L’argomento esaminato dalla Risoluzione n. 38/E del 15 maggio 2018 emanata dall’Agenzia delle Entrate (cfr. contenuti correlati) riguarda il regime IVA dell’attività di consulenza in materia di investimento fornita direttamente ai clienti investitori.
La problematica è stata sollevata con la richiesta di consulenza giuridica concernente l’interpretazione dell’art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972 da parte di una società di intermediazione mobiliare autorizzata a svolgere sia il servizio di gestione di portafogli sia il servizio di consulenza in materia di investimenti senza detenzione delle disponibilità liquide e degli strumenti finanziari della clientela e senza assunzione di rischi da parte delle medesime.
Più esattamente, la società istante chiedeva chiarimenti in merito al regime IVA a cui sottoporre il servizio di consulenza in materia di investimenti alla luce della evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e dell’orientamento espresso sull’argomento dal Comitato IVA nel Working Paper n. 849 del 22 aprile 2015.
Al riguardo è utile inquadrare sinteticamente la questione sotto il profilo fiscale.
In linea generale, il servizio di consulenza in materia di investimenti, definito dall’art. 1, comma 5, lett. f) del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente (potenziale investitore), dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario.
In materia di imposta sul valore aggiunto, l’art. 135, paragrafo 1, lett. f) della direttiva 2006/112/CE (i.e. direttiva IVA) dispone che “1. Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: […]f) le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli […]“
Sulla identificazione di quali però siano esattamente le transazioni relative a servizi finanziari esenti dall’imposta non vi è una interpretazione univoca e certa. Non è un caso, del resto, che la categoria delle esenzioni relative ai servizi finanziari e assicurativi rappresenti probabilmente la più importante fonte di controversie e questioni sollevate davanti alla Corte di Giustizia UE in termini di rilevanza sia numerica che economica.
La problematica, infatti, ha importanti conseguenze applicative in quanto l’esenzione, escludendo il diritto alla detrazione, e limitando l’ammontare dell’imposta complessivamente detraibile mediante il meccanismo del c.d. pro-rata, rappresenta una deroga al principio di neutralità del tributo che può causare, oltre che problemi tecnici relativi alla identificazione delle transazioni esenti, anche importanti perdite di gettito ed effetti distorsivi della concorrenza causati da un aumento dei costi a carico del consumatore finale.
Le ragioni dell’aumento esponenziale delle cause relative alla questione in esame risiedono nella mancata armonizzazione del sistema dell’imposta sul valore aggiunto e nella difficoltà da parte del Consiglio europeo, all’indomani dell’introduzione del tributo, a raggiungere una opinione unanime nella applicazione e modernizzazione della sua disciplina, esigenza che sorge in maniera più evidente in quei settori, quale quello dei servizi finanziari, caratterizzati da una crescente complessità e da una rapida evoluzione.
Sebbene le recenti iniziative legislative assunte dalla Commissione europea abbiano perseguito l’obiettivo di migliorare il sistema di funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto, riducendo il ricorso al contenzioso, rimane aperto il problema costituito dalla ricezione delle direttive comunitarie all’interno della legislazione dei singoli Stati membri. Di conseguenza spesso la Corte di Giustizia UE, pur negando esplicitamente tale ruolo, ha di fatto supplito alle carenze della legislazione attraverso la sua attività nomofilattica.
La complessità del problema si riflette nella questione sottoposta all’Amministrazione finanziaria e oggetto della Risoluzione in commento.
Nella disciplina nazionale, che recepisce quella comunitaria, le prestazioni di mediazione, interpretazione e mandato sono esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 4) e n. 9) del D.P.R. n. 633 del 1972.
Sulla individuazione di quali siano esattamente tali prestazioni nell’ambito delle più ampia categoria delle attività relative ai servizi finanziari non esiste tuttavia una regola chiara ed univoca.
In merito la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha adottato un approccio casistico, volto a fornire interpretazioni a singoli casi concreti e impedendo, pertanto, che si potesse individuare una regola di carattere generale applicabile alla generalità delle esenzioni in parola.
