altra il diritto del contribuente di porre in essere tutte le facoltà riconducibili al proprio diritto. Del resto, la condotta del singolo di disporre del proprio bene non presenta alcun profilo di illiceità, e tale conclusione non può mutare – si badi bene – anche nel caso in cui, a seguito del comportamento del contribuente, l’Erario veda compromesse le possibilità di soddisfazione sui beni del contribuente[24].

La pronuncia in commento è quindi certamente da valorizzarsi, nella parte in cui ricorda che le operazioni straordinarie realizzate da un gruppo societario in pendenza di un accertamento tributario non possono comportare ex se un automatico addebito di penale responsabilità per il delitto di sottrazione fraudolenta. In questo contesto, la Suprema Corte puntualmente esprime il principio per cui debba essere fornita la prova da parte della Procura procedente circa la componente fraudolenta degli atti di disposizione commessi sui beni della società.

Sotto questo profilo, si ritiene invece non condivisibile la tesi di chi ritiene che il connotato di fraudolenza debba essere inteso in senso meramente soggettivo, con la conseguenza che sarebbe penalmente rilevante, in ragione di una considerazione riferita al mero atteggiamento soggettivo dell’agente[25], ogni condotta che determini un indebolimento delle garanzie patrimoniali del contribuente[26].

Mancando quindi il necessario accertamento del connotato di fraudolenza, non poteva che imporsi l’annullamento (con rinvio) della sentenza, pena il venir meno della certezza circa i confini di liceità della propria condotta e il sorgere di un’ulteriore frattura nei rapporti (già di rara complessità) tra contribuente ed amministrazione finanziaria.

 


[1] La norma non puniva le condotte poste in essere dal contribuente prima dell’esecuzione di attività di accertamento e – in ogni caso – intervenute prima della notifica di inviti o richieste dell’amministrazione finanziaria. In secondo luogo, la rilevanza penale era condizionata dall’accertata inefficacia, anche solo parziale, della procedura esecutiva. Si veda Caraccioli, Le novità della Manovra (D.L. n. 78/2010) in ambito penale tributario, in Riv. dir. trib., 2011, III, p. 4.

[2] Nello stesso senso si veda anche Cass. Pen., Sez. III, n. 6251/2010 secondo cui il reato, avendo natura permanente, si consuma con il compimento dell’ultimo atto con il quale venga messa in pericolo la procedura di riscossione coattiva. In senso conforme: Cass. Pen., Sez. III, n. 37415/2012; Cass. Pen., Sez. III, n. 38743/2012 e Cass. Pen., Sez. III, n. 49091/2012.

[3] Cass. Pen., Sez. III, n. 40481/2016. Nello stesso senso si veda anche Cass. Pen., Sez. III, n. 1843/2011.

[4] Aldrovandi e Lanzi, Diritto penale tributario, 2017, Wolters Kluwer, p. 403.

[5] Cass. Pen., Sez. III, n. 3881/2015.

[6] Ex plurimis: Cass. Pen., Sez. III, n. 18834/2017: «nel caso di successione nella carica di amministratore di società o legale rappresentante in un momento posteriore alla presentazione della dichiarazione di imposta e antecedente alla scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa e ciò sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale».

[7] Musco e Ardito, Diritto Penale Tributario, 2016, Zanichelli Editore, p. 323.

[8] Aldrovandi, in Caraccioli – Giarda – Lanzi (a cura di), Diritto e procedura penale tributaria, 2001, Wolters Kluwer, p. 374.

[9] Sul punto, Cass. Pen., sez. III, n. 14720/2008; Cass. Pen., sez. III, n. 25147/2009; Cass. Pen., sez. III, n. 39079/2013.

[10] Cass. Pen., sez. III, n 40481/2013.

[11] Così Cass. Pen., sez. III, n. 29636/2018. Si rimanda a Di Fiorino eProcopio, Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: la cassazione impone un rigoroso accertamento della natura fraudolenta degli atti, su questo sito web.

[12] Cass. Pen., Sez. Un., n. 12213/2018.

[13] Sul profilo della rilevanza penale degli atti, che rendono più difficoltoso il rinvenimento delle somme da parte del Fisco si veda Santoriello, Abuso del diritto e conseguenze penali, 2017, Eutekne, p. 532, secondo cui non rilevano quelle condotte di trasferimento di denaro prive di idoneità offensiva (quale ad esempio, il trasferimento della somma dal conto corrente della società a quello del titolare persona fisica o dei suoi parenti), bensì quelle tali da rendere eccessivamente gravosa la tracciabilità degli spostamenti.

[14] Santoriello, op. cit., p. 529.

[15] Cass. Pen., Sez. III, n. 13233/2016.

[16] Traversi, La difesa del contribuente nel processo penale tributario, 2014 Giuffrè Editore, p. 380.

[17] Cass. Pen., Sez. III, n. 232/2018.

[18] Cass. Pen., Sez. III , n. 37415/2014, in cui la Corte osservava che «è evidente infatti che l’idoneità della condotta di costituzione di nuova società, cessionaria dei crediti vantati dalla originaria, a sottrarre tali importi al Fisco non può venire meno pur ove l’Erario possa, in ipotesi, rivolgersi anche a quest’ultima, rappresentando in ogni caso tale condotta un mezzo indubbiamente volto, al di là dell’esito, del tutto irrilevante nella struttura di mero pericolo, già considerata sopra, della fattispecie, a rendere più difficile l’aggressione dei beni del debitore; ciò che, evidentemente, basta ai fini di ritenere correttamente valutata, nell’ordinanza impugnata, la sussistenza del fumusdel reato».

[19] Cass. Pen., Sez. III, n. 49091/2012: «l’acquisto di quote della società e la conseguente assunzione della carica di amministratore comportano, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove ciò non avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze».

[20] Cass. Pen., Sez. III, n. 45730/2012.

[21] Cass. Pen., Sez. III, n. 19595/2012: «integra la condotta, rilevante come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte dovute da società, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, dal momento che nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario».

[22] Cass. Pen., Sez. III, n. 20678/2012.

[23] Cass. Pen., Sez. III, n. 36290/2011.

[24] Santoriello, op. cit., p. 527.

[25] Zanotti, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Rass. Trib., 2001, p. 776.

[26] Pricolo e Trabacchi, Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Nocerino – Putinati (a cura di) La riforma dei reati tributari, Giappichelli Editore, 2016, p. 264.

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