Il contributo esamina la sentenza della Cassazione n. 4427/2025 sull’applicazione del look-through approach in tema di esenzione da ritenuta sui finanziamenti a medio-lungo termine concessi da soggetti esteri a imprese italiane, evidenziandone i profili interpretativi di maggior interesse per investitori e operatori del diritto. La sentenza della Cassazione, prima sulla fattispecie in oggetto e destinata ad avere un forte impatto sulla strutturazione degli investimenti in target italiane, è intervenuta in merito al requisito soggettivo dell’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 – in materia di esenzione da ritenuta sui finanziamenti a medio-lungo termine erogati alle imprese italiane da taluni soggetti esteri – statuendo che, in ipotesi di finanziamento indiretto, è con riferimento al terzo finanziatore, quale beneficiario effettivo degli interessi, che deve essere accertato il possesso del requisito soggettivo stabilito dalla norma in parola.
1. Premessa
Con portata innovativa per la fattispecie in commento rispetto al consolidato orientamento dell’Agenzia, la Corte di Cassazione è intervenuta, per la prima volta, ad interpretare la portata della disposizione agevolativa prevista dall’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 in materia di esenzione da ritenuta sui finanziamenti a medio-lungo termine[1] erogati alle imprese italiane da taluni soggetti esteri[2], statuendo che, in ipotesi di finanziamento «indiretto»[3], è con riferimento al terzo finanziatore – beneficiario effettivo del reddito imponibile – che deve essere accertato il possesso del requisito soggettivo stabilito dalla norma in parola.
Il principio di diritto statuito dalla Cassazione – che, come meglio analizzato infra, si basa, tra l’altro, sugli orientamenti emersi in sede unionale[4] – è antitetico rispetto alla posizione assunta dall’Amministrazione Finanziaria nel contenzioso de quo e in precedenti risposte ad istanze di interpello. Quest’ultima, infatti, ha ripetutamente sostenuto la tesi secondo cui la disposizione in commento non potesse essere interpretata sulla base di un approccio c.d. «look through», propugnando viceversa la tesi della sola rilevanza dello status del «prenditore diretto» degli interessi.
La Cassazione, nella sentenza oggetto di analisi nel presente contributo, ha ritenuto invece che la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate avrebbe potuto «addirittura […] incentivare il ricorso a strutture potenzialmente suscettibili di dar luogo a fenomeni abusivi», laddove i presupposti per l’applicazione del regime di esenzione in parola fossero stati verificati limitatamente al «percettore diretto» degli interessi (i.e. primo prenditore), senza considerare l’eventuale obbligo di retrocessione degli interessi da parte del primo prenditore ai soggetti a diverso titolo coinvolti nell’operazione di finanziamento[5].
La pronuncia in commento è destinata a comportare una profonda modifica delle modalità con cui, a partire da oggi, i gruppi societari e gli operatori del private equity dovranno guardare all’applicazione della disposizione agevolativa in parola rispetto alle proprie strutture di investimento, in funzione delle articolazioni e delle caratteristiche delle strutture medesime.
In proposito, infatti, giova ricordare che, nell’ambito del private equity e del M&A, molti «investitori istituzionali», per ragioni di segregazione del rischio e/o di natura regolamentare, strutturano i propri investimenti e finanziamenti mediante holding e subholding, le quali[6], alla luce della citata sentenza, ricorrendone i presupposti, potrebbero beneficiare dell’esenzione in parola, stante la retrocessione degli interessi.
La posizione della Cassazione, d’altra parte, potrebbe risultare «critica» per quelle articolazioni in cui il primo prenditore degli interessi risponda ai requisiti soggettivi previsti dall’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, ma non integri lo status di beneficial owner dei flussi percepiti[7]. Per tali casi, allora, si porrà un tema di difficile soluzione, trattandosi di contemperare: (i) da un lato, la necessità di applicare la disposizione agevolativa in parola secondo i canoni ermeneutici stabiliti dalla Suprema Corte e (ii) dall’altro, purtuttavia, il legittimo affidamento degli operatori rispetto ad un orientamento dell’Agenzia consolidatosi nel tempo.
Da ultimo, si anticipa che la sentenza in commento si inserisce in un più ampio filone della Suprema Corte, che assume la possibilità di applicare il look-through approach – ai fini dell’individuazione del beneficial owner – in diverse fattispecie di natura agevolativa, sia di matrice convenzionale, che di derivazione europea.
1.1 Il caso trattato e la questione controversa
La vicenda approdata dinanzi agli Ermellini muove dall’impugnazione, da parte di una società di capitali italiana (la «Società»), del silenzio-rifiuto formatosi in relazione ad un’istanza di rimborso[8] avente ad oggetto le ritenute versate sugli interessi corrisposti alla controllante lussemburghese della Società (la «Controllante»[9]).
