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Giurisprudenza

Sulla revocatoria degli atti dispositivi di un fondo patrimoniale

28 Gennaio 2025

Corte di Cassazione, 06 novembre 2024, n. 28593 – Pres. De Stefano, Rel. Rossi

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, con sentenza del 06 novembre 2024, n. 28593 (Pres. De Stefano, Rel. Rossi), nell’ambito di un’azione revocatoria promossa dal curatore di un fallimento, si è pronunciata sulla revocabilità di un fondo patrimoniale fra coniugi, e, in particolare dei singoli atti dispositivi dei beni del fondo, in favore di terzi.

In particolare, questo il principio di diritto espresso dalla Corte:

L’azione revocatoria di un atto di costituzione di un fondo patrimoniale tra coniugi – atto non concretante una vicenda dispositivo traslativa dei beni che ne sono oggetto – determina, ad esclusivo vantaggio del creditore attore, l’inefficacia unicamente del vincolo di destinazione con tale atto generato, ma non anche dei successivi atti di disposizione in favore di terzi dei beni conferiti nel fondo, siccome atti non dipendenti dall’atto di costituzione dello stesso.

La Corte, preliminarmente, in parte motiva, a sostegno delle proprie argomentazioni, ricorda, quanto alla natura e agli effetti dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale, che l’atto integra un negozio segregativo, ovvero istitutivo di un patrimonio separato (rispetto al residuo patrimonio dei soggetti conferenti) e destinato, per volontà di legge, alla soddisfazione dei bisogni della famiglia.

Il conferimento di beni in fondo patrimoniale, dunque, non concreta una vicenda dispositivo-traslativa, ma importa la creazione di un vincolo di destinazione su tali beni, assoggettati ad un peculiare regime di amministrazione (art. 168-169 C.c.) e sottratti alla garanzia patrimoniale generica: sui beni in fondo (nonché sui frutti degli stessi), infatti, è fatto divieto di azioni esecutive, ma soltanto per il coattivo adempimento di debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Quanto allo scopo e agli effetti dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 C.c., la Corte precisa che tale azione consente di far accertare, unicamente a favore del soggetto che la esercita, l’inefficacia di “atti di disposizione del patrimonio” compiuti dal debitore e recanti pregiudizio alle ragioni creditorie, al fine di ricostituire nella sua pienezza la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 C.c., la cui consistenza sia ridotta dall’atto dispositivo del debitore, sì da impedire o limitare la soddisfazione del credito in via coattiva.

Per costante indirizzo della Cassazione, sono inoltre possibili oggetto di revocatoria anche atti non qualificabili in senso proprio come di disposizione del patrimonio (ovvero che non importano una fuoriuscita del bene dal patrimonio del debitore, quindi riducendone l’entità), ma soltanto in via mediata incidenti in maniera limitativa sulla garanzia patrimoniale generica, come l’atto di costituzione di fondo patrimoniale, definito come atto di liberalità o a titolo gratuito, privo di effetto traslativo o attributivo, idoneo a cagionare pregiudizio alle ragioni dei creditori, dacché comportante, ancorché nei circoscritti limiti all’espropriazione di cui all’art. 170 C.c., una più difficile o incerta esazione del credito.

Pertanto, ricorda la Corte, l’effetto della sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria di un atto costitutivo di un fondo patrimoniale è, quindi, l’inefficacia, ad esclusivo vantaggio del creditore attore, dell’apposizione del vincolo di destinazione sui beni e delle correlate limitazioni alle azioni esecutive contemplate dall’art. 170 C.c.: il positivo esperimento della revocatoria, in sostanza, ripristina la garanzia patrimoniale generica nella sua interezza, sin dall’epoca della trascrizione nei pubblici registri della domanda ex art. 2901 C.c.

Tuttavia, la dichiarazione di inefficacia del fondo patrimoniale, risultato dell’azione revocatoria, non si riverbera invece sui terzi che, pure con atto trascritto posteriormente alla trascrizione della domanda di revoca, abbiano acquistato diritti sui beni inclusi nel fondo revocato: la propagazione dell’inefficacia relativa, tipica conseguenza della azione revocatoria, ai terzi acquirenti di cui all’art. 2902/1 C.c., postula che oggetto della revocatoria sia un atto di disposizione di un bene ed opera soltanto per atti che dall’atto di disposizione si dipanano e che da esso dipendono.

Questo il ragionamento della Corte: l’atto di disposizione compiuto dal debitore cagiona la fuoriuscita del bene dal suo patrimonio con la traslazione ad un terzo, e ciò preclude, in radice, l’esperimento di azioni esecutive ad opera del creditore, sino al vittorioso esito della revocatoria; pertanto, l’art. 2902 C.c., estendendo l’inefficacia relativa anche agli atti successivi e dipendenti di circolazione, è indispensabile per consentire al creditore quelle azioni esecutive sul bene, che egli avrebbe potuto esperire ove l’atto di disposizione non fosse stato compiuto.

Diverso è quanto si verifica in ipotesi di costituzione di un fondo patrimoniale, ove si genera unicamente un vincolo di destinazione dei beni che non ne impedisce, in assoluto, l’espropriabilità, ma soltanto la limita, in modo contenuto.

Peraltro anche nel ristretto perimetro di operatività dell’art. 170 C.c., ovvero in relazione a debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, al creditore non sono affatto vietate iniziative conservative (sequestro, ipoteca) o addirittura esecutive (pignoramento) sui beni confluiti nel fondo patrimoniale, la cui efficacia resta solo condizionata all’esito dell’azione revocatoria.

Pertanto, “risulta allora eccentrico ipotizzare […] l’inefficacia degli atti di acquisto ad opera di terzi di beni costituiti nel fondo revocato, non foss’altro perché […] detti acquisti non dipendono dal (cioè a dire non rinvengono il loro presupposto logico giuridico nel) fondo patrimoniale attinto dalla revocatoria“.

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