In tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile “ratione temporis” alle cosiddette “stock options” va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio del diritto di opzione da parte del dipendente, a prescindere dal momento in cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata proprio sul prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato.
Nel caso concreto giunto all’attenzione della Suprema Corte, il diritto di opzione era stato effettivamente esercitato con l’assegnazione e la rivendita contestuale a terzi delle azioni successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 262/2006, normativa che ha posto norme più restrittive per l’applicazione del regime agevolato ex art. 51 comma 2, lett. g -bis TUIR in materia di stock options ai dipendenti, mentre l’offerta risaliva al 2004. La Cassazione ha ritenuto momento dell’effettivo esercizio dell’opzione, nonché momento in virtù del quale selezionare la disciplina applicabile, quello della rivendita delle azioni e del conseguimento di un maggior valore rispetto al momento dell’offerta. La Corte aggiunge che la regolamentazione fiscale delle stock options è estranea al carattere della periodicità, che porterebbe a un’ultrattività della disciplina applicabile al momento dell’offerta.
Nella stessa ordinanza, la Cassazione sottolinea che alle stock options non si applica la disciplina della rivalutazione dei valori di acquisto di partecipazioni in società non quotate, poiché, per i motivi anzidetti, la differenza tra i valori dei titoli al momento dell’acquisto e il prezzo originario non genera una plusvalenza, ma un reddito di lavoro dipendente.