Secondo la Società, infatti, in luogo della ritenuta convenzionale riconosciuta dall’art. 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo[10], avrebbe potuto trovare applicazione l’esenzione da ritenuta disposta dall’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973. Le pretese della Società muovevano dal fatto che gli interessi pagati erano ascrivibili ad un finanziamento concesso dalla Controllante, la quale era tenuta a retrocedere gli importi finanziati e i relativi interessi ad un fondo comune di investimento di diritto lussemburghese (il «Fondo»), socio unico della Controllante stessa ed «investitore istituzionale» eleggibile ai fini dell’esenzione di cui all’art. 26, co. 5-bis del DPR 600/1973.
La questione controversa, in realtà, si innestava in una più ampia attività di accertamento (avente ad oggetto, anche periodi di imposta anteriori all’entrata in vigore dell’esenzione in discussione[11]), che – per quanto di seguito specificato sulla riqualificazione del rapporto tra la Società stessa ed il Fondo operata dall’Agenzia – conviene brevemente richiamare.
Sintetizzando quindi gli eventi che avevano preceduto il giudizio di legittimità, si ricorda che:
- originariamente, per gli interessi in parola, la Società aveva ritenuto applicabile l’esenzione prevista dall’ 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, in recepimento della Direttiva interessi e canoni[12];
- nell’ambito di un’attività di verifica, l’Agenzia delle entrate rilevava l’assenza, in capo alla Controllante, dello status di beneficiario effettivo degli interessi (status ravvisato invece nel Fondo), necessario per l’applicazione dell’esenzione prevista dall’ 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, e conseguentemente, in virtù dell’asserito rapporto diretto tra la Società e il Fondo, riconosceva tutt’al più applicabile l’art. 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo;
- la Società, in ottica deflattiva del contenzioso[13], aderiva quindi all’impostazione dell’Agenzia, definendo i periodi d’imposta accertati e versando, per la conseguenza, la ritenuta agevolata prevista dall’art. 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo;
- dopo l’entrata in vigore dell’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, tuttavia, la Società provvedeva alla presentazione di un’istanza di rimborso delle ritenute sugli interessi per gli anni 2015 e 2017, alla luce – appunto – del rapporto intercorrente con il Fondo, già considerato dall’Agenzia come diretto. Sull’istanza di rimborso si formava il silenzio-rifiuto, avverso il quale la Società presentava ricorso, che la vedeva vittoriosa in tutti i gradi di giudizio.
Dalla sentenza de qua emerge come nei diversi gradi di giudizio l’Agenzia delle entrate, in maniera del tutto conforme rispetto a quanto dalla stessa affermato in precedenti documenti di prassi (cfr. infra), avesse ritenuto che il requisito soggettivo previsto dall’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 dovesse essere verificato unicamente rispetto al percettore materiale degli interessi, non prestandosi la norma ad un approccio interpretativo di tipo look-through[14].
2. La posizione dell’Agenzia
L’Agenzia delle entrate è intervenuta in merito al campo soggettivo di applicazione dell’esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 dapprima mediante la risoluzione n. 76/E/2019 e poi con le successive e conformi risposte ad istanza di interpello n. 423/2019, n. 125/2021 e n. 569/2021.
In proposito, per quanto di interesse ai fini della presente disamina, ci si limita a ricordare che nella risoluzione n. 76/E/2019 l’Agenzia ha ritenuto che né la formulazione letterale, né la ratio della norma in commento si prestassero ad una lettura di tipo look-through, negando altresì la possibilità di applicare, alla generalità dei casi, i chiarimenti da essa forniti attraverso la circolare 6/E/2016[15] – in tema di fusioni a seguito di acquisizione con indebitamento – atteso il peculiare contesto di operatività in cui gli stessi si collocavano.
Nello stesso solco interpretativo si colloca la risposta ad interpello n. 423/2019. Nel caso di specie, il quesito sottoposto da una banca olandese verteva sul trattamento fiscale da riservare a un contratto di sub-participation relativo ad un finanziamento a medio-lungo termine, originariamente erogato da tale banca olandese ad un’impresa italiana, in relazione al quale la sindacazione del finanziamento prevedeva la compartecipazione di un veicolo di cartolarizzazione irlandese, e dunque il ribaltamento, da parte della banca olandese (in qualità di fronter dell’operazione), di parte dei flussi derivanti dai pagamenti effettati dal prenditore (i.e. l’impresa italiana).
Rispetto alla fattispecie concreta rappresentata dall’istante, l’Agenzia – chiamata a esprimersi in merito (i) alla possibilità di qualificazione del veicolo di cartolarizzazione irlandese come beneficiario effettivo e (ii) alla riconducibilità dello stesso al novero degli investitori qualificati previsti dall’ultimo alinea dell’art. 26, co.5-bis del D.P.R. n. 600/1973 – ha ritenuto[16] che, in relazione al regime di esenzione ex art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, non valesse un approccio look-through, teso all’individuazione del beneficiario effettivo, e che viceversa il trattamento fiscale degli interessi corrisposti da parte del prenditore italiano dovesse essere unicamente valutato rispetto al percettore delle somme (i.e. la banca olandese, la quale, anche successivamente alla sindacazione del finanziamento, rimaneva il soggetto destinato a “percepire” le somme di denaro da parte del prenditore sostituto d’imposta).
Conseguentemente, l’Agenzia delle entrate ha chiosato sostenendo che il prenditore italiano, anche a seguito della sindacazione del contratto di finanziamento, potesse proseguire nella corresponsione degli interessi e degli altri proventi del finanziamento senza applicare alcuna ritenuta per effetto dell’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973[17], indipendentemente dalla successiva retrocessione degli interessi.
3. La decisione della Corte
Come indicato in premessa, la decisione della Suprema Corte, nell’accogliere la tesi della Società e nel conformarsi positivamente al responso fornito dai giudici di merito, si sviluppa e si attesta su posizioni del tutto antitetiche rispetto a quelle avanzate dall’Amministrazione Finanziaria.
Sotto il profilo dell’interpretazione letterale della disposizione, la Corte rileva che «Certamente non appare decisivo il richiamo alla lettera della legge, poiché l’impiego di una locuzione di tipo “materiale” si rinviene anche nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni conformi al modello OCSE, che condividono con il regime di esenzione in parola l’obiettivo di eliminare le doppie imposizioni sui flussi di interessi cross-border e che, per tale ragione, impongono un riferimento al reale possessore del reddito»[18].
La Corte richiama quindi l’art. 11 del Modello OCSE, che «si riferisce, infatti, agli interessi “pagati ad un residente dell’altro Stato” (paid to a resident of the other Contracting State), ma subordina il riconoscimento dei benefici convenzionali al fatto che “la persona che riceve gli interessi ne sia l’effettivo beneficiario” (if the beneficial owner of the interest is a resident of the other Contracting State)».
Con riferimento a tale ultima espressione (i.e., effettivo beneficiario), inoltre, la Corte richiama altresì la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (e segnatamente la sentenza 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C119/16 e C-299/16: di seguito, breviter, la “Sentenza Interessi”), e le proprie pronunce che la hanno condivisa (fra le altre, Cass. n. 26923/2024; Cass. n. 16173/2023; Cass. n. 11191/2023; Cass. n. 6005/2023), secondo la quale «il termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale” e coincide con il soggetto al quale il reddito sia fiscalmente imputabile in forza della sua disponibilità, designando “un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile“, se del caso da riconoscere mediante il cd. approccio look through».
In linea con tale impostazione, infine, la Corte sottolinea che il riferimento al «beneficiario effettivo», piuttosto che al «materiale percettore del reddito», costituisce «una corretta applicazione del principio di capacità contributiva»[19], affermando che relativa verifica va compiuta caso per caso, indagando su chi sia l’effettivo titolare del flusso reddituale, in linea con quanto previsto dall’art. 1 del T.U.I.R. che identifica, per l’appunto, nel possesso del reddito, inteso come materiale disponibilità del medesimo, il presupposto dell’imposizione.
Infine, secondo la Corte «Neppure il prospettato approccio finalistico conforta le tesi della ricorrente. Il regime previsto dall’art. 26, comma 5-bis appare infatti finalizzato al medesimo obiettivo – l’eliminazione del rischio di doppia imposizione – che ha ispirato l’introduzione dell’art. 26-quater in recepimento della Direttiva IRD [N.d.R.: interessi e royalty]». Al riguardo, il Collegio ricorda, in particolare, che l’esenzione di cui al comma 5-bis dell’articolo 26 è stata introdotta dall’art. 22 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, conv. con modif. dalla L. n. 116/2014 (c.d. Decreto Competitività) al termine di un lungo periodo di credit crunch, caratterizzato dalla notevole difficoltà per le imprese italiane di ottenere credito sul mercato bancario e finanziario domestico[20].
Conclude la Corte che «La tesi della ricorrente [N.d.R.: e cioè dell’Agenzia delle Entrate], pertanto, non solo non appare conforme alla ratio della norma, ma giunge al paradosso di minarla, se non addirittura di incentivare il ricorso a strutture potenzialmente suscettibili di dar luogo a fenomeni abusivi, laddove favorisce, ai fini del riconoscimento del regime di esenzione, la rilevanza di un “percettore diretto” degli interessi che, rientrando nelle categorie ex art. 26, comma 5-bis, possa beneficiare dell’esonero da ritenuta benché retroceda gli interessi incassati a favore di un terzo soggetto che, se invece li avesse direttamente percepiti, non avrebbe potuto usufruire dell’esonero per mancanza dei requisiti».
4. Principali profili interpretativi offerti dalla sentenza
4.1 Analisi introduttiva
La decisione della Corte presenta risvolti di particolare interesse sia sotto il profilo ermeneutico che in relazione al principio di diritto enunciato ed alle argomentazioni ad esso sottese[21].
Sotto il primo profilo, vale osservare come la Suprema Corte si discosti dall’interpretazione letterale propugnata dall’Agenzia[22] e ricostruisca il significato della disposizione valorizzando piuttosto la ratio legis, sulla base di un’interpretazione di tipo logico e teleologico, per arrivare infine a rafforzare le conclusioni raggiunte mediante un’argomentazione ab absurdo (secondo cui «la tesi della ricorrente, pertanto, non solo non appare conforme alla ratio della norma, ma giunge al paradosso di minarla, se non addirittura di incentivare il ricorso a strutture potenzialmente suscettibili di dar luogo a fenomeni abusivi, laddove favorisce, ai fini del riconoscimento del regime di esenzione, la rilevanza di un “percettore diretto” degli interessi che, rientrando nelle categorie ex art. 26, comma 5-bis, possa beneficiare dell’esonero da ritenuta benché retroceda gli interessi incassati a favore di un terzo soggetto che, se invece li avesse direttamente percepiti, non avrebbe potuto usufruire dell’esonero per mancanza dei requisiti»)[23].
Sull’interpretazione letterale della disposizione, in particolare, la Corte – come già indicato supra, sub § 4 – rileva che «Certamente non appare decisivo il richiamo alla lettera della legge, poiché l’impiego di una locuzione di tipo “materiale” si rinviene anche nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni conformi al modello OCSE, che condividono con il regime di esenzione in parola l’obiettivo di eliminare le doppie imposizioni sui flussi di interessi cross-border (…)».
Al riguardo, in realtà, a nostro avviso è importante richiamare l’attenzione sul fatto che il comma 5-bis dell’articolo 26 dispone l’esenzione da ritenuta in relazione agli interessi «derivanti» da finanziamenti «erogati» da soggetti qualificati[24] (e cioè tipizza la fattispecie di esenzione in relazione alla qualità del «sostanziale erogatore» del finanziamento[25]), ben prestandosi, pertanto, ad un’interpretazione letterale che prescinde dal rapporto diretto o indiretto tra (i) l’erogatore e (ii) l’impresa residente che beneficia del finanziamento. Quanto precede sembrerebbe vieppiù confermato dalla rubrica dell’art. 6 del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, che ha introdotto l’esenzione in questione, la quale recita appunto «Prestito indiretto per investitori istituzionali esteri», elemento, questo, richiamato e valorizzato dai giudici di merito come «ulteriormente indicativo della volontà del legislatore di estendere il beneficio anche ai finanziamenti indiretti»[26].
La “compatibilità” tra la lettera della disposizione, da un lato, e la possibilità che i finanziamenti da questa contemplati siano anche indiretti consente, quindi, di superare in radice la problematica (pure eccepita dall’Agenzia) della necessità di una «stretta interpretazione» della norma esentativa in commento: problematica che invece, come meglio si dirà infra, aveva diversamente orientato le conclusioni della Suprema Corte rispetto alle casistiche di finanziamenti indiretti valutate rispetto alla possibile applicazione dell’articolo 26-quater (implementativo della Direttiva interessi e royalty).
In relazione, invece, al profilo «contenutistico» (e cioè avendo riguardo al percorso argomentativo utilizzato e al principio di diritto affermato), quale emergente in particolare nella ricostruzione sistematica e teleologica della disposizione, è interessante osservare come la Cassazione giunga alle proprie conclusioni:
- da un lato, ravvisando nell’art. 11 del Modello OCSE, nella Direttiva interessi e canoni e nell’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 un’identica ratio[27], e richiamando quindi la nozione di beneficial ownership così come delineata nell’ambito delle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16 della Corte di Giustizia (già indicate come la “Sentenza Interessi”). Questo approccio – che, come detto, supera il consolidato e restrittivo orientamento dell’Agenzia circa l’interpretazione dell’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 – “recupera”, ai fini dell’interpretazione di una disposizione domestica, i chiarimenti ed i principi in materia di beneficial ownership elaborati a livello europeo, confermando, pertanto, la coerenza delle posizioni della Suprema Corte rispetto agli orientamenti della giurisprudenza unionale;
- dall’altro, individuando, nell’applicazione della beneficial ownership clause, una «corretta applicazione del principio di capacità contributiva», con conseguente necessità di verificare, caso per caso, chi sia l’effettivo titolare del flusso reddituale (cfr. ex multis Cass. n. 14756/2020), «in linea con quanto previsto dall’art. 1 del T.U.I.R. che identifica, per l’appunto, nel possesso del reddito, inteso come materiale disponibilità del medesimo, il presupposto dell’imposizione». Come osservato[28], ne consegue che siffatto soggetto coincide con quello cui «il reddito sia fiscalmente imputabile in forza della sua disponibilità, designando un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile, se del caso da riconoscere mediante il cd. approccio look through»[29].
4.2 In particolare: il richiamo alla “Sentenza Interessi” ed alla beneficial ownership clause di matrice convenzionale
Nello specifico, si ritiene che un passaggio fondamentale della pronuncia sia il richiamo alla Sentenza Interessi, secondo la quale, osserva la Suprema Corte[30], «il termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale e coincide con il soggetto al quale il reddito sia fiscalmente imputabile in forza della sua disponibilità, designando un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile, se del caso da riconoscere mediante il cd. approccio look through».
In proposito, si ricorda brevemente che il 26 febbraio 2019 sono state pubblicate le sentenze della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea aventi ad oggetto, rispettivamente, la Direttiva interessi e canoni (cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e 299/16) e la Direttiva madre-figlia (cause riunite C-116/16 e C-117/16), alla luce della clausola del «beneficiario effettivo» e del principio generale antiabuso, di cui sono stati analizzati la portata ed il rapporto reciproco.
In estrema sintesi, le due sentenze hanno fatto chiarezza[31] sui due concetti sopra menzionati, e statuito, inter alia, i seguenti princìpi[32]:
- (che) l’art. 1 della Direttiva interessi e canoni dev’essere interpretato nel senso che l’esenzione da tassazione per gli interessi versati ivi prevista è riservata ai soli «beneficiari effettivi» degli interessi medesimi, e cioè alle entità che beneficino effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e dispongano, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione. Secondo la Corte, peraltro, per interpretare la nozione di «beneficiario effettivo» ai fini unionali può farsi utile riferimento al Commentario OCSE, come modificato nel tempo, dato che la Direttiva interessi e canoni si ispira all’art. 11 del Modello OCSE condividendone la ratio (che è quella di evitare la doppia imposizione e di prevenire la frode e l’evasione fiscale);
- (che) il principio generale di diritto dell’Unione Europea secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle sue norme dev’essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione sui pagamenti di interessi e dividendi, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego;
- (che) la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione Europea, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non sia stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa unionale mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. Possono costituire indizi di un abuso, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti.
In entrambe le sentenze, peraltro, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea utilizza e valorizza il look-through approach, secondo cui, nelle ipotesi in cui l’immediato percettore non si qualifichi come beneficial owner[33], è possibile considerare lo stesso alla stregua di un’entità economicamente trasparente[34] (e quindi «guardare attraverso» questo stesso veicolo), andando a verificare l’applicabilità della Direttiva rispetto alle caratteristiche del(i) socio(i) di questi.
Nella prospettiva della Corte di Giustizia UE, tendenzialmente, l’applicazione del look-through approach dovrebbe portare ad esiti favorevoli al contribuente in tutti quei casi in cui, pur sussistendo una «conduit company», il beneficial owner possa essere identificato in un soggetto eleggibile per l’applicazione delle direttive, potendosi in tal caso ritenere integrate, rispettivamente: (i) la condizione della distribuzione del provento al «beneficiario effettivo» prevista dalla Direttiva interessi e royalty, e/o (ii) la prova dell’assenza di abusività della costruzione, ai fini dell’applicazione della Direttiva madre-figlia. Di converso, e per le stesse ragioni, il look-through approach potrà evidenziare l’artificiosità di una struttura ogniqualvolta il beneficial owner sia identificato in un soggetto extra-UE o comunque non eleggibile ai fini dell’applicazione delle direttive.
Tornando alla sentenza n. 4427/2025, qui in commento, quindi, emerge che la Cassazione:
- dapprima afferma l’identità di ratio tra l’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 e la Direttiva interessi e canoni (secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a sua volta «ispirata» all’art. 11 del Modello OCSE); e poi
- sulla scorta di tale premessa, interpreta l’art. 26, co. 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, alla luce delle nozioni e delle categorie concettuali declinate nella Sentenza Interessi.
4.3 Segue: la differenza con le pronunce sull’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973
L’approdo della Suprema Corte all’interpretazione dell’art. 26, co. 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 sulla base di un approccio sostanzialistico (basato cioè sull’individuazione del beneficiario effettivo, anche mediante il look-through approach) merita infine un’analisi di tipo comparatistico, e cioè un raffronto rispetto alle precedenti e recenti pronunce della stessa Corte in materia di ritenuta alla fonte sugli interessi pagati a consociate comunitarie, in attuazione della Direttiva interessi e canoni[35].
Ci si riferisce, inter alia, ad una serie di sentenze pronunciate dalla Cassazione in materia di esenzione degli interessi ex art. 26-quater, D.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. le sentenze nn. 6005, 6031, 6045, 6046, 6048, 6050, 6061, 6065, 6067, 6070, 6076 e 6079 del 28 febbraio 2023: c.d. sentenze gemelle relative al caso «Engie»; ed ancora Cass. 14905/2023, Cass. 510/2024 e Cass. 521/2024), nelle quali la Suprema Corte, dopo essersi soffermata sulla nozione di beneficial owner e dopo aver ricordato, altresì, che la Corte di Giustizia ammette il look-through approach, conclude tuttavia che «in tema di agevolazioni, ai fini dell’applicazione dell’art. 26-quater, comma 1, del D.P.R. n.600 del 1973, il quale dispone l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea, la detenzione, da parte della società che riceve il pagamento dei canoni o interessi, del 25% dei diritti di voto nella società che effettua il pagamento deve essere diretta, sicché la stessa non può essere anche indiretta in quanto, per un verso, trattandosi di disposizione avente natura agevolativa, è di stretta interpretazione e, per un altro, tale interpretazione è conforme all’art. 3 della Direttiva Consiglio 2003/49/CE [N.d.R.: sottolineature nostre]».
Tornando alla comparazione tra le pronunce, quindi, si rileva come, a nostro avviso, la più ampia formulazione letterale della norma agevolativa di cui all’art. 26, co. 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 ha consentito alla Suprema Corte di approdare ad un’interpretazione sostanzialistica della disposizione stessa[36], a differenza di quanto avvenuto con le pronunce sull’interpretazione dell’art. 26-quater, D.P.R. n. 600/1973, in materia di ritenuta alla fonte degli interessi pagati a consociate comunitarie, in attuazione della Direttiva interessi e canoni.
5. Conclusioni
La sentenza in commento offre diversi spunti di riflessione.
Innanzitutto, l’interpretazione teleologica seguita dal Collegio giudicante si traduce nel recepimento, nell’ambito di una norma di matrice domestica, di un principio (quello del look-through approach) affermatosi in ambito sovranazionale, previa individuazione di una ratio comune a disposizioni aventi diversa matrice (convenzionale, comunitaria e domestica)[37]. Il look-through approach, anzi, viene indicato quale espressione del principio di capacità contributiva.
Sotto altro profilo, riguardante i non meno importanti risvolti pratici, si rileva che la pronuncia in commento è destinata a riverberarsi – positivamente o negativamente a seconda dei casi – su tutte le strutture di finanziamento “indirette” attualmente esistenti o di nuova attuazione, atteso che il principio di diritto emanato dalla Suprema Corte è antitetico rispetto alla posizione assunta dall’Agenzia delle entrate nei diversi documenti di prassi da essa pubblicati in materia. Tale circostanza, inoltre, porrà inevitabilmente gli interpreti nella posizione di dover individuare un difficile bilanciamento tra la tutela della capacità contributiva, da un lato, e, la tutela dell’affidamento, dall’altro.
Infine – ed in ogni caso –, a fronte della portata innovativa della pronuncia, è auspicabile la pubblicazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, di un chiarimento ufficiale che prenda atto del suddetto principio di diritto e che fornisca ai contribuenti una maggiore certezza operativa, in un contesto, come quello degli investimenti transfrontalieri, così delicato per l’economia del Paese.
[1] Per finanziamenti a medio-lungo termine, in via del tutto analoga rispetto a quanto previsto dall’art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 ai fini dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti, si intendono finanziamenti la cui durata contrattuale è superiore ai diciotto mesi (cfr., inter alia, la risposta all’istanza di interpello n. 76/E/2019).
[2] L’agevolazione in commento, ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al D.lgs. 385/1993, trova applicazione ai finanziamenti erogati da: (i) enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, (ii) enti individuati all’art. 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della Direttiva 2013/36/UE, (iii) imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea e (iv) investitori istituzionali esteri, ancorché’ privi di soggettività tributaria, di cui all’art.6, co. 1, lett. b), del D.lgs. 239/1996, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti.
[3] Con tale locuzione si intendono tutte quelle fattispecie in cui, in capo al prestatore originario, siano imputabili degli ulteriori obblighi di natura contrattuale, a valere nei confronti di soggetti terzi, estranei al rapporto originario, di retrocessione dei flussi finanziari derivanti dal finanziamento.
[4] Si fa riferimento alle sentenze della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea aventi ad oggetto, rispettivamente, la «Direttiva interessi e canoni» (cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e 299/16) e la «Direttiva “madre-figlia» (cause riunite C-116/16 e C-117/16), anche note come i «Casi Danesi».
[5] In altri termini, osserva la Cassazione, portando a ragionamenti estremi l’impostazione seguita dall’Agenzia delle entrate, si potrebbe sostenere che, nel caso in cui il «percettore diretto» degli interessi rientri tra i soggetti di cui all’art. 26, co. 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, questi sarebbe legittimato a godere dell’esenzione, a prescindere dalla eventuale e successiva retrocessione degli interessi a soggetti terzi che, se avessero direttamente erogato il finanziamento, non avrebbero avuto i requisiti per beneficiare dell’esonero.
[6] Seppur indirettamente.
[7] In tali casi, infatti, le conclusioni raggiunte dalla Cassazione potrebbero portare alla negazione del beneficio dell’esenzione.
[8] L’istanza di rimborso era limitata agli anni d’imposta 2015 e 2017.
[9] Di per sé non rientrante nel novero dei finanziatori contemplato dall’art. 26, co. 5-bis del DPR 600/1973.
