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Dossier

Sulle clausole negoziali che violano le regole di correttezza, trasparenza ed equità

A proposito di ABF Collegio di Coordinamento, n. 5866/2015

21 Dicembre 2015

Antonella Stilo

1.- Stipulato nel 2007 un contratto trentennale di mutuo fondiario con un tasso di interesse indicizzato al franco svizzero, il mutuatario nel 2013 chiede alla banca di effettuare un conteggio di anticipata estinzione del finanziamento.

La banca determina la somma dovuta a tal titolo, facendo applicazione dell’art. 7 del contratto stipulato inter partes, che prevede, in caso di richiesta di estinzione anticipata del mutuo, che l’importo del capitale residuo sia prima convertito in franchi svizzeri al tasso di cambio convenzionale fissato nel contratto e successivamente riconvertito in euro al tasso di cambio franco svizzero/euro rilevato il giorno del rimborso.

Il metodo utilizzato per effettuare il conteggio viene contestato dal cliente, che si rivolge all’ABF, chiedendo di accertare che la somma da versare al fine di rimborsare anticipatamente il finanziamento ammonta ad un importo inferiore a quello erroneamente computato dalla banca.

2.- Il Collegio di Roma rimette la questione, ritenuta di massima importanza, al Collegio di Coordinamento, rilevando che di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in tema di clausole concernenti i tassi di cambio di un mutuo espresso in valuta estera (ma erogato in quella nazionale), ha affermato che l’obbligo di trasparenza posto dall’art. 4, par. 2, della direttiva 93/13/CEE deve essere inteso in maniera estensiva e che ciò implica non solo che le clausole de quibus devono essere intellegibili per il consumatore sul piano grammaticale, ma anche che il contratto deve esporre in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera al quale le stesse clausole si riferiscono[1].

3.- Il Collegio di Coordinamento, con la decisione in commento, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara ex officio, ai sensi dell’art. 36 cod. cons., la nullità della clausola sull’estinzione anticipata del mutuo, sottolineando che essa, poiché non espone affatto le operazioni aritmetiche da eseguire al fine di realizzare la prevista duplice conversione da una valuta all’altra, viola la «fondamentale regola della trasparenza» di cui all’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

Richiama quindi il principio giurisprudenziale (già applicato in materia di manifesta eccessività degli interessi moratori[2]) secondo cui alla nullità di una clausola abusiva consegue l’applicazione della norma di diritto dispositivo alla quale il predisponente ha inteso derogare a proprio vantaggio, norma nella specie rappresentata dall’art. 125-sexies, comma 1, TUB (che statuisce che il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore) e da cui fa discendere che il capitale residuo da restituire è pari alla differenza tra la somma mutuata e l’ammontare complessivo delle quote capitale già restituite (queste ultime calcolate secondo l’indicizzazione contrattuale al franco svizzero), con esclusione della duplice conversione contemplata dalla clausola contrattuale di cui all’art. 7, dichiarata nulla.

Due sono allora i passaggi argomentativi su cui si regge la decisione, l’uno inerente al rapporto tra la clausola in questione e l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, l’altro concernente le conseguenze dell’inosservanza di tale obbligo.

Sul primo versante, l’ABF si allinea tanto all’orientamento della S.C. in tema di nullità delle clausole negoziali che violano le regole di correttezza, trasparenza ed equità[3], quanto alle pronunzie della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali posto dall’art. 4, par. 2, della direttiva 93/13 non si risolve nell’intellegibilità delle clausole solo su un piano formale e grammaticale, ma deve essere inteso in maniera estensiva[4], il che comporta che, in presenza di clausole del tipo di quella in esame, il contratto deve esporre in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera, nonché il rapporto tra tale meccanismo e quello prescritto dalle altre clausole relative all’erogazione del mutuo. In caso contrario, il principio di trasparenza viene violato e la clausola si rivela abusiva ai sensi dell’art. 3, par. 1, della citata direttiva (e dell’art. 33, comma 1, del codice del consumo).

L’asse portante della decisione poggia dunque, sotto tale profilo, sull’interdipendenza tra vessatorietà e violazione dell’obbligo di trasparenza, incentrandosi la ritenuta abusività della clausola di cui all’art. 7 del contratto di mutuo sulla non agevole comprensibilità della medesima.

4.- La soluzione non può che essere condivisa[5].

Occorre infatti considerare che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il grado di informazione, sicché l’obbligo di trasparenza deve essere interpretato in stretta correlazione con l’obbligo del professionista di rendere edotto il consumatore di tutti i vantaggi ed i costi del contratto sottoscritto[6].

La trasparenza si riallaccia precisamente, per un verso, ad una puntuale informazione preventiva rivolta al consumatore, sul presupposto che la sua protezione passa anche e soprattutto attraverso strumenti che valgano a ridurre l’asimmetria informativa tra lo stesso ed il professionista, e per altro verso ad un’accentuata attenzione rivolta alla formulazione delle clausole contrattuali, nella consapevolezza che non ci può essere vera trasparenza, se il consumatore non sia messo nella condizione di apprezzare chiaramente il contenuto del contratto[7].

In quest’ottica, la clausola in parola, pur essendo formalmente ineccepibile, non è tuttavia “trasparente”, nel senso che non espone in modo chiaro il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera cui fa riferimento, non consentendo così al consumatore di apprezzare, sul fondamento di criteri precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano[8].

In particolare, è vero che il consumatore-mutuatario, sottoscrivendo un contratto di mutuo in euro indicizzato al franco svizzero, che preveda, in caso di estinzione anticipata, che il residuo in euro venga convertito in franchi svizzeri al tasso di cambio convenzionale e riconvertito in euro al tasso di cambio dell’estinzione, si accolla una doppia alea, in relazione all’andamento del cambio euro/franco svizzero[9]: ma perché egli possa consapevolmente valutare se gli conviene oppure no correre questo rischio, dev’essere posto in grado di comprendere il funzionamento in concreto del meccanismo della duplice conversione del capitale residuo.

L’assoggettamento della clausola al controllo di abusività si spiega allora proprio tenendo conto che la stessa «sarebbe stata determinante per la decisione negoziale del consumatore, ma ciò di fatto non è accaduto perché la sua concreta “formulazione” ha impedito al contraente di coglierne l’importanza»[10].

E la sua nullità si riconnette, come già detto, alla violazione dell’obbligo di trasparenza, che rileva non solo sul piano dell’informazione precontrattuale, ma anche sotto il profilo della validità del contratto, costituendo la trasparenza uno strumento per il raggiungimento dell’equilibrio tra le prestazioni, nonché la soglia minimale al di sotto della quale la clausola contrattuale deve essere ritenuta per l’appunto abusiva[11].

5.- Accolta una siffatta prospettiva (chefinisce con l’estendere l’area di controllo delle clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato individuale tra professionista e consumatore), il passaggio successivo è rappresentato dalla rilevabilità d’ufficio della vessatorietà della clausola de qua.

La questione forma oggetto di un semplice accenno da parte dell’ABF, che si limita ad affermare che la clausola in tema di estinzione anticipata del contratto di mutuo, in quanto abusiva, è suscettibile di essere dichiarata ex officio nulla ai sensi dell’art. 36 cod. cons. (corrispondente all’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CE), il che suona come un’implicita conferma del fatto che il rilievo officioso da parte del giudice della nullità delle clausole abusive, a garanzia della effettività della tutela del consumatore, può ritenersi un dato sostanzialmente acquisito sia in dottrina[12] che in giurisprudenza[13], sia pure con il limite, ostativo alla disapplicazione, dell’opposizione del consumatore.

Precisamente, il rilievo d’ufficio da parte del giudice deve essere preceduto -quantomeno di regola – dall’instaurazione del contraddittorio sul punto e non può procedersi alla declaratoria di nullità della clausola oggetto di valutazione laddove il consumatore vi si opponga, reputando la sua applicazione maggiormente rispondente ai suoi interessi[14].

In altre parole, fermo restando che è doveroso l’accertamento officioso circa il carattere eventualmente abusivo di una clausola contrattuale[15], l’opposizione del consumatore comunque osta alla sua elisione, assumendo, al di là del significato che può rivestire sul piano sostanziale[16], un’indubbia rilevanza processuale, poiché con l’opposizione il consumatore rinuncia in un certo senso a far valere la nullità nel processo, o meglio in quel determinato processo nel quale è sorta la discussione[17], adottando una posizione atta a far apprezzare diversamente l’effetto della clausola all’interno del contratto e ad escluderne in concreto l’esito squilibrante[18].

Orbene, nel caso sottoposto all’esame dell’ABF, non risulta che sia stato sollecitato il contraddittorio sulla validità o meno dell’art. 7 del contratto di finanziamento, per cui sotto tale profilo la pronuncia formalmente non si allinea alla giurisprudenza né nazionale né comunitaria in materia. Nella sostanza, però, nessun problema si pone, potendosi ragionevolmente escludere un interesse del ricorrente al mantenimento della clausola, data la soluzione individuata dal Collegio di Coordinamento, consistente nella sua sostituzione con la norma dell’art. 125 sexies, comma 1, TUB e nella determinazione del capitale residuo da restituire in misura pari alla differenza tra la somma mutuata e l’ammontare complessivo delle quote capitale già restituite, senza la duplice conversione prevista dal suddetto art. 7.

Tale soluzione, peraltro, rappresenta l’aspetto più problematico della decisione in commento, essendo tutt’altro che pacifica sul piano ricostruttivo.

6.- Sul tema degli effetti della caducazione parziale dei contratti con i consumatori conseguente alla declaratoria di nullità di pattuizioni vessatorie (su cui difetta una disciplina apposita nel nostro ordinamento[19]), si registra invero un vivace dibattito dottrinale[20], alimentato principalmente dalle pronunzie della Corte di Giustizia[21].

Il riferimento è, in particolare, alla nota sentenza resa nella causa Banco Español de Crédito SA c. Calderón Camino, nella quale si legge che l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno stato membro «che consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di integrare detto contratto rivedendo il contenuto di tale clausola»[22].

Il principio è ribadito nella causa Asbeek Brusse: «i giudici nazionali devono disapplicare una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima. Detto contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme del diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile»[23].

7.- Il punto è delicato e non a caso sulla portata di tale principio si registrano letture diverse.

E così, secondo una prima tesi, la Corte di Giustizia vuole vietare esclusivamente un’integrazione del contratto per via giudiziale, lasciando impregiudicata la possibilità di applicare il diritto dispositivo abusivamente derogato dal professionista, in assenza di una presa di posizione espressa sul punto[24]. Secondo una diversa linea di pensiero, invece, i giudici di Lussemburgo mirano chiaramente a precludere anche il ricorso al diritto dispositivo[25], ritenendo che solo la caducazione tout court della clausola abusiva sia atta a riequilibrare la situazione di inferiorità in cui versa il consumatore rispetto al professionista.

Ambedue gli orientamenti devono peraltro fare i conti con la già citata sentenza Kàsler[26], nella quale si sottolinea che, laddove l’eliminazione di una clausola abusiva essenziale (perché regolante le prestazioni dovute dalle parti[27]) renda il contratto ineseguibile, «la direttiva non osta a che il giudice nazionale sostituisca la clausola censurata con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva», e ciò sul presupposto che detta soluzione permette di ristabilire un equilibrio tra le parti pur mantenendo, nei limiti del possibile, la validità del contratto nel suo insieme.

