Con ordinanza n. 16685 del 24 maggio 2022 (Pres. Cirillo, Rel. Cataldi), la quinta sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad analizzare il contratto di stock lending, ossia prestito di azioni, delineandone i tratti essenziali.
Cos’è il contratto di stock lending?
Il contratto di stock lending prevede un prestito di titoli con diritto all’incasso dei dividendi a fronte del pagamento di una commissione, da parte del mutuatario (borrower), e contestuale costituzione di una garanzia in denaro o altri titoli per un ammontare superiore ai titoli oggetto del prestito, a garanzia per il mutuante (lender) dell’obbligo di restituzione.
Attraverso il contratto di stock lending, il lender può beneficiare di margini reddituali senza aumentare i propri rischi di mercato, che rimangono quelli del proprio portafoglio, non alterando la flessibilità nella gestione dell’investimento e senza condizionare le scelte operative.
Il contratto di stock lending si caratterizza quindi per la mancanza di alea contrattuale rispetto al pagamento della commissione, da riconoscere a prescindere dal valore dei dividendi distribuiti.
La disciplina fiscale dello stock lending
Da un punto di vista fiscale, la presente ordinanza, sul presupposto dell’assimilazione tra prestito di azioni e usufrutto di azioni, ha confermato il proprio precedente orientamento espresso anzitutto con sentenza del 12 maggio 2017, n. 11872, secondo cui il costo della commissione riconosciuto dal prestatario (borrower) in favore del prestatore (lender) quale corrispettivo del prestito deve ritenersi indeducibile, al pari di quanto avviene per il costo di acquisto del diritto d’usufrutto.