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Editoriali

Spunti sulla proposta di linee guida sugli NPL

9 Ottobre 2017

Mario Comana

Professore Ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università LUISS Guido Carli di Roma

Di cosa si parla in questo articolo
NPL

È curiosa la tecnica legislativa delle autorità sovrannazionali in materia di vigilanza bancaria. La CRD IV è lunga 99 pagine, la BRRD 159, le Linee guida sulla gestione dei NPL’s consta di 142 pagine. L’addendum alle linee guida posto in consultazione il 4 ottobre è di sole 12 pagine che, a ben guardare, sono solo il minimo necessario contorno al nucleo essenziale, la mezza pagina finale che dice una cosa semplice: devi svalutare le sofferenze (e gli inadempimenti probabili) almeno del 50% all’anno, se non garantiti, o del 14,2876 e rotti all’anno se garantiti. Le 20 righe del paragrafo 4.2 intitolato alla calibrazione delle svalutazioni attese pesano infatti molto di più delle centinaia di pagine dedicate alla materia della valutazione e gestione del rischio di credito. E forse le smentiscono o, quanto meno, le vanificano. Perché se la vigilanza arriva a dirti quanto devi accantonare anno per anno a fronte dei crediti deteriorati, si capisce bene che tutte le altre prescrizioni, peraltro in larga misura condivisibili e opportune, scadono al rango di policies, di practices modello, utili forse per individuare elementi per ulteriori svalutazioni.

Al di là degli aspetti quantitativi, la peculiarità della tecnica normativa è proprio qui: come si concilia un approccio deterministico, altamente prescrittivo sotto il profilo quantitativo, con il ruolo della vigilanza che è quello di accertare la correttezza dei criteri e dei processi? I casi sono due: o il regolatore detta le quantità, o detta i metodi e poi ne verifica i risultati. Seguire entrambi gli approcci mi sembra francamente troppo.

Personalmente sono convinto, come credo la maggior parte dei teorici e dei pactictioners, che controllare il metodo, l’impianto, i processi di governo del rischio sia assolutamente preferibile e, se ben fatto, sufficiente. E non posso nascondere che ero convinto che la stessa vigilanza avesse sposato questo orientamento. L’addendum proposto quindi, mi ha quindi sorpreso non poco. Anche perché introduce parametri quantitativi molto precisi senza offrire alcun supporto di analisi d’impatto e, prima ancora, di verosimiglianza.

Altro limite risiede nell’insufficiente apertura delle fattispecie considerate: la gamma dei crediti nel portafoglio delle banche è ben più vasta del binomio securedunsecured. Si potrebbe obiettare che, trattandosi di livelli minimi da applicare a portafogli diversificati, non è necessario rincorrere una vasta articolazione tipologica di parametri, giacché la diversificazione, per definizione, avvicina alla media. Peccato che l’approssimazione alla media di popolazioni diversificate avvenga essenzialmente per compensazione di scostamenti positivi e negativi, mentre nel nostro caso laddove si richiedono accantonamenti superiori, questi vanno comunque effettuati, mentre quando gli standard sono eccessivamente prudenziali… si accantona lo stesso! Quindi si deve applicare il maggiore fra l’accantonamento standard e quello specifico. Ecco perché l’accantonamento medio sarà sempre, dal più al meno, maggiore di quello standard.

Francamente nessuno può dire se due anni per gli unsecured e sette anni i secured siano tanti o pochi. Ciascuno ha la propria percezione esperienziale che però resta priva di valenza probante se non supportata da verifiche sistematiche metodologicamente certificate. Cosa che, appunto, è mancata. Dai colloqui che ho avuto in questi giorni ho tratto la non sorprendente sensazione che gli operatori italiani giudichino i parametri adottati eccessivamente restrittivi. Ma se proviamo a fare uno sforzo di allontanamento dalla specifica situazione italiana, non risulterà del tutto implausibile affermare che se un credito garantito non viene realizzato entro sette anni forse non vale più niente. Ripeto, la prospettiva italiana ci porterebbe a dissentire da questa conclusione ma, come detto, dobbiamo sforzarci di ragionare con la testa a Francoforte e non a Cuneo o a Foggia. E allora ecco il punto cruciale della questione, a mio parere ancora più grave e sostanziale del singolo provvedimento: com’è possibile competere con regole uguali per gli intermediari di tutti i Paesi quando le concrete condizioni di gestione sono molto diverse per ragioni estranee al settore bancario? L’addendum chiarisce molto nettamente, al paragrafo 4.1, che “è irrilevante se le ragioni del ritardo nel realizzo delle garanzie siano al di fuori del controllo della banca ad esempio, il lasso di tempo necessario per la conclusione di un procedimento giudiziario” e ciò dà evidenza della consapevolezza della Bce dei divari di efficienza dei sistemi giudiziari fra i diversi Paesi. Ma si può pensare di modulare le attese della vigilanza in termini di accantonamenti sui crediti deteriorati in relazione alla rapidità della giustizia? Sembra difficile, anche perché allora si dovrebbe arrivare addirittura a considerare le differenze infranazionali, che da noi sono molto accentuate. Ma bisogna comunque provare, anche perché noi sappiamo che non raramente un credito in default da sette anni e più può generare ancora recuperi e l’esperienza ce lo conferma. Sappiamo che in futuro, se ci saranno recuperi, ci saranno anche le riprese di valore, ma intanto bisogna avere la forza di sopportare le svalutazioni.

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