Con la sentenza n. 17757 del 8 settembre 2016 le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono espresse sulla questione circa la sussistenza del diritto di detrarre le eccedenze di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo in cui sono esse maturate, in applicazione del combinato disposto degli articoli 19, 27, 28, 30 e 55 del D.P.R. n. 633/1972.
Le sezioni semplici della Corte di cassazione hanno ritenuto opportuno devolvere la questione alla Sezioni Unite, con ordinanza n. 15053/2014, a seguito della emersione di due differenti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento il diritto di detrazione viene meno esclusivamente per i crediti di imposta relativi ad operazioni non registrate e comunque non risultanti dalle liquidazioni periodiche. In altri termini il contribuente che ha regolarmente annotato le fatture dalle quali sorga un credito d’imposta e che abbia operato la detrazione nella dichiarazione periodica di competenza, non decade dal diritto di detrarre la relativa imposta in quanto la decadenza da tale diritto si verifica soltanto quando la detrazione non venga computata nel mese di competenza e non venga poi recuperata nella dichiarazione annuale, secondo il disposto dell’art. 28 del D.P.R. 633/1972. La sanzione della decadenza non può invece essere estesa allorché la detrazione sia stata regolarmente operata nel mese di competenza ma non risulti presentata successivamente la dichiarazione annuale.
Al contrario, secondo un successivo e più restrittivo orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, formatosi a partire dal 2001, il contribuente che, pur avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia omesso di indicarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 28 del D.P.R. 633/1972, fermo il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione del secondo comma dell’art. 30 del D.P.R. citato. Secondo questo orientamento tale conclusione non si pone in contrato con il principio di neutralità fiscale, criterio fondamentale su cui è stata delineata la disciplina europea dell’imposta sul valore aggiunto, né determina un indebito arricchimento dell’Erario poiché il sistema dell’IVA riposa sulla alternatività tra detrazione e rimborso. Ne deriva che, nell’ipotesi in cui non possa esercitare il diritto di detrazione per violazione degli adempimenti formali, il contribuente può in ogni caso esercitare il diritto al rimborso dell’IVA versata in eccedenza ex art. 30 D.P.R. 633/1972, se esercitato entro il termine di prescrizione.
In realtà la dottrina si è sempre mostrata critica nei confronti di quest’ultimo orientamento, seppur con diverse argomentazioni.
Una prima corrente dottrinale ritiene che nell’imposta sul valore aggiunto, di matrice comunitaria, valga il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. La disciplina legislativa subordina il diritto di detrazione a due soli presupposti: l’esistenza del credito risultante dalla dichiarazione annuale o da documentazione alternativa come la liquidazione periodica, e il rispetto del termine entro cui occorre esercitare tale diritto. Inoltre si sostiene che, a differenza dell’imposizione sui redditi, nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto il ruolo della dichiarazione è essenzialmente di riepilogo di dati preesistenti, risultanti dai registri, e di liquidazione definitiva. Di conseguenza la mancata presentazione della dichiarazione annuale non impedisce di detrarre l’IVA pagata e debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche.
Un secondo orientamento dottrinale, invece, assume una posizione più conciliativa assegnando importanza anche all’aspetto formale del tributo, cioè all’adempimento degli obblighi strumentali e formali richiesti al contribuente, a causa della complessità strutturale del tributo e del suo meccanismo giuridico basato sul diritti/doveri di rivalsa e detrazione. Tuttavia, secondo questa opinione dottrinale, nella IVA gli aspetti formali rilevanti sarebbero costituiti dalle liquidazioni periodiche e dal versamento dell’imposta, mentre la dichiarazione annuale offrirebbe esclusivamente la rappresentazione del complesso delle operazioni attive e passive svolte nell’anno.
Infine secondo una corrente minoritaria della dottrina, molto restrittiva, l’eccedenza di credito IVA maturata in un anno in cui la dichiarazione annuale risulti omessa può essere computata in detrazione, al più tardi, nel termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, fermo restando il potere-dovere della Amministrazione finanziaria di accertare l’esistenza del credito in questione con le modalità di cui all’art. 55 D.P.R. 633/1972.
