L’Avvocato generale della Corte di Giustizia UE, Henrik Saugmandsgaard Øe, ha presentato le proprie conclusioni nella causa C‑452/18, in cui la Corte è chiamata a pronunciarsi in merito all’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva 93/13/CEE relativamente alla possibilità per un consumatore di rinunciare contrattualmente ad avvalersi del carattere abusivo di una determinata clausola.
Di seguito le conclusioni.
1) Qualora un consumatore e un professionista siano vincolati da un contratto, siano sorti seri dubbi circa il carattere potenzialmente abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di una clausola di tale contratto, e le parti, mediante un accordo successivo, abbiano modificato la clausola di cui trattasi, confermato la validità del contratto originario e rinunciato reciprocamente a contestarne in sede giurisdizionale le clausole, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva summenzionata non osta a che all’accordo in parola sia riconosciuta forza vincolante nei confronti del consumatore, purché detto accordo derivi da un consenso libero e informato da parte di quest’ultimo.
2) Una clausola contrattuale non è stata oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quando il consumatore non ha avuto un’effettiva possibilità di esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. Tale aspetto va valutato alla luce delle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto e, in special modo, dell’ampiezza delle discussioni intervenute tra le parti relativamente all’oggetto su cui verte detta clausola. Qualora si tratti di una clausola standardizzata preventivamente redatta, incombe al professionista fornire la prova che la stessa è stata oggetto di un siffatto negoziato, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva in parola.
3) Una clausola che comporta rinuncia reciproca alle azioni legali, che non è stata oggetto di negoziato individuale, è abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, eccetto nell’ipotesi in cui detta clausola sia stipulata nell’ambito di un accordo il cui oggetto stesso consiste nella definizione di una lite sussistente tra consumatore e professionista. Ciò nondimeno, anche in una simile ipotesi, una clausola del genere deve essere conforme all’imperativo di trasparenza risultante dall’articolo 4, paragrafo 2, e dall’articolo 5 di detta direttiva. Relativamente ad una clausola di un siffatto accordo che comporti rinuncia reciproca a contestare in sede giurisdizionale la validità di una clausola contrattuale preesistente, si reputa che un consumatore medio comprenda le conseguenze giuridiche ed economiche che gliene derivano se, al momento della conclusione di tale accordo, è consapevole del vizio che inficia potenzialmente quest’ultima clausola, dei diritti derivanti dalla direttiva medesima che poteva invocare al riguardo, del fatto che era libero di concludere l’accordo in parola o rifiutarlo e di adire il giudice, nonché del fatto che non potrebbe più farlo dopo la sua conclusione.
4) Una clausola «di tasso minimo», che non è stata oggetto di negoziato individuale, dev’essere considerata trasparente, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5, della direttiva 93/13, quando il consumatore è in grado di comprendere le conseguenze economiche che gliene derivano. In particolare, il contratto che la contiene deve esporre in modo trasparente le motivazioni e le peculiarità del meccanismo previsto dalla clausola di cui trattasi. Per contro, non si può richiedere al professionista di illustrare, in una prospettiva futura, le mensilità che il cliente dovrebbe pagare in mancanza di detta clausola.