La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 470 del 13 giugno 2024, è intervenuta sull’inclusione, nel calcolo della retribuzione globale di fatto, ai fini dell’indennità di preavviso e di fine rapporto (tra cui il TFR), di quanto ricavato dalla vendita di stock options, nonché quanto percepito dal lavoratore per il lavoro prestato all’estero (c.d. indennità estero).
Il contenuto della retribuzione “non occasionale”
La Corte ricorda che, in base all’art. 2099, 3° comma C.c. il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
Il preavviso è regolato dall’art. 2118 C.c., che rinvia, per la determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, alla disciplina del CCNL di settore, e dall’art. 2121 C.c., che, al primo comma, sancisce tale indennità deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
In relazione al TFR, l’art. 2120 C.c., prevede che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua comprende tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
Nel caso di specie, l’art. 24 del CCNL di settore non effettuava peraltro alcuna deroga a tali principi.
In base a tali norme, quindi, ogni elemento della retribuzione non occasionale e non erogato a titolo di puro rimborso spese, incide nel computo del TFR e deve altresì essere considerato, quale media nel triennio precedente, per il calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Una deroga al predetto principio generale, in tema di TFR, è, infatti, ammessa solo nel caso di diversa previsione della contrattazione collettiva di settore, mentre per il calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso valgono solo i principi dell’art. 2121 C.c., senza possibilità di deroga delle parti: sul punto, la giurisprudenza è peraltro univoca nel ritenere che ai fini del calcolo del TFR i criteri di quantificazione della retribuzione annua fissati dall’art. 2120 C.c. possano essere derogati solo dalla normativa collettiva intervenuta successivamente all’entrata in vigore della norma di legge.
Il concetto di retribuzione recepito dagli art. 2118, c. 2 C.c. (ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso in caso di licenziamento) e art. 2120 C.c. (ai fini del calcolo del TFR) è ispirato al criterio dell’onnicomprensività: vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa; vanno invece escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand’anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro (cfr. Cass. sez. lav. – 01/10/2012, n. 16636).
La Corte, in riferimento al caso di specie, ha quindi considerato irrilevante nella specie quanto previsto nella side letter della società che escludeva le indennità estero e le stock options dalla retribuzione globale di fatto, potendo la stessa, al più, valere per istituti solo contrattuali, come la 13a, ma non con riferimento al TFR o all’indennità sostitutiva del preavviso, istituti non derogabili se non dalla contrattazione collettiva (il primo).
Le indennità estero
I principi sopra richiamati, come ricorda la Corte, sono affermati da costante giurisprudenza anche con particolare riferimento alla c.d. indennità estero: ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120, c. 2 C.c., ed in assenza di una espressa deroga contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero, o in altra sede lavorativa, è desumibile da indici sintomatici che denotino la non occasionalità dell’emolumento (v. Cass., 3/6/2019, n. 15124; conf. Cass., 22/07/2016, n. 15217).
L’emolumento, in sostanza, può essere ascrivibile alla categoria del rimborso spese, eccettuato dall’art. 2120c. 2 C.c., dal computo nella base di calcolo del TFR, ove abbia natura meramente riparatoria e costituisca una reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, conseguente ad una spesa che il lavoratore sopporta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, tenuto perciò a riparare la lesione subita; è inoltre normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa, richiesta per esigenze straordinarie, che trova fondamento in una causa autonoma rispetto a quella della retribuzione.
La Corte riporta, esemplificamene, le erogazioni effettuate dal datore di lavoro che consistono nella reintegrazione di somme effettivamente spese dal dipendente nell’interesse dell’imprenditore e non attinenti, perciò, all’adempimento degli obblighi impliciti nella prestazione lavorativa, cui egli è contrattualmente tenuto.
Ai fini della individuazione della natura di retribuzione, ovvero di rimborso spese, del trattamento corrisposto per lo svolgimento di lavoro all’estero, deve dunque aversi riguardo ad alcuni indici sintomatici, come:
- la continuità, periodicità ed obbligatorietà della somma corrisposta o del beneficio riconosciuto
- l’assenza di giustificativi di spesa
- la natura compensativa del disagio o della penosità della prestazione resa
- il rapporto di necessaria funzionalità con la prestazione lavorativa
- la sottesa garanzia di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro
- il prelievo contributivo effettuato
Nella specie, l’indennità estero percepita dal ricorrente, in assenza di una specifica esclusione stabilita dal CCNL, per la Corte d’Appello deve certamente ritenersi di natura retributiva in quanto:
- risulta erogata in modo continuativo ed obbligatorio
- in assenza di giustificativi di spesa
- con l’evidente funzione di compensare il disagio della prestazione resa, in rapporto di necessaria funzionalità con la prestazione lavorativa e con la sottesa garanzia di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro.
Il ricavato delle stock options
La Corte, anche in questo caso, richiama i numerosi precedenti sul punto, per cui l’utilizzo delle stock options costituisce una particolare forma di distribuzione di azioni ai dipendenti.
Mentre grazie all’art. 2349 c.c. una società può, con delibera dell’assemblea straordinaria, assegnare utili ai propri dipendenti emettendo per lo stesso importo speciali categorie di azioni da assegnare loro individualmente, con l’art. 2441 C.c., comma 8, si consente che l’assemblea straordinaria deliberi un aumento di capitale e contestualmente conferisca ai lavoratori il diritto di sottoscrivere le corrispondenti azioni, solitamente ad un prezzo più basso.
In quest’ultimo ambito si inserisce quella forma atipica di distribuzione delle azioni nota come stock options: la società predispone piani nei quali riserva ai dipendenti la facoltà di esercitare un’opzione di acquisto di azioni della società medesima ad un prezzo bloccato ed entro una determinata scadenza: in tal modo il lavoratore ha la possibilità di sottoscrivere azioni della società ad un prezzo fissato al momento dell’offerta.
Si tratta, ricorda la Corte, di una diffusa forma di retribuzione mediante partecipazione agli utili, il che è consentito dall’art. 2099 C.c.: la finalità è quella di incentivare la produttività e di fidelizzare i dipendenti, i quali a loro volta hanno la possibilità di realizzare una plusvalenza (che costituisce reddito da lavoro dipendente: cfr. Cass. n. 11214/11), pari alla differenza tra il valore di mercato che le azioni hanno maturato nel periodo in cui l’opzione era valida, ed il prezzo fissato al momento dell’offerta.
In conclusione, ricorda altresì la Corte, avendo le stock option natura retributiva, ogni controversia fra la società e il suo dipendente in ordine alla loro spettanza, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, secondo il rito speciale del lavoro.