Sul versamento comunitario la normativa dell’Unione Europea e la giurisprudenza della Corte di Giustizia sono unanimi nello stabilire la prevalenza della sostanza sulla forma, più precisamente che il fatto costitutivo del rapporto tributario con l’Erario nazionale è costituito dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre gli obblighi di registrazione, dichiarazione e gli altri adempimenti formali similari hanno una funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, volta ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. Pertanto l’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA va riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equipollente. Del resto la Corte di Giustizia ha costantemente affermato che in ambito IVA i soggetti passivi agiscono come collettori d’imposta per conto dello Stato e che il diritto alla detrazione, costituendo parte integrante e fondamentale del meccanismo del tributo, in linea generale non è soggetto a limitazioni, fatte salve le deroghe espressamente stabilite dal legislatore, e che gli adempimenti formali introdotti dagli Stati membri ai fini antievasivi non possono eccedere quanto necessario per il perseguimento di tale obiettivo e non possono in ogni caso violare il principio di neutralità dell’imposta.
Con la sentenza che si commenta, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione risolvono la questione sottoposta al loro vaglio applicando le norme e i principi elaborati in sede europea, e accolti sempre più frequentemente dalle più recenti sentenze della Suprema Corte italiana, statuendo che in presenza di una violazione formale, intesa come inadempimento di un obbligo distinto dalle condizioni essenziali previste dalle direttive IVA per l’esercizio del diritto di detrazione, la problematica va risolta sul piano probatorio. In altri termini, se il contribuente si attiene agli obblighi formali e contabili prescritti dalla normativa interna, grava sull’Amministrazione finanziaria che intenda disconoscere il diritto di detrazione l’onere della relativa contestazione e della prova. Diversamente, se il contribuente non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova della esistenza delle condizioni sostanziali alle quali la normativa comunitaria subordina l’insorgenza del diritto alla detrazione, indicati nell’art. 17 della VI Direttiva IVA. Tale conclusione è del resto pienamente conforme alla natura giuridica della dichiarazione fiscale, quale mera esternazione di scienza, al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. e al disposto dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, nonché alla ratio delle norme in materia di accertamento e di riscossione, dove il diritto al rimborso ha specifiche funzioni peculiari e distinte dall’attività di controllo, specialmente da quella di controllo automatizzato delle dichiarazioni.
Va inoltre evidenziato come su quest’ultima tematica si siano espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza immediatamente successiva a quella che si commenta.
Con la pronuncia n. 17758/2016 la Corte ha infatti affermato che il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio di impugnazione della cartella di pagamento emessa a seguito di attività di controllo formale automatizzato laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo d’imposta in cui il predetto credito è maturato, sia dimostrato in concreto oppure non sia controverso che sussistano i presupposti sostanziali ai quali la normativa dell’Unione subordina la sussistenza e l’esercizio del diritto di detrazione, sulla base del principio di neutralità fiscale dell’imposta e del principio di prevalenza della sostanza sulla forma.
Nell’applicazione nazionale dei tributi armonizzati, qual è l’IVA, si verifica di frequente un conflitto tra la neutralità dell’imposta (principio di logica europea) ed il diritto alla detrazione da un lato, e l’interesse nazionale di controllare il corretto adempimento della normativa tributaria da parte del soggetto passivo (cioè l’interesse fiscale) dall’altro.
Il ruolo fondamentale svolto dalla giurisprudenza comunitaria è stata quella di risolvere tale contrasto attraverso l’applicazione del principio di proporzionalità, adottato in una ottica funzionale, cioè mettendo in rapporto i valori e i beni giuridici in conflitto ed esaminando il grado di tutela che la misura in esame assicura allo scopo perseguito.
Tipico esempio pratico di applicazione del principio di proporzionalità in ambito IVA, del resto, è proprio la limitazione del diritto di detrazione nella ipotesi di esatto adempimento degli obblighi formali, questione affrontata proprio dalla pronuncia in esame.
In questi casi la Corte di Giustizia ha seguito una doppia linea interpretativa a seconda dell’origine/fonte degli obblighi formali.
Più esattamente, se gli obblighi formali sono stabiliti direttamente dalla normativa europea (ad esempio la esistenza della fattura), la giurisprudenza UE ha riconosciuto come proporzionato negare il diritto alla detrazione a meno che l’Amministrazione possa giungere al controllo di tali requisiti/obblighi mediante altri mezzi. Se, invece, gli obblighi formali sono stabiliti dalla normativa nazionale e non provengono direttamente dalla VI Direttiva IVA, la giurisprudenza UE attribuisce maggiore valore al principio di neutralità. Di conseguenza la norma nazionale viene considerata contraria alla normativa europea e viene riconosciuto il diritto alla detrazione anche in presenza di violazione degli obblighi formali.
In conclusione si può quindi sostenere che, con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di cassazione abbiano aderito alla normativa e giurisprudenza europee sancendo nuovamente, nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, il rispetto del principio di neutralità e della prevalenza della sostanza sulla forma, in linea del resto con i suoi più recenti arresti.