La sentenza in analisi origina da una controversia societaria insorta tra i successori universali di due soci di una società semplice. Data la complessità della vicenda, sembra opportuno in questa sede ripercorrere sinteticamente i fatti in causa.
Nell’anno 1995 il soggetto intimato nel procedimento in commento (di seguito “Caio”) adiva la giustizia ordinaria per vedersi riconoscere il diritto a percepire gli utili maturati nell’anno 1993 dalla gestione di una società semplice, sciolta nel medesimo anno in conseguenza della morte di uno degli allora due soci della stessa, richiedendone il pagamento alla ricorrente (di seguito “Tizia”). Il giudizio veniva definito in favore di Caio con sentenza di secondo grado immediatamente esecutiva e, per l’effetto, Tizia versava il relativo importo nel 2002. Tale sentenza, impugnata dalla stessa Tizia, veniva poi cassata dalla Suprema Corte con giudizio che non veniva riassunto nei termini perentori da nessuna delle parti, dovendosi pertanto ritenere estinto “l’intero giudizio” ex art. 393 c.p.c., con il venir meno delle sentenze di merito pronunciate.
Tizia adiva quindi la giustizia ordinaria nel 2008 richiedendo al Tribunale di Vigevano di accertare l’intervenuta prescrizione del credito vantato da Caio, deducendo la sopravvenuta mancanza del titolo giustificativo del pagamento effettuato in favore dello stesso in conseguenza dell’estinzione del giudizio precedentemente intercorso fra le parti. Il Tribunale riconosceva il diritto della ricorrente ad ottenere la restituzione delle somme contestate. La sentenza di primo grado veniva quindi appellata di fronte alla Corte d’Appello di Milano che, in parziale riforma della decisione di prime cure, riteneva fondata l’eccezione riconvenzionale formulata da Caio avente ad oggetto la richiesta di accertamento del proprio credito, sostenendo questi che alcun termine prescrizionale ex art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 cod. civ. potesse essere opposto da Tizia in merito ai suddetti crediti, in quanto la stessa aveva eseguito “senza alcuna riserva” il pagamento del relativo importo nell’anno 2002.
Tizia impugnava quindi la sentenza di appello per Cassazione. I giudici di legittimità ritenevano però che l’art. 393 c.p.c. (in forza del quale è previsto che la mancata tempestiva riassunzione del processo avanti il Giudice del rinvio determina l’estinzione “dell’intero processo”, fatto salvo l’effetto vincolante, nell’eventuale nuovo giudizio, della pronuncia della Corte di Cassazione) dovesse essere necessariamente coordinato con l’art. 310 c.p.c. (secondo cui l’estinzione del processo non travolge le “sentenze di merito” pronunciate nel corso dello stesso e quelle regolative della competenza). Dal combinato disposto di tali norme emergerebbe, infatti, che le statuizioni delle sentenze di merito emesse nel corso del giudizio estintosi per mancata riassunzione nei termini e che non siano state investite dagli atti di impugnazione proposti dalle parti nei diversi gradi “passano, comunque, in giudicato venendo ad esplicare la propria efficacia preclusiva ex art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. nel nuovo giudizio di merito – eventualmente riproposto – tra le medesime parti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 6712 del 15/05/2001; id. Sez. 3, Sentenza n. 1680 del 07/02/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 23813 del 21/12/2012)”. Ritengono pertanto i giudici di legittimità che, avendo la sentenza emessa della Suprema Corte nel 2005 (pronunciata nel precedente giudizio estinto per mancata riassunzione nei termini perentori) accolto il ricorso di Tizia solo in relazione al motivo concernente la determinazione del “quantum debeatur”, dovesse ritenersi passata in giudicato la statuizione di merito della sentenza di appello impugnata che accertava invece l’”an debeatur” relativamente al credito vantato da Caio.
I giudici di legittimità, nel rilevare “ex officio” il giudicato esterno formatosi sull’esistenza del credito di Caio, sostenevano pertanto che ogni questione di merito sollevata da Tizia circa l’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione di detto credito dovesse ritenersi preclusa nel giudizio in commento. Inoltre, avendo la ricorrente ammesso di aver effettuato il versamento in favore di Caio dopo aver ricevuto l’atto di precetto notificatole da quest’ultimo e avendo sostenuto che il credito di Caio fosse da intendersi prescritto ai sensi dell’articolo 2498 c.c., comma 1, n. 4, risulterebbe che la stessa abbia in concreto effettuato un pagamento di un credito ritenuto da questa già estinto, essendo, nel momento del pagamento, già decorso il termine prescrizionale quinquennale previsto dal predetto articolo. Conseguiva da ciò, per i giudici di legittimità, l’irripetibilità da parte di Tizia della somma versata in pagamento del credito prescritto, ai sensi dell’articolo 2940 c.c..