Tale pronuncia si presta, al pari delle altre, ad una duplice lettura, potendo essere intesa o come la conferma di una generale facoltà del giudice di applicare la disciplina legale dispositiva al fine di colmare la lacuna lasciata dalla caducazione della pattuizione o viceversa come l’introduzione di una semplice deroga alla regola generale dell’eliminazione “secca” della clausola abusiva, deroga rappresentata dalle ipotesi in cui il contratto non potrebbe altrimenti sussistere dopo l’eliminazione della clausola abusiva, con conseguente grave pregiudizio per il consumatore.

Questa seconda impostazione, nell’ambito della quale la sentenza Kàsler,più che smentire l’orientamento precedente, ne traccia semplicemente i confini, pare convalidata da un più recente intervento della Corte di Giustizia[28], in cui si riafferma cheil contratto contenente una clausola vessatoria non ammette altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione della clausola nulla, essendo esclusa qualsiasi sostituzione automatica della stessa con norme legislative di tipo dispositivo o qualsiasi etero-correzione del regolamento negoziale mediante provvedimento giudiziale. Di conseguenza, normative nazionali che consentissero l’integrazione del contratto sarebbero in contrasto con la direttiva 93/13 ed in particolare incompatibili con la realizzazione dell’obiettivo (nascente dall’articolo 7 della direttiva medesima) di dissuadere i professionisti dall’inserimento di clausole abusive nei contratti con i consumatori.

8.- In questo quadro va collocata dunque la decisione in commento, nella quale l’ABF, attraverso il richiamo alla sentenza Kàsler, fa propria la tesi che ammette che alla nullità di una clausola abusiva possa ovviarsi sostituendo ad essa una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, tesi cui aveva già aderito nell’affrontare il tema della manifesta eccessività degli interessi moratori[29].

Tale approccio, se confacente al caso di specie, non pare tuttavia suscettibile di un’adozione generalizzata.

Al riguardo, occorre considerare che se la portata degli interventi dei giudici di Lussemburgo si presta ad essere variamente intesa, è comunque possibile individuare una linea di fondo comune alle varie pronunzie, rappresentata dalla attenzione rivolta alla specifica finalità emergente dall’art. 7 della direttiva 93/13 ed al conseguente compito, attribuito al giudice nazionale, di valutare il carattere effettivamente dissuasivo della sanzione della nullità della clausola abusiva.

In particolare, proprio valorizzando tale finalità, può ritenersi che la possibilità per il giudice interno di procedere all’applicazione di una norma suppletiva sia circoscritta ai casi in cui la sostituzione della clausola abusiva con il diritto dispositivo non finisca per l’appunto con il privare la sanzione della nullità della sua efficacia dissuasiva[30].

Ne discende che il problema degli effetti della declaratoria di nullità delle clausole abusive non può trovare una soluzione unitaria, essendo tali effetti suscettibili di variare in dipendenza della natura (o meglio della struttura) della clausola dichiarata abusiva[31] ed in correlazione con l’esigenza di assicurare, come già detto, che la soluzione prescelta rivesta un «carattere realmente dissuasivo».

In quest’ottica, l’applicazione del diritto dispositivo in luogo della clausola nulla non si giustifica sempre, ma soltanto in alcuni casi. Ossia anzitutto nei casi in cui la «riespansione della disciplina dispositiva opera in via automatica»[32], come laddove le clausole vessatorie siano volte a limitare diritti del consumatore (si pensi, ad es., alle clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di «escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista»: v. art. 33, comma 2, cod. cons.), giacché in tali ipotesi solo applicando il diritto dispositivo, in seguito alla declaratoria di nullità, il consumatore vede «reintegrata la propria posizione giuridica»[33]. Ed ancora nei casi in cui la clausola abusiva sia essenziale nell’economia del contratto e lo stesso non possa sussistere senza la clausola obliterata, secondo quanto si legge nella sentenza Kásler, e ciò pur se la nullità della pattuizione non comporta una “riespansione” automatica della disciplina dispositiva derogata.

