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Giurisprudenza

Sulla valutazione della natura artigiana dell’impresa per la concessione del privilegio ex art. 2751-bis, n. 5, c.c.

20 Dicembre 2017

Sara Scapin

Cassazione Civile, Sez. I, 1 giugno 2017, n. 13887 – Pres. Nappi, Rel. Nazzicone

Con la pronuncia che si annota la Corte di Cassazione ha stabilito come, intema di accertamento del passivo, ai fini dell’ammissione di un credito come privilegiato ai sensi dell’art. 2751-bis, n. 5, c.c., nel testo anteriore alla novella introdotta dal d.l. n. 5 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 35 del 2012, la natura artigiana dell’impresa debba essere valutata esclusivamente in relazione al concetto di “prevalenza del lavoro” di cui all’art. 2083 c.c., non rilevando né la sua iscrizione nell’albo delle imprese artigiane né il mancato superamento delle soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall.

Il caso di specie prende, infatti, le mosse dall’opposizione proposta dalla ricorrente avverso il decreto del Tribunale di Perugia che aveva respinto l’opposizione avverso lo stato passivo del fallimento volta ad ottenere il riconoscimento del privilegio artigiano ex art. 2751-bis, n. 5, c.c. Il giudice di primo grado, infatti, non aveva ritenuto applicabile la suddetta disposizione al caso di specie, posto che dalla documentazione fiscale in atti risultava che i ricavi della società superavano il limite di cui all’art. 1 L. Fall.: trattandosi, pertanto, di persona giuridica fallibile, non poteva esserle riconosciuto il citato privilegio.

Gli Ermellini, nel dichiarare inammissibili le rimostranze della ricorrente volte ad ottenere il privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 5, c.c., hanno invece evidenziato come, anzitutto, debba essere preso in considerazione il momento in cui il credito sorge, e non quello in cui esso viene fatto valere.

La Cassazione, infatti, riprendendo un principio già affermato dalle proprie Sezioni Unite, ha precisato come la predetta disposizione, nella parte in cui accorda il privilegio ai crediti dell’impresa artigiana “definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti”, non ha natura interpretativa e valore retroattivo. A ciò, infatti, osta sia il dato letterale della disposizione, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne hanno giustificato l’adozione: in altre parole, quindi, per quanto riguarda il periodo anteriore all’entrata in vigore della novella legislativa, l’iscrizione dell’impresa all’albo delle imprese artigiane non comporta automaticamente il riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di “impresa artigiana” dai criteri generali di cui all’art. 2083 c.c.

La Corte, a tal proposito, coglie l’occasione per evidenziare come il ragionamento della ricorrente, che riportava un passaggio di una recente pronuncia della Corte Costituzionale (Corte cost., sent. 4 luglio 2013, n. 170,) secondo cui, in base ai principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore dovrebbe sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere, non possa trovare applicazione nel caso di specie, in quanto non solo costituente un mero obiter dicta, riguardante l’interpretazione di norme rimessa al giudice ordinario, ma anche perché reso con riguardo all’art. 23, comma 40, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, disposizione che, viceversa, conteneva la previsione di retroattività.

Quanto, poi, al fatto che il Tribunale abbia automaticamente escluso la natura artigiana del credito per il sol fatto che la ricorrente avesse generato ricavi di oltre 300.000 euro, superando pertanto le soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall., la Corte sottolinea come le stesse Sezioni Unite, nella pronuncia sopra citata, avessero già avuto modo di affrontare l’argomento. In particolare, nella predetta decisione era stato precisato che la nozione di “imprenditore artigiano” rilevante ai fini dell’ammissione del privilegio, nel caso in cui non possa trovare applicazione il testo novellato dell’art. 2751-bis, n. 5, cod. civ., non deve essere individuata con riferimento alle soglie di cui all’art. 1 L. Fall., bensì al concetto di “prevalenza” di cui all’art. 2083 c.c., e cioè in base ai criteri stabiliti per l’individuazione del piccolo imprenditore.

L’art 2083 c.c., infatti, classifica quale “piccolo imprenditore” l’artigiano che esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia: ne consegue pertanto che quest’ultimo può ben essere assoggettato a fallimento qualora abbia organizzato la propria attività come una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un’autonoma capacità produttiva, e, conseguentemente, la propria opera lavorativa non sia più né essenziale né principale per far assumere al suo guadagno i connotati del profitto.

La verifica del carattere o meno imprenditoriale dell’attività artigiana, infatti, non può farsi direttamente discendere dal solo superamento delle soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall. come modificato dalla novella del 2006, non sussistendo più alcun collegamento tra la condizione di piccolo imprenditore e i presupposti per il fallimento.

 


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