[10] Convenzione del 14/08/1982 n. 747 – Convenzione tra l’Italia e il Lussemburgo intesa ad evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire la frode e l’evasione fiscale, firmata a Lussemburgo il 3 giugno 1981.
[11] La verifica ha riguardato i periodi d’imposta 2012, 2013, 2014, 2015 e 2017.
[12] Direttiva n. 2003/49/CE del Consiglio dell’Unione Europea.
[13] E per cristallizzare senza passività potenziali la posizione fiscale della SICAR (i.e., il Fondo): così la sentenza.
[14] Nel caso di specie, infatti, l’Agenzia delle entrate aveva sostenuto che il requisito soggettivo per l’applicazione dell’esenzione doveva essere verificato esclusivamente in capo alla Controllante, senza attribuire rilevanza all’obbligo, in capo a quest’ultima, di retrocedere le somme al Fondo. Pertanto, secondo l’Amministrazione finanziaria, la Controllante, in quanto soggetto estraneo all’ambito soggettivo di applicazione della norma, non poteva considerarsi eleggibile ai fini dell’esenzione.
[15] Nel citato documento di prassi, l’Agenzia delle entrate, con particolare riguardo alle strutture di finanziamento c.d. “LIBOR”, aveva dato indirizzo ai propri uffici di abbandonare le controversie (e le contestazioni) concernenti il trattamento fiscale applicabile agli interessi corrisposti successivamente all’entrata in vigore dell’art. 26, co. 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 ed aventi ad oggetto la corretta applicazione delle ritenute in uscita relative a tali strutture o all’assenza della qualifica di beneficiario effettivo in capo al percettore, nella misura in cui i soggetti non residenti (ossia i credit support provider o i soggetti che hanno fornito la provvista alla società del gruppo) rientrino nell’ambito di applicazione della citata norma.
[16] Contrariamente a quanto affermato dall’istante.
[17] Tra l’altro, è interessante notare come l’Agenzia, nel fornire la propria risposta, abbia ignorato la natura del soggetto sindacante ai fini della sua riconducibilità al novero degli investitori qualificati ex art. 6 del D.lgs. n. 239/1996 (nonostante il quesito lo prevedesse espressamente, verosimilmente ritendendolo assorbito dalla risposta fornita al primo).
[18] In realtà, si osserva che la formulazione letterale dell’art. 26, co.5-bis del D.P.R. n. 600/1973 delinea la fattispecie dell’esenzione avuto riguardo alle caratteristiche del soggetto erogatore, senza fare alcun riferimento al primo percettore e/o alla qualità di beneficiario effettivo del medesimo. Peraltro, questa più «lasca» formulazione della disposizione agevolativa in commento, trova riscontro nella rubrica dell’art. 6 del D.L. n. 3/2015, «Prestito indiretto per investitori istituzionali esteri», che ha sostituito, nell’ultima alinea dell’art. 26, co.5-bis del D.P.R. n. 600/1973, la locuzione «organismi di investimento collettivo» con «investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti». Anche tale rubrica consente alla Corte di superare eventuali criticità interpretative connesse al principio secondo cui le norme fiscali di agevolazione sono di «stretta interpretazione». Nel caso di specie, dunque, è proprio l’interpretazione letterale della norma che non rappresentare una causa ostativa ad una interpretazione della medesima sulla base del look-through approach, elemento questo che supera l’eccezione avanzata dall’Agenzia delle entrate di seguire un percorso di stretta interpretazione della disposizione agevolativa.
[19] In questi termini, la beneficial ownership clause rappresenta un’interessante declinazione del concetto di capacità contributiva, anche se, come Autorevolmente sottolineato, tale clausola si sviluppa in ambito OCSE come strumento di contrasto alle pratiche di c.d. «treaty shopping»: cfr. su tale profilo, ex multis, L. Carpentieri, “La clausola del beneficiario effettivo nelle direttive europee: le sentenze “danesi” e i rapporti con il divieto di abuso del diritto”, in Rivista Telematica di Diritto Tributario, 30 gennaio 2025.
[20] Si legge nella sentenza che «Nella relazione illustrativa a tale articolo è specificato che esso è volto ad “eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, favorendo l’accesso delle imprese italiane a costi competitivi anche a fonti di finanziamento estere”; la stessa Amministrazione ha poi chiarito che detta norma ha “l’obiettivo di favorire l’accesso al credito da parte degli operatori” residenti (risposta ad interpello n. 569 del 30 agosto 2021) e che, con essa, “il legislatore ha inteso eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica degli interessi, che economicamente risulta traslato sul debitore attraverso apposite clausole contrattuali, favorendo in ultima analisi l’accesso alle imprese italiane anche a fonti di finanziamento estere a costi competitivi” (Risoluzione n. 84/E del 24 settembre 2016).