Ed allora, in tale prospettiva, la soluzione offerta dell’ABF, in rapporto al caso concreto nel quale è stata applicata, si rivela di fatto in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, poiché la “pura” disapplicazione della clausola di cui all’art. 7 del contratto per un verso avrebbe precluso al mutuatario di avvalersi della facoltà di estinguere anticipatamente il mutuo e quindi non avrebbe garantito una tutela del consumatore efficace quanto quella risultante dalla sostituzione della medesima con la disciplina legale dispositiva, e per altro verso non sarebbe stata atta ad ostacolare il futuro impiego della clausola nei rapporti commerciali con i consumatori.

Se la pronuncia in commento merita pertanto alla fine adesione, resta comunque fermo che la questione degli effetti della caducazione delle clausole vessatorie è ben più complessa di quanto dalla stessa traspare ed ancora in attesa di risposte certe da parte sia della dottrina che della giurisprudenza, alla ricerca del giusto equilibrio tra l’esigenza di disincentivare pattuizioni abusive e quella di «non fornire una “iperprotezione” al consumatore, accordandogli un regolamento di interessi assai più vantaggioso di quello che sarebbe assicurato da una “ordinaria”, e non abusiva, pattuizione»[34].



[1] Il riferimento è alla nota pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 30 aprile 2014, n. 26, causa 26/13, Árpád Kásler e Hajnalka Káslerné Rábai c. OTP Jelzálogbank Zrt, in Contratti 2014, con nota di Pagliantini.

[2] Si tratta della sentenza del Collegio di Coordinamento del 24 giugno 2014 n. 3995 in tema di manifesta eccessività degli interessi moratori, sulla qualev. Carrano, Se gli interessi moratori sono usurari la “clausola penale” che li prevede è nulla e sono dovuti gli interessi corrispettivi ex art. 1224 c.c., in Dir. civ. cont., luglio/settembre 2014.

[3] Cass. 18 agosto 2011 n. 17351 in Foro it. 2012, 9, I, 2304.

[4] Cfr., di recente, CGUE, 23 aprile 2015 n. 96, causa C-96/14, Jean-Claude Van Hove c. CNP Assurances SA, in Resp. civ. e prev. 2015, 3, 952, e con riferimento allo specifico contesto dei contratti di mutuo in valuta estera CGUE, 30 aprile 2014, n. 26, cit..

[5] Si noti, tra l’altro, che l’impostazione secondo cui la valutazione della chiarezza e comprensibilità della clausola non possa limitarsi alla sola comprensibilità linguistica, ma debba estendersi ad una valutazione di comprensibilità degli effetti che quella clausola produce, risulta da tempo seguita sia dalla dottrina (in tal senso, si veda Lener, la nuova disciplina delle clausole vessatorie,in Foro it., 1996, V, 152 ss.; Minervini, La trasparenza contrattuale, in Contratti, 2011, XI, 977) e dalla giurisprudenza di merito (cfr. già Trib. Bergamo, 10 maggio 2005, con nota di Vigoriti, in Contratti, 2006, VI, 596 e Trib. Genova, 14 febbraio 2013, in Nuova giur. civ., 2013, XII, p.1059).

[6] V. in tal senso CGUE, 30 aprile 2014, n. 26, cit., punti 71 e 72.

[7] Come ha di recente sottolineato la Corte di Giustizia (cfr. la già citata sentenza del 30 aprile 2014, n. 26), con riferimento ad un mutuo al consumatore erogato e da restituire in fiorini ma espresso in valuta estera (franchi svizzeri), mutuo connotato dalla previsione di un tasso di cambio dell’obbligazione restitutoria diverso da quello impiegato al momento di concessione del finanziamento (nella specie, un’indicizzazione del rimborso commisurata al corso di vendita della valuta estera a fronte di un’erogazione per converso parametrata sul corso di acquisto), la chiarezza e comprensibilità lessicale delle clausole è infatti inutile se il professionista non ha adempiuto all’obbligo di informare il consumatore su tutti i vantaggi ed i costi del contratto sottoscritto.

