Il Collegio di coordinamento ABF (Pres. Maugeri, Rel Lucchini), con decisione n. 9747 del 13 settembre 2024, pubblicata oggi sul sito dell’Arbitro, si è espresso nuovamente sul diritto del cliente alla restituzione delle rate di un finanziamento, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del fornitore.
Questo il principio di diritto espresso:
Nel caso di cui all’art. 125-quinquies, comma 1°, T.U.B., il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dall’eventualità che il finanziamento sia stato integralmente rimborsato, anche qualora l’estinzione sia avvenuta dopo la proposizione del ricorso.
In particolare, la questione di merito oggetto della pronuncia atteneva alla portata applicativa, in relazione al caso di specie, del principio, già espresso dal Collegio di Coordinamento (con decisione n. 12645/2021), secondo cui, nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 125-quinquies del TUB, “il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato”.
Veniva quindi richiesto, più nel dettaglio, se anche l’estinzione intervenuta dopo la proposizione del ricorso o, in ipotesi, dopo la proposizione del reclamo, precluda o meno il diritto alla restituzione delle rate.
Il Collegio ritiene che la soluzione della questione sembra dipendere dalla natura che si intende attribuire al diritto alla risoluzione di cui all’art. 125- quinquies TUB:
- se si qualifica tale risoluzione come un’ipotesi di risoluzione di diritto – che postula un mero accertamento del giudice – ne conseguirebbe che l’effetto risolutivo interviene prima dell’introduzione del ricorso (o la presentazione del reclamo), cosicché eventuali pagamenti successivi allo scioglimento del vincolo contrattuale non comprometterebbero il diritto alla restituzione delle rate versate
- se si qualifica la risoluzione in questione come risoluzione giudiziale, allora l’effetto risolutivo si verifica solo con la pronuncia giudiziale, sicché si dovrebbe concludere che l’integrale pagamento delle rate che si verifichi nelle more del procedimento impedirebbe una pronuncia di risoluzione, posto che questa sarebbe preclusa dalla avvenuta estinzione del vincolo contrattuale
Partendo dall’analisi del dato testuale dell’art. 125-quinquies T.U.B., il Collegio ricorda che:
- secondo il primo comma, nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’art. 1455 C.c.
- il terzo comma prevede, invece, che in caso di leasing, il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto; la richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni e la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria.
Pertanto, il legislatore ha inteso prevedere due soluzioni diverse nel caso del contratto di leasing (comma 3°) e nel diverso caso del contratto di fornitura al consumatore (comma 1°):
- la risoluzione del contratto di finanziamento di cui al terzo comma avviene espressamente di diritto quale conseguenza dell’avvenuto scioglimento del vincolo contrattuale connesso con la fornitura del bene.
- diversamente, nel caso previsto al comma primo della norma in esame, il legislatore non ha previsto alcuna “risoluzione di diritto”, ma il “diritto alla risoluzione del contratto di credito”, con l’ulteriore fondamentale differenza che il contratto di finanziamento può risolversi senza che debba anteriormente essere risolto quello di fornitura.
Ne consegue che, una volta avvenuta la messa in mora del fornitore, l’unico elemento che l’interprete dovrà accertare per poter verificare il diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento (non “la risoluzione di diritto”, ma “il diritto alla risoluzione”) e la non scarsa importanza dell’inadempimento di cui all’art. 1455 C.c.: una volta verificato tale presupposto la pronuncia di risoluzione del contratto risulta essere un atto dovuto, non potendo l’interprete svolgere alcuna ulteriore indagine, come, ad esempio, la ricorrenza o meno dell’imputabilità dell’inadempimento del fornitore.
Il Collegio conclude la propria disamina dei precedenti dei Collegi territoriali ABF e delle poche pronunce di merito e legittimità sul punto, affermando che il diritto alla risoluzione del contratto di cui al primo comma, differentemente dall’ipotesi prevista dal terzo comma, non contempla affatto un caso di risoluzione di diritto, ma quello di una risoluzione giudiziale, che richiede una pronuncia costitutiva.
Ulteriore conseguenza di ciò è che l’Arbitro non può accertare, neppure in via incidentale, il diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento, se il rapporto contrattuale non è più in essere in ragione del fatto che tutte le rate del finanziamento sono già state versate.
Come già rilevato, infatti, la disciplina prevista dall’art. 125-quinquies, comma 2, TUB, fa ricadere sul finanziatore il rischio dell’inadempimento del fornitore – con ciò assicurando una tutela “forte” al consumatore – ma, una volta che si sia verificata l’estinzione del finanziamento, viene fisiologicamente meno la correlazione (normativamente prevista) tra la fornitura del bene (o del servizio) e il contratto di finanziamento, cosicché appare una soluzione non percorribile quella di far permanere sul finanziatore il rischio dell’inadempimento del fornitore, finendo così per attribuirgli un’impropria veste di garante delle obbligazioni del fornitore.
Da ultimo, il Collegio ricorda quindi che il consumatore deve mettere in mora il proprio fornitore, per avvalersi del rimedio di cui all’art. 125-quinquies, e deve necessariamente sospendere il pagamento delle rate, anche se ciò possa teoricamente esporlo al rischio di essere segnalato nelle banche dati: tale rischio, tuttavia, non appare particolarmente elevato, in quanto, se ciò avvenisse, potrebbe ravvisarsi una condotta dell’intermediario contraria a buona fede.