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Giurisprudenza

Sulla rilevanza degli interessi di mora ai fini antiusura

26 Novembre 2018

Avv. Alfonso Quintarelli

Tribunale di Roma, 22 novembre 2018, n. 22543 – G.U.Landi

Di cosa si parla in questo articolo

Il Tribunale di Roma, con la sentenza in commento, prende posizione sulla discussa questione della riconducibilità degli interessi di mora alla normativa antiusura.

Come noto, sull’argomento, giurisprudenza e dottrina, si sono divisi a) tra coloro che ritengono anche gli interessi moratori senz’altro assoggettabili alle regole sull’usura; b) coloro che invece lo escludono; c) coloro che propugnano una terza posizione, che si può definire intermedia, la quale, pur riconoscendo l’assoggettabilità degli interessi moratori alla normativa sull’usura, ritiene che per un princìpio di omogeneità, il TEG contrattuale vada confrontato, non con il “semplice” TEGM (aumentato secondo legge) della relativa operazione bancaria, ma, almeno dal 2003, con il TEGM riferibile all’operazione bancaria, aumentato di 2,1 punti percentuali (secondo il risultato dell’indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia e pubblicata nei Decreti Ministeriali di rilevazione dei Tassi Medi dal 2003) aumentato secondo legge [1].

Una recente ordinanza della Suprema Corte (terza sezione civile, 30.10.2018, n. 27442 – cfr. contenuti correlati) sembrava aver posto una autorevole sanzione a favore della tesi della scelta sopra indicata sub a) della assoggettabilità degli interessi moratori alla normativa sull’usura, tout court e senza il correttivo dei 2,1 punti percentuali.

La sentenza del Tribunale di Roma si segnala perché, per quanto a nostra conoscenza, è la prima pronuncia della Giurisprudenza di merito che si pone in consapevole dissenso dalla citata sentenza della Cassazione, propugnando, invece, la scelta ermeneutica sopra ricordata sub c).

Su questo sentiero il giudice, dapprima rileva che secondo l’art. 2 della legge 108/1996, “la classificazione delle operazioni (per es. aperture di credito in conto corrente, mutui, leasing) è effettuata in base agli elementi indicati legislativamente e ritenuti caratterizzanti dell’operazione medesima, mentre il relativo TEGM è individuato valutando gli interessi (comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno) applicati nelle operazioni come sopra individuate” e, quindi, soggiunge “che anche gli interessi moratori dovrebbero, in quanto tali, essere considerati nel TEGM non potendo ritenersi la loro valutazione assorbita in quella degli interessi corrispettivi proprio in virtù della loro funzione risarcitoria e sanzionatoria che comporta generalmente, al momento della pattuizione di detti interessi moratori, la determinazione di un tasso superiore a quello dei meri interessi corrispettivi”, ma “nei decreti ministeriali è espressamente indicato che nei TEGM individuati per categoria di operazioni omogenee non sono stati considerate le pattuizioni degli interessi moratori e che viene riportato separatamente il dato statistico medio della maggiorazione degli interessi effettuata dagli operatori per il caso di ritardato pagamento”.

A questo punto il Tribunale ricorda, che prima dell’entrata in vigore d.l. 185/2008, conv. in l. 2/2009, vi era analogo problema per le commissioni di massimo scoperto, che non erano inserite nel TEGM, ma erano indicate a parte nei decreti Ministeriali, e che, al riguardo, sono intervenute, or non è molto, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza 20.06.2018, n. 16303.

Orbene, afferma il Giudice, le Sezioni Unite, dopo aver “ritenuto che le c.m.s. (come indicate originariamente dalla Banca d’Italia) dovevano comunque essere ricomprese nelle “commissioni” o “remunerazioni” del credito ex art.644 c.p., attesa la chiara natura corrispettiva delle predette rispetto alla prestazione creditizia della banca, rilevavano che l’esigenza di simmetria ed omogeneità tra i criteri di determinazione del TEG in concreto applicato al rapporto controverso ed il TEGM rilevante ai fini dell’individuazione in astratto del tasso soglia non potesse giustificare l’esclusione del calcolo di dette commissioni dal calcolo per valutare l’eventuale applicazione di interessi usurari”.

Sempre le Sezioni Unite, ricorda il Tribunale, precisavano che “la circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM non avessero incluso nel calcolo di esso anche dette commissioni, rilevava ai fini della conformità dei decreti stessi, quali provvedimenti amministrativi, alla legge di cui costituiscono applicazione, in quanto detta rilevazione sarebbe stata effettuata senza tener conto di tutti i fattori che la legge imponeva di considerare”, per cui “la mancata inclusione delle commissioni di massimo scoperto nei decreti ministeriali, non sarebbe stata idonea ad escludere la previsione legislativa che imponeva di tenere conto delle stesse, in considerazione della loro natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca, sia nel calcolo del tasso praticato in concreto che di quello del TEGM e, quindi, del tasso soglia con il quale confrontare il primo. Semmai, detta mancata inclusione avrebbe imposto al giudice ordinario di prendere atto dell’illegittimità dei decreti e disapplicarli, con conseguenti problemi quanto alla stessa configurabilità dell’usura presunta, basata sulla determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale”.

Quindi, segue il Tribunale, la Corte a Sezioni Unite “in caso di erronea indicazione del TEGM da parte dei D.M. in conseguenza della violazione delle relative prescrizioni di legge, non indicava quale soluzione quella di effettuare, comunque, un raffronto tra dati non omogenei, ma metteva in discussione la stessa possibilità di configurare in concreto un’usura presunta basata sulle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale a seguito della erronea rilevazione di detti tassi medi”; ciò, però, sempre secondo la Corte Regolatrice, non determinava la disapplicazione dei decreti ministeriali, perché negli stessi era comunque indicato l’ammontare medio nel periodo delle predette commissioni, seppur in maniera separata e, in tal modo, era possibile la comparazione tra TEG e TEGM, integrato dalla rilevazione separata, da cui ricavare tasso soglia.

Posto ciò e riportando gli esposti princìpi al caso in discussione, considerato che nell’ordinanza della Sezione Terza della Corte gli interessi moratori, in quanto assimilati agli interessi corrispettivi nel loro scopo economico di compenso, sono ritenuti assoggettati alla legge sull’usura e che i decreti ministeriali non li ricomprendono nel calcolo del TEGM, ma li fanno oggetto di una rilevazione separata, “al fine di consentire un raffronto di dati omogenei, tale dato, nel caso di specie il 2.1., andrà aggiunto al TEGM al fine di calcolare il tasso soglia per valutare l’usurarietà o meno dei tassi moratori pattuiti nelle diverse categorie di operazioni individuate nei decreti ministeriali medesimi”, pena, in difetto, si ricava implicitamente, la disapplicazione dei decreti ministeriali, per violazione della legge circa gli elementi da considerare nella determinazione del TEGM.

La sentenza che si annota è da condividersi perché applica alla fattispecie princìpi generali che, con riguardo alla stessa, sono stati statuiti dalle Sezioni Unite della Suprema Corte.



[1] Per una ricognizione delle varie posizioni, ci limitiamo, ex multis, ai contributi di: G.B. Fauceglia, Brevi note sull’accertamento dell’interesse di mora nel superamento del tasso soglia, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2018, 4, p. 435 e segg.; N. Rizzo, Gli interessi moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2018, 3, p. 359 e segg.; C. Robustella, Sull’applicabilità del limite dei tassi «soglia» agli interessi moratori, Rivista Trimestrale Diritto e Procedura Civile, 2016, 3, p. 1003 e segg.; ove anche riferimenti alla giurisprudenza di merito.

 

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