[8] Si noti, tra l’altro, che da ultimo la Corte di giustizia, chiamata a valutare se la concessione di un credito al consumo in valuta estera rientri o meno nel campo di applicazione della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, nella sentenza del 3 dicembre 2015 (causa C-312/14, Banif Plus Bank Zrt. c. Márton Lantos e Mártonné Lantos, in www.dirittobancario.it), pur ribadendo che la direttiva 93/13 può rilevare in un caso come quello in discussione, ha sottolineato che operazioni di cambio realizzate nell’ambito della concessione di un mutuo in valuta estera come quello sottoposto al suo esame costituiscono attività puramente accessorie alla concessione e al rimborso del prestito. In particolare, poiché il mutuatario mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell’acquisto di un bene o di un servizio e non a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera, le operazioni di cui trattasi non hanno lo scopo di realizzare servizi di investimento, né costituiscono, di per sé, servizi siffatti. Sicché la concessione di mutui in valuta estera non è soggetta alle disposizioni della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari relative alla protezione dei consumatori.

[9] Cfr. sul punto ABF, Coll. Roma, 14 agosto 2014 n. 5250, in www.arbitrobancariofinanziario.it.

[10] Così Farneti, La vessatorietà delle clausole “principali” nei contratti del consumatore, Padova, 2009, 310.

[11] Cfr. App. Roma, 24 settembre 2002, in Giur. it.2003, 904, con nota di De Rentiis, in Contratti 2003, 113, con nota di De Marco, in Foro it. 2003, I, 332, con note di Palmieri e Plaia, ed in Giur. it. 2003, 119.

[12] In dottrina, sulla rilevabilità d’ufficio della c.d. nullità di protezione v., tra gli altri, Scalisi,Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, 459; Di Marzio, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. privato, 2005, 837; Gentili, La «nullità di protezione», in Europa e dir. privato, 2011, 77; D’Amico, Diritto europeo dei contratti (del consumatore) e nullità virtuale (di protezione), in Contratti, 2012, 977; Passagnoli, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, inObbligazioni e contratti, 2012, 409.

[13] Cfr. sul punto, di recente, Cass., sez un., 12 dicembre 2014, n. 26243, in Banca Borsa Titoli di Credito 2015, 2, II, 113, nonché Cass. 12 luglio 2013, n. 17257, in www.dirittobancario.it, e per la giurisprudenza comunitaria già CGCE, 27 giugno 2000, cause da 240/98 a 244/98, Océano Grupo Editorial S A c. Murciano Quintero et al., in Foro it., 2000, IV, 413, nonché CGCE, 21 novembre 2002, causa 473/00, Cofidis S A c. Fredout, in Foro it., 2003, IV, 16, e più di recente CGCE, 4 giugno 2009, causa 243/08, Pannon GSM Zrt c. Sustikné Györfi, in Foro it., 2009, IV, 489, con nota di Palmieri; CGUE, 20 maggio 2013 n. 488,Asbeek Brusse e altro c. Jahani BV,in Foro it.2014, 1, IV, 3, con nota di De Hippolytis e Palmieri.

[14] V. CGUE, 4 giugno 2009, causa C-243/08, cit. secondo cui il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine e, ove consideri abusiva una siffatta clausola, non è tenuto ad applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. V., altresì, CGUE, 21 febbraio 2013, causa 472/11, Banif Plus Bank Zrt c. Csipai C. V., in Foro it. 2014, IV, 5, che aggiunge che il giudice, ove constati, al termine di una valutazione cui ha proceduto d’ufficio, il carattere abusivo di una clausola, deve «di norma informarne le parti della controversia e invitarle a discuterne in contraddittorio secondo le forme previste al riguardo dalle norme processuali nazionali».

