Con la decisione in esame la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla quantificazione del danno derivante agli azionisti di minoranza dalla violazione dell’obbligo di offerta pubblica d’acquisto totalitaria.
Anzitutto è stata ribadita l’impossibilità di far coincidere in modo necessario e automatico il pregiudizio da mancato lancio dell’Opa con il risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata. Nella fattispecie considerata, infatti, il pregiudizio patito dall’azionista consiste in una perdita di chance e più in particolare nella perdita della possibilità di disinvestimento che l’Opa avrebbe dovuto assicurare e che, proprio per la mancanza dell’offerta, non è mai venuta ad esistenza.
In secondo luogo, è stato evidenziato come la giurisprudenza di legittimità avesse già chiarito che la valutazione del risarcimento non va rapportata esclusivamente al momento in cui si consuma la violazione dell’obbligo di lancio dell’Opa, in quanto è possibile ipotizzare un’incidenza di eventi successivi sul valore di borsa dei titoli rimasti nel portafoglio degli azionisti di minoranza danneggiati.
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: “il danno da perdita di chance di disinvestimento patito dall’azionista, perciò commisurato alle probabilità che l’azionista avrebbe aderito all’Opa che non ha invece avuto luogo, va determinato raffrontando il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa con il loro valore effettivo, ritratto dalle risultanze di borsa, secondo il successivo andamento del titolo, nell’arco temporale intercorrente tra il giorno in cui si è consumata la violazione dell’obbligo di Opa e quello del disinvestimento (se vi è stato, ovvero in caso contrario della proposizione della domanda risarcitoria)”.