Ora, se, come nella specie, il rapporto di finanziamento è connotato da un’interposizione, ragion per cui il materiale percettore degli interessi risulta tenuto a retrocedere quanto incassato a favore di un terzo, in capo al soggetto interposto non può verificarsi nessun fenomeno di doppia imposizione che necessiti di essere eliminato per effetto del riconoscimento dell’applicazione del regime di esenzione da ritenuta; d’altro canto, la doppia imposizione – che la norma intende invece prevenire – si verificherebbe in capo al beneficiario effettivo che subisce la tassazione sui relativi interessi».
[21] Oltre ad avere un significativo impatto pratico sulle strutture di investimento, come già rilevato in premessa.
[22] Si ricorda che la posizione dell’Agenzia, indicata nella propria risoluzione n. 76/E/2019 e nella risposta ad interpello n. 25/2021, era quella secondo cui «né la formulazione letterale, né la ratio della norma in esame si prestano a una lettura di tipo look through del relativo disposto». In relazione al primo profilo, in particolare, l’Agenzia aveva osservato che il comma 5-bis introduce una deroga alla disciplina generale dettata dal precedente comma 5, che prevede che siano assoggettati a ritenuta alla fonte, a titolo di imposta, i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti e “percepiti” da soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Quest’ultima locuzione – secondo l’Agenzia stessa – avrebbe indotto a ritenere che, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta, si debba fare riferimento esclusivamente alle caratteristiche soggettive del “percettore diretto degli interessi”.
[23] Senza pretesa di esaustività, in tema di interpretazione della norma tributaria si rinvia a G. Falsitta, Manuale di diritto tributario – Parte generale, Milano, 2023, pp. 186 e ss.
[24] Prevedendo letteralmente che «Ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, la ritenuta di cui al comma 5 non si applica agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché’ privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti».
[25] Per utilizzare l’espressione della stessa sentenza n. 4427/2025.
[26] Che quindi, in quanto non smentito dalla Suprema Corte, sembra aver contribuito alla valutazione della lettera della norma.
[27] Perché, specifica la Suprema Corte, «il regime previsto dall’art. 26, comma 5-bis appare infatti finalizzato al medesimo obiettivo – l’eliminazione del rischio di doppia imposizione – che ha ispirato l’introduzione dell’art. 26-quater in recepimento della Direttiva IRD», quest’ultima, a sua volta, ispirata all’art. 11 del Modello OCSE (cfr. in tal senso anche la «Sentenza Interessi»).
[28] Cfr. Assonime, Commento alla Sentenza n. 4427/2025 di Nicola Pennella.
[29]Tale prospettiva interpretativa è accolta anche dalle decisioni della Corte di Cassazione 8 giugno 2023, n. 16173; 27 aprile 2023, n. 11191; 28 febbraio 2023, n. 6005 e 10 luglio 2020, n. 14756 per la compatibilità di tale approccio con il principio di capacità contributiva).
[30] Come già ricordato sub par. 4.
[31] È determinato uno «snodo fondamentale» nel concetto di beneficial ownership rispetto alle direttive in commento: così L. Carpentieri, op. cit.
[32] Venendo qui richiamati i soli principi che rilevano rispetto ai temi trattati.
[33] Perché ad esempio (rectius: tipicamente) lo stesso è un veicolo interposto privo di sostanza economica.
[34] Così F. Brunelli – S. Tronci – L. Aquaro, “Il requisito del beneficiario effettivo nel contesto internazionale e domestico. Riflessi sulle strutture d’investimento del private equity”, in Riv. dir. trib., I, 2023, p. 21. Sul tema del “beneficiario effettivo” e sull’evoluzione del relativo concetto cfr., ex multis, G. CORASANITI, L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di Convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Diritto e pratica tributaria internazionale, Diritto e Pratica Tributaria, 6/2021, p. 2493.
[35] In Italia, infatti, la Direttiva interessi e royalty, entrata in vigore il 26 giugno 2003, è stata recepita con il decreto legislativo n. 143 del 30 maggio 2005, il cui art. 1, co. 1, lett. b) ha introdotto l’art. 26-quater al D.P.R. n. 600 del 1973, rubricato «Esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea». In argomento, cfr., inter alia, Agenzia delle Entrate, Circolare n. 47/E/2005.
[36] Nella sentenza n. 4427/2025, appunto, qui in commento.
[37] Come visto, il fatto che l’argomento letterale non sia parso decisivo nel dirimere l’applicabilità alla disposizione agevolativa in commento del look-through approach ha spinto la Corte a ritenere valido detto approccio anche ai fini della fattispecie in commento, in ragione del medesimo intento perseguito dalla norma, che, ripetiamo è quello di eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica della componente di reddito. Peraltro, è da tale finalità che la Corte ne esclude, seppure implicitamente, la violazione del principio secondo il quale le disposizioni agevolative sono norme di stretta interpretazione, atteso che l’interpretazione non preclude in alcuna maniera che il finanziamento sia veicolato in via indiretta, elemento invece, del tutto chiaro dalla rubrica dell’art. 6 del D.L. 3/2015.