[15] Cfr. la già citata Cass., sez un., 12 dicembre 2014, n. 26243, che supera l’affermazione (contenuta in Cass., sez. un., 4 settembre 2012 n. 14828, in Foro it. 2013, 4, I, 1238, con nota di Palmieri) secondo cui sarebbe vietata al giudice l’indagine in ordine ad una nullità di protezione, e sottolinea altresì che in conseguenza degli interventi della Corte di giustizia «sembra destinata a restare definitivamente sullo sfondo, senza assumere il rilievo che parte della dottrina ha cercato di attribuirvi, la nozione di nullità relativa intesa come realizzazione di una forma di annullabilità rafforzata (…) anziché come species del più ampio genus rappresentato dalla nullità negoziale. Nullità che non a torto è stata definita, all’esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull’assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo».

[16] V. nel senso che il rilievo attribuito alla volontà del consumatore sarebbe espressione della convalidabilità della nullità, Pagliantini, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di Giustizia, in Studi in onore di Giovanni Giacobbe, a cura di G. Dalla Torre, Milano, 2010, II, 1248 ss.. Critico sul punto Passagnoli, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, inObbligazioni e contratti, 2012, 409.

[17] Cfr. Passagnoli, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, cit., 413.

[18] Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, in www.juscivile.it, 2013, 7, 394.

[19] L’art. 36 cod. cons. si limita infatti a statuire che la nullità della clausola abusiva non si riflette sul resto del contratto, che viene nella parte restante “conservato”.

[20] Tale dibattito è il portato della disciplina di derivazione comunitaria, per effetto della quale la nullità (cd. di protezione) è suscettibile di colpire anche clausole che derogano a norme dispositive, mentre anteriormente «non si profilavano ipotesi di nullità conseguenti a deroghe al diritto dispositivo, in quanto lo stesso diritto dispositivo era considerato derogabile tout court in virtù dell’autonomia contrattuale delle parti» (così F.P. Patti, Clausola vessatoria sugli interessi moratori e integrazione del contratto – Il commento, in Contratti 2014, 8-9, 737). E difatti il problema dell’integrazione del contratto in ipotesi di nullità parziale veniva affrontato essenzialmente con riferimento all’inserzione automatica di clausole in sostituzione di pattuizioni difformi contrarie a norme imperative, secondo il meccanismo previsto dall’art. 1339 c.c., non ritenendosi per l’appunto configurabile una integrazione del contratto con il diritto dispositivo, salvo che con riguardo alla disciplina delle condizioni generali di contratto ex art. 1341 c.c., in ordine alla quale si era già prospettata la sostituzione delle clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto con norme in sé derogabili (v. De Nova, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1976, II, 480 ss., spec. 487; S. Patti, in G. Patti e S. Patti, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1993, 360).

[21] Su tali pronunzie cfr. Pagliantini, L’interpretazione più favorevole per il consumatore ed i poteri del giudice, in Riv. dir. civ., 2012, 291 ss.; Id., L’equilibrio soggettivo dello scambio (e l’integrazione) tra Corte di Giustizia, Corte costituzionale ed ABF: “il mondo di ieri” o un trompe l’oeil concettuale?, in Contratti, 2014, 854 ss.; D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”, cit., 22 ss.; Della Negra, Il “fairness test” nelle clausole vessatorie: la Corte di Giustizia e il diritto nazionale, in Contratti, 2013, 1063.

[22] CGUE, 14 giugno 2012, causa 618/10, Banco Español de Crédito S A c. Calderón Camino, in Contratti, 2013, 16 ss., con nota di D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e «massimo effetto utile per il consumatore»: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto.

[23] CGUE, 30 maggio 2013, causa 488/11, cit..

