1.- Da qualche tempo, e con successo, privati propongono in rete dei siti web appositamente intesi alla comparazione, tra più imprese offerenti, delle condizioni economiche relative a taluni prodotti finanziari. Dapprima confinato alle assicurazioni RC auto, il servizio si è esteso, più da vicino, ad altre aree di assicurazione; in prosieguo, pure a conti correnti, a mutui e a finanziamenti in genere.
È di questi giorni, poi, la notizia per cui un nuovo, prossimo intervento del legislatore provvederà all’istituzione di un sistema di comparazione on-line «dei principali prodotti bancari offerti dalle aziende di credito» (al risultato operativo coopererà anche l’azione del MEF, del MISE e della Banca d’Italia; cfr. l’art. 39 d.d.l. S. 2085 – Senato della Repubblica). Dovrebbe trattarsi, è presumibile, di uno strumento organizzato e gestito dal Pubblico.
Ora, diremmo sicuro che il fenomeno fattuale della comparazione on-line di prodotti finanziari non si sottrarrà a ulteriori sviluppi nel futuro; e assai importanti. Proprio come dato materiale, e come dato in sé stesso oggetto di un’inevitabile valutazione positiva; e dunque al di là delle problematiche tecnico-giuridiche che lo stesso non manca già (e non mancherà in futuro) di presentare. E pure al di là delle caratteristiche decisamente diverse che segnano il medesimo, a seconda la comparazione avvenga per mezzo di strutture pubbliche, o per mezzo di attività delle stesse imprese finanziarie o, ancora, attraverso terzi privati.
Data l’intrinseca novità della materia, nella presente sede conviene appuntare almeno qualche sommario ordine delle principali problematiche che l’attività del terzo comparatore privato – dei tre modelli, quello nei fatti senz’altro più avanzato – viene a presentare (sull’indicato d.d.l. competitività, v. per qualche cenno di primo momento Dolmetta, in IlSole24Ore, Plus24, 14 novembre 2015, p. 11).
2.- Nell’imboccata prospettiva occorre subito precisare che le caratteristiche di conformazione delle piattaforme ora in discorso ne vengono a marcare la distanza da ogni altro «motore di ricerca» che l’esperienza comune consegna: il punto di principale differenza fissandosi sulla dimensione standardizzata e fungibile dei prodotti oggetto di comparazione, la quale non si riscontra, per dire, nei siti relativi al settore immobiliare, o a quello dei beni di consumo. E anche segnalare in limine che i profili di sovrapposizione tra detto servizio e ipotetiche strutture pubbliche di comparazione sono, per loro natura, non più che parziali: in ragione, se non altro, dello scopo di lucro quale dato ordinante che segna l’attività del comparatore privato.
E ancora ricordare, sempre in via preliminare, che nel mese novembre del 2014 l’IVASS ha pubblicato sul sito una apposita Indagine sui siti comparativi nel mercato assicurativo italiano (non mancando di rilevare, dopo una descrizione dell’attualità italiana del fenomeno materiale, una serie di profili critici, così individuati: «conflitti di interesse»; «copertura di mercato. Indicazione del numero di imprese comparate»; il «prezzo come unico criterio di comparazione»; «rischi di comparazioni non imparziali»; «variabilità dell’output»; «abbinamento delle coperture accessorie alla RC auto»; «messaggi pubblicitari»; «consenso privacy e altre liberatorie»; «trasparenza delle informazioni sui siti»).
3.- Si pone come nucleo problematico iniziale – e per una certa misura di ingresso alle altre questioni – quello che ruota intorno ai profili qualificatori del contatto tra piattaforma e utente, ovviamente considerato, quest’ultimo, in via autonoma e distinta dai suoi eventuali rapporti con una o più imprese finanziarie «produttrici». Il tema si appunta sull’interrogativo su quale sia l’attività o il servizio svolto dal primo in favore del secondo: da una funzione meramente informativa, a quella percorsa da profili consulenziali, fino al diretto coinvolgimento nello stesso collocamento del prodotto. Il punto in parola apre, come facilmente si intuisce, al problema disciplinare della corretta selezione dello statuto contrattuale (regole del rapporto) – e pure d’impresa (eventuali autorizzazioni[1]) – applicabile alle fattispecie qui in discussione.
In sé distinto da quello appena evocato, quindi, è il tema dell’eventuale coinvolgimento dell’impresa finanziaria «produttrice» nelle dinamiche di costruzione e gestione della piattaforma. Naturalmente, il punto andrebbe analiticamente svolto a seconda della falsariga delle diverse modalità operative in cui il sistema di coinvolgimento potrebbe delinearsi.
Qui conviene tuttavia contenersi a una segnalazione basica: altro è l’attività di una piattaforma che raccolga, elabori e giustapponga – insciente l’intermediario – dati già pubblicamente reperibili; altro il caso in cui vi sia un accordo con gli intermediari avente per oggetto la trasmissione di dati non disponibili alla generalità degli utenti (se non a seguito di un contatto con il singolo intermediario); e altro ancora è il caso in cui siano pattuiti specifici sconti, o altre tecniche agevolative, destinate ai clienti che giungono all’intermediario per il tramite della piattaforma.
Da quest’angolo visuale, potrebbe infatti ritenersi che il coinvolgimento dell’intermediario nella raccolta dei contenuti della piattaforma venga a iscrivere la relativa dinamica in quella di una «pubblicità» ex art. 116 t.u.b., con tutte le conseguenze che, in punto di disciplina, derivano da una simile qualificazione: prima fra tutte, quella della vincolatività ex lege per l’intermediario delle condizioni portate sul sito (arg. ex art. 117, comma 7, t.u.b.).