Con riferimento al servizio di consulenza in materia di investimenti, l’Amministrazione finanziaria ha inquadrato, ai fini IVA, tale attività nell’ambito delle prestazioni di mediazione, intermediazione e mandato esenti dall’imposta sul valore aggiunto in base al combinato disposto dei numeri 4) e 9) dell’art. 10, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 precisando che, affinché l’attività di consulenza in materia di investimenti possa fruire del regime di esenzione dall’imposta, è necessario che sussista un collegamento funzionale di tale attività rispetto ad un’operazione di negoziazione.
Analizzando la giurisprudenza della Corte europea, si desume che il concetto di “negoziazione” comprende “un’attività fornita da un intermediario che non occupa il posto di una parte in un contratto relativo ad un prodotto finanziario e la cui attività è diversa dalle prestazioni contrattuali tipiche fornite dalle parti di un siffatto contratto” (in tal senso Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 2001, causa C-235/00, CSC Financial Services Ltd, punto 39, conforme sentenza 21 giugno 2007, causa C-453/05, Volker Ludwig).
Successivamente i giudici comunitari, pronunciandosi in merito al trattamento fiscale delle prestazioni in materia di investimenti fornite da un terzo ad una società di investimento di capitali, gestore di un fondo comune di investimento, hanno incidentalmente precisato che “i servizi di consulenza forniti a persone fisiche o giuridiche che investono direttamente il loro denaro in titolo sono, invece, soggetti ad IVA” (Corte di Giustizia, sentenza 7 marzo 2013, causa C-275/11, punto 29), senza tuttavia che da tale asserzione sia possibile desumere una definizione univoca del servizio di consulenza in materia di investimenti e, conseguentemente, un regime fiscale di carattere generale applicabile a detto servizio.
Interpellato sulla questione, il Comitato IVA ha fornito il parere in base al quale “un servizio di consulenza in materia di investimenti in titoli in cui il prestatore del servizio di consulenza non è coinvolto nella negoziazione e conclusione del contratto tra il cliente e la parte che promuove i titoli, non rientra nel campo di applicazione dell’art. 135 (1) (f) della direttiva IVA”, risultando pertanto soggetto al tributo (Working Paper n. 849 del 22 aprile 2015).
Il parere fornito dal Comitato IVA, dunque, accoglie una definizione di “consulenza in materia di investimento” più ristretta, che non necessariamente coincide con la definizione di attività di intermediazione (i.e. negoziazione) fatta propria dalla Corte di Giustizia.
Ad avviso del Comitato consultivo IVA, infatti, il servizio di consulenza in materia di investimento non è sempre riconducibile ad una prestazione di mediazione, intermediazione e mandato esenti dall’imposta sul valore aggiunto in base al combinato disposto dei numeri 4) e 9) dell’art. 10, primo comma, del D.P:R. n. 633 del 1972, ma lo è soltanto se sia ravvisabile un intervento/partecipazione del consulente/prestatore del servizio nella conclusione del contratto tra il cliente/potenziale investitore e la parte che promuove/emette i titoli. In caso contrario a tale attività di consulenza torna applicabile il regime di imponibilità IVA.
Con la Risoluzione n. 38/E del 15 maggio 2018 in commento l’Amministrazione Finanziaria, dopo aver ripercorso sinteticamente l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, aderisce sostanzialmente all’interpretazione fornita dal Comitato consultivo IVA, delimitando la riconducibilità del servizio di consulenza in materia di investimenti fornito da una società alla nozione di attività di intermediazione (i.e. negoziazione) esente nei termini sopra indicati, da valutare nel caso concreto.
Tale soluzione aderisce del resto al criterio di stretta interpretazione adottato di frequente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE nella interpretazione delle disposizioni legislative in materia di imposta sul valore aggiunto derogatorie al principio di neutralità del tributo, in particolare quelle in materia di esenzioni, al fine di garantire, per quanto possibile, l’applicazione eguale ed uniforme del tributo e al fine di eliminare gli effetti distorsivi alla concorrenza nel mercato comune.