[24] D’Amico, L’integrazione (cogente) del contratto mediante il diritto dispositivo, in D’Amico e Pagliantini, Nullità per abuso ed integrazione del contratto. Saggi, Torino, 2013, 230 ss., spec. 243, il quale afferma che le sentenze della Corte «lasciano aperta la possibilità che la lacuna determinata dalla caducazione di una clausola “vessatoria” sia colmata attraverso il ricorso al diritto dispositivo»; Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice, cit., 401 ss.; Valle, La vessatorietà delle clausole, oltre la nullità parziale,in Contratto e impr./Europa, 2014, 116, secondo cui, esclusa l’integrazione giudiziale del contratto, «rimarrebbe – ad ogni modo – salva l’integrazione a mezzo delle norme dispositive sulla quale la Corte non si pronuncia».

[25] D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e «massimo effetto utile per il consumatore», cit., 24 ss..

Nello stesso senso, Pagliantini, Profili sull’integrazione del contratto abusivo parzialmente nullo, in D’Amico e Pagliantini, Nullità per abuso ed integrazione del contratto, cit., 117.

[26] CGUE, 30 aprile 2014, causa 26/13, cit.. Su tale pronuncia, v. D’Adda, Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, in Dir. civ. cont. 25 giugno 2014.

[27] Nel caso deciso dalla Corte di Giustizia si trattava di una clausola che determinava l’ammontare della rata mensile dovuta dal mutuatario al finanziatore, ed è stata reputata abusiva perché faceva dipendere l’ammontare della rata (in fiorini ungheresi) per la restituzione di un finanziamento corrisposto in fiorini ungheresi, dal tasso di cambio, calcolato alla scadenza di ogni singola rata, tra fiorino e franco svizzero, pur in assenza di qualsivoglia prestazione di servizi di cambio; e ciò al fine di assicurare alla banca un lucro ulteriore dovuto alla svalutazione del fiorino.

[28] CGUE, 21 gennaio 2015, C-482\13, C-484\13, C-485\13, C-487\13, Unicaja Banco SA c. J. Hidalgo Rueda and others, Caixabank SA c. M.M. Rueda Ledesma, in Dir. civ. cont., 2015, con nota redazionale.

[29] ABF, Coll. Coord., 24 giugno 2014, n. 3995, su cui v. Carrano, Se gli interessi moratori sono usurari, cit..

[30] Cfr. CGUE, 27 marzo 2014, C-565/12, LCL Le Crédit Lyonnais SAc. Fesih Kalhan, in cui si legge che «L’articolo 23 della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/12/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione di un regime nazionale di sanzioni in forza del quale, in caso di violazione, da parte del creditore, del suo obbligo precontrattuale di valutare la solvibilità del debitore consultando una banca dati pertinente, il creditore decada dal suo diritto agli interessi convenzionali, ma benefici di pieno diritto degli interessi al tasso legale, esigibili a decorrere dalla pronuncia di una decisione giudiziaria che condanna tale debitore al versamento delle somme ancora dovute, i quali sono inoltre maggiorati di cinque punti se, alla scadenza di un termine di due mesi successivi a tale pronuncia, quest’ultimo non ha saldato il suo debito, qualora il giudice del rinvio accerti che, in un caso come quello del procedimento principale, che implica l’esigibilità immediata del capitale del prestito ancora dovuto a causa dell’inadempimento del debitore, gli importi che possono essere effettivamente riscossi dal creditore in seguito all’applicazione della sanzione della decadenza dagli interessi non sono notevolmente inferiori a quelli di cui avrebbe potuto beneficiare se avesse ottemperato al suo obbligo di verifica della solvibilità del debitore».

[31] Cfr. D’Adda, Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, cit..

[32] Così D’Adda, op. ult. cit..

[33] Cfr. F.P. Patti, op. cit..

[34] Così D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”, cit. 28.


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