4.- In ogni caso – e quindi anche a prescindere dai profili del coinvolgimento delle imprese offerenti – il problema del rifiuto dell’intermediario di addivenire alle condizioni esposte sul comparatore si pone come tema problematico cardinale nel rapporto utente-piattaforma. Due le sub-fattispecie di riferimento.
Prima di tutto, potrebbe darsi il rifiuto della banca di stipulare secondo le condizioni comunicate al comparatore, o da questo reperite – senza cooperazione dell’intermediario – nelle comunicazioni pubblicitarie degli offerenti. Altresì, il dato esposto nella piattaforma potrebbe essere non più attuale, in ragione di successive modificazioni da parte della banca (ciò che pone un tema ulteriore, che è quello della tempistica di aggiornamento della piattaforma concretamente esigibile[2]).
A fronte di siffatte ipotesi, viene inevitabilmente a sorgere il dubbio circa i termini della responsabilità del comparatore. Il quesito è se la divulgazione di condizioni economiche di un prodotto associato a un dato intermediario configuri, nell’un caso come nell’altro, una promessa del fatto del terzo (qui: l’impresa finanziaria «produttrice»), così obbligando il promittente a corrispondere un indennizzo agli utenti delusi nel loro affidamento (art. 1381 c.c.).
O, in via alternativa, se possa venire a delinearsi, in capo alla piattaforma, una propria responsabilità – di fonte immediatamente legale e soggetta alle regole proprie della responsabilità del debitore – per informazioni inesatte, dogmaticamente giustificata nella natura professionale dell’attività svolta dal comparatore, come categoria qualificante il «contatto» tra piattaforma e utente; secondo il paradigma, oramai ampiamente noto all’ordinamento interno, degli obblighi protettivi disgiunti da obblighi di prestazione. Il tutto eventualmente addizionato, ricorrendone nel caso gli estremi, da un concorso di responsabilità dell’impresa finanziaria «produttrice».
5.- Il dato della professionalità viene poi in rilievo (pure) per una ulteriore prospettiva, come riferita al rapporto che, per diritto vigente, corre tra gratuità del negozio e regime della responsabilità per inadempimento delle relative obbligazioni.
Poiché, se la linea di principio espressa dal sistema è quella di un alleggerimento della responsabilità da inadempimento, trattandosi di negozi gratuiti (cfr., 789, 798, 1710, 1768, 1812, 1821, 2030 c.c.), nell’opposta direzione di una maggiore severità nel vaglio di responsabilità (cfr. 1176, 1229, 1341, 1838, 2392 c.c.) va considerato che la fattispecie in parola espone una ipotesi di atto che si inserisce, come forma tipica di contatto con la clientela (e quindi come paradigma generale di conduzione del business) in una attività organizzata professionalmente e condotta con metodo economico.
Si tratterebbe allora di stabilire la prevalenza sistematica tra le due linee: sul piano del confronto tra le quali, come riflesso sui termini della situazione tipo presa in considerazione concreta, peraltro, a noi pare che non possa non prevalere la seconda.
6.- Un ultimo problema, a cui non può non accennarsi almeno (posta l’importanza capitale del medesimo), attiene ai termini e contenuti della comparazione in discorso. Tanto con riferimento alla selezione dei dati contrattuali effettivamente posti in considerazione (anche al di là, è naturale, della «classica» distinzione tra condizioni economiche e condizioni regolamentare); e quanto al numero e quanto alla qualità delle imprese finanziarie «produttrici» prese in reale considerazione; e quanto ancora alla espressione dei criteri ritenuti discriminanti per il compimento delle relative scelte di inclusione ed esclusione (da parte del singolo servizio di comparazione).
Davvero non si può pensare – sembra chiaro – che tutto questo possa risolversi nella tematica dell’efficienza del servizio portato dal comparatore sul mercato e quindi nelle reazioni valutative, positive o negative, da parte del pubblico degli utenti. Ché ciò farebbe premio, all’evidenza, su un’ottica falsa e fuorviante.
Il problema, in realtà, sembra muoversi tra il più classico dei canali d’acqua corrente tra la sponda di Scilla e quella di Cariddi. Certo che una comparazione che, piatta, riferisce tutto e tutto e, per di più, per ciascuna delle imprese finanziarie «produttrici» esistenti sul mercato, si manifesta come uno strumento informativo non-utile per il cliente (e forse neanche utilizzabile dallo stesso).
D’altro canto, la deformazione mediante comparazione – anche più insidiosa, a ben vedere, ove connessa all’agire di terzi indipendenti o comunque non apparenti come legati ad alcuno – sembra in effetti proporre un rischio di dimensioni davvero grosse; e già ora allarmanti (non a caso la già citata Indagine dell’IVASS viene a rilevare che «l’indicazione della “copertura di mercato”, intesa come quota delle imprese comparate rispetto al totale, è assente o misleading»; per pure aggiungere che, nei casi in concreto esaminati, viene addirittura «pubblicizzato un numero di imprese comparate superiore a quello effettivo»).
[1] Da quest’angolo visuale, in realtà, potrebbe sembrare diversa l’ipotesi in cui la comparazione si traduca in una meccanica giustapposizione di dati, con l’espressa avvertenza che vengono accostati solo taluni dati, non necessariamente quelli in concreto determinanti da quella in cui, invece, via siano più o meno accentuate elaborazioni e rielaborazioni, non accompagnate puntualizzazioni del raggio delle operazioni comparate che viene interessato.
[2] Tempistica peraltro orientata, in ragione delle caratteristiche dello strumento tecnologico utilizzato, sulla dimensione del «nano secondo».