La terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con Ord. 13 giugno 2024, n. 16487 (Pres. Scrima, Rel. Ambrosi), si è espressa in materia di diritto di ritenzione convenzionale.
Ha quindi affermato che «il diritto di ritenzione pattizio attribuisce un diritto potestativo di ritenere il bene ad una delle parti del regolamento contrattuale, e tale diritto ha efficacia meramente inter partes tra retentor e debitore. Ebbene, a differenza del diritto di pegno che, viceversa, attribuisce una garanzia reale al creditore pignoratizio, il diritto di ritenzione pattizio non attribuisce al detentore alcun effetto di blocco della circolazione del bene, e soprattutto alcuno impedimento rispetto ad un’azione esecutiva esercitata da un terzo creditore (odierno ricorrente) e, come avvenuto nella specie, esercitata presso terzi, ove il terzo è la banca (odierna resistente) a ritenere i titoli obbligazionari del cliente, società debitrice (odierna intimata)».
Rifacendosi anche agli orientamenti delle sezioni penali relativamente ai presupposti dell’appropriazione indebita (Cass. pen., Sent. n. 27356/2001), il Collegio ha inoltre rilevato che, diversamente dal diritto di pegno, con il diritto di ritenzione convenzionale «al retentor [è] attribuito il diritto di rifiutare la restituzione dovuta, ma non [ha] alcun privilegio sulla vendita coattiva del bene, e meno che mai il diritto di procedere alla vendita diretta».
In particolare, il creditore di una società commerciale agiva in executivis nei confronti della banca di quest’ultima, terza pignorata, per il pagamento di un credito vantato nei confronti della società debitrice in forza di un decreto ingiuntivo non opposto.
Rappresentando di aver ormai venduto i titoli di credito della società debitrice depositati presso di sé, la banca rilasciava dichiarazione negativa ai sensi dell’art. 547 c.p.c.
Il creditore ha, perciò, domandato l’accertamento della nullità delle operazioni di vendita disposte dalla banca, l’accertamento della responsabilità risarcitoria di quest’ultima nei propri confronti e la conseguente condanna al risarcimento del danno subito, pari al credito accertato con il decreto ingiuntivo non opposto.
Tuttavia, i giudici di prime e seconde cure rigettavano le domande del creditore affermando che, sebbene in principio non sia consentito alla banca vendere i titoli e di rifarsi sul ricavato della vendita in forza di un diritto di ritenzione di fonte convenzionale, un siffatto diritto era nel caso di specie opponibile alla procedura esecutiva, che le operazioni di vendita e compensazioni di conseguenza operate dalla banca fossero legittimamente eseguite e, dunque, che il creditore non potesse vantare nei confronti della banca alcun diritto risarcitorio.
La Suprema Corte, tuttavia, ritenuta la contraddittorietà di siffatte motivazioni, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano.