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Giurisprudenza

Sulla natura cautelare o non cautelare delle misure protettive

20 Dicembre 2024

Segnalata dal Dott. Antonio Ivan Natali, G.D. presso il Tribunale di Brindisi

Tribunale di Brindisi, 03 gennaio 2024 – G.D. Natali

Di cosa si parla in questo articolo

Il Tribunale di Brindisi, con ordinanza del 3 gennaio 2024 (G.D. Natali), ha rimesso in via pregiudiziale, ex art. 363 bis C.p.c., alla Corte di Cassazione, la dibattuta questione della natura “cautelare” o “non cautelare” delle misure protettive, nell’ambito del Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII).

Nel caso di specie, la Società depositava una proposta di concordato preventivo con il piano l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all’art. 39, c. 1 e 2 del CCII, e, contestualmente, richiedeva la sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati, qualificando la stessa quale misura protettiva (atipica): in difetto di qualificazione quale misura protettiva atipica, in alternativa, sarebbe possibile argomentarne la riconducibilità della suddetta richiesta alle misure cautelari.

Il G.D. condivide l’inquadramento quale misura protettiva, perché è evidente la funzione protettiva della misura e, d’altro canto, tale interpretazione – ove si scelga di accogliere la ricostruzione delle misure protettive, quali misure non cautelariesonera l’interprete dal vaglio della ricorrenza dei presupposti (tipici e stringenti) della tutela cautelare: periculum in mora e fumus boni iuris.

Inoltre, tale opzione appare maggiormente in linea con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, quale imposta da norme di rilievo sia costituzionale negli art. 24 e 113 Cost., sia sovranazionale negli art. 6 e 13 CEDU e 47 CDFUC; principio che non può non svolgere il ruolo di imprescindibile criterio esegetico nell’interpretazione delle norme processuali (e, a certi limiti, anche sostanziali).

IL Giudice nell’ordinanza di rimessione, ritiene che, al fine di comprendere quali profili fattuali della fattispecie concreta debbano essere vagliati ai fini della concessione della misura richiesta, costituiscono questioni logicamente preliminari quella della qualificazione della stessa alla stregua dei due modelli delle misure protettive atipiche e delle misure cautelari, e, prima di ciò, quella dell’individuazione dei presupposti applicativi delle stesse misure in seno alle procedure concorsuali: per il Tribunale, a destare perplessità interpretative, al punto da giustificare l’iniziativa di investire la Suprema Corte, è, in particolare, proprio tal ultimo aspetto, in considerazione della proliferazione di pronunce di segno difforme, in relazione al reale ambito operativo dei due cataloghi normativi.

Per il Tribunale, si tratta di una questione di particolare rilievo anche per l’assenza di una regolamentazione specifica della materia, specie sotto il profilo della individuazione dei presupposti applicativi degli strumenti a tutela del valore – impresa che, peraltro, parrebbero essere ascrivibili a contenitori giuridici non omogenei: le misure protettive e quelle di natura cautelare.

Da tale laconicità del dato normativo consegue la difficoltà di inquadrare, sotto il profilo qualificatorio, le misure specificatamente richieste in concreto nell’uno o nell’altro tipo e di individuarne il correlato regime applicativo.

Peraltro, la durata, fisiologicamente pluriennale della procedura, destinata a proiettarsi nel tempo per un intervallo considerevole, assume rilievo anche la possibilità di poter beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta e conseguita, in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le misure protettive.

Secondo il Giudice Delegato, a fronte di un dato normativo che si affida a previsioni, spesso, prive di effettivo contenuto definitorio, s’impone quindi la necessità di un intervento chiarificatore della Suprema Corte, al fine di chiarire quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse siano ascrivibili o meno al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc.

Da tale qualificazione conseguirebbe la necessità di accertare, ai fini della loro concessione, i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, seppur da vagliare secondo la peculiare declinazione che gli stessi assumono per le misure cautelari endoconcorsuali.

Il G.D. evidenzia la restrizione dell’accesso alla tutela speciale che quest’ultima opzione esegetica potrebbe determinare rispetto all’ipotesi in cui il vaglio giudiziale dovesse invece limitarsi al generico profilo funzionale dell’utilità o necessità per il buon esito della procedura concorsuale e, dunque, al risanamento dell’impresa, che appare la ratio immanente all’intero impianto del microsistema della Crisi e alla Direttiva Insolvency che ne costituisce il substrato normativo.

Evidenzia, altresì, come il fatto che venga in rilievo una materia c.d. a competenza “mista”, in cui sono, cioè, competenti anche gli organi con funzione legiferante dell’Unione, dovrebbe indurre a ritenere preferibile la tesi della natura non cautelare delle misure protettive, anche perché maggiormente in linea con il già evidenziato principio (comunitario) di effettività della tutela.

Infine, pone altresì le ulteriori questioni controverse relative:

  • alla sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati, cosi come, in generale, dei pagamenti, dovuti ai terzi, non essendo chiaro se la stessa debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre
  • se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta.

Ciò, in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive: a tal riguardo, l’alleggerimento probatorio in capo all’istante e la maggiore conformità al principio di effettività della tutela renderebbero preferibile la qualificazione in termini di misure protettive atipiche della richiesta di sospensione dei pagamenti.

Lo stesso principio dovrebbe indurre a ritenere praticabile il ricorso alle misure cautelari una volta che siano esauriti gli effetti di quelle protettive.

D’altronde, in tal senso depone anche la necessità di un’interpretazione comunitariamente conforme in una materia, qual è quella di specie, soggetta alla competenza concorrente dell’Unione.

Quesiti sottoposti al vaglio della S.C.:

  1. Quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse: 
    1. siano ascrivibili, in alternativa, al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc, o siano, comunque, accomunabili alla species delle misure d’urgenza endoconcorsuali, connotate dalla c.d. strumentalità attenuta, con conseguente necessità di accertare in relazione ad esse il duplice requisito del fumus boni iuris e del periculum in mora;
    2. abbiano natura non cautelare, con conseguente esenzione dal suddetto vaglio;
  2. in ogni caso, quali debbano ritenersi i presupposti applicativi per la concessione delle misure protettive (tipiche e tipiche);
  3. se la sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre e quali ne siano i presupposti applicativi;
  4. se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta. Ciò, in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive”.

 

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