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Sulle delibere autorizzative all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità

30 Settembre 2021

Matteo De Poli, Professore Ordinario di Diritto dell’economia, Università degli Studi di Padova; Studio De Poli – Venezia

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il caso ed il problema

Con la sentenza n. 21245 del 23 luglio 2021 la Corte di Cassazione affronta il tema dell’azione sociale di responsabilità sociale sotto la particolare lente dei requisiti di validità della delibera assembleare a mezzo della quale viene autorizzato il promovimento dell’azione medesima. Con tale decisione la Cassazione rigetta il ricorso di una cooperativa a responsabilità limitata condividendo così l’assunto del Tribunale di Milano, poi confermato dalla Corte d’Appello, secondo cui l’azione di responsabilità esercitata dalla società nei confronti dei consiglieri di amministrazione era inammissibile sia per l’assenza di una delibera assembleare che autorizzasse gli amministratori all’azione[1], sia perché, seppure si considerasse sussistere una tale delibera, essa sarebbe comunque invalida non presentando la stessa gli elementi – soggettivi e oggettivi – costitutivi dell’azione di responsabilità sociale, consistenti nei soggetti contro i quali si intenda procedere nonché negli addebiti contestati. A parere della Suprema Corte, infatti, la delibera assembleare riversata negli atti di causa si limitava a conferire al legale della società un mero “mandato esplorativo” teso a valutare se vi fossero gli estremi per promuovere “le azioni del caso” nei confronti di ex amministratori e sindaci[2] e, come tale, non esplicitava la volontà dei soci di promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori. Vi è da aggiungere che il Tribunale di Milano – contestato alla società attrice di non aver prodotto in causa la delibera assembleare di autorizzazione all’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. – aveva assegnato alla società attrice un termine per la produzione della deliberazione assembleare. Delibera che non era stata prodotta in quanto la società attrice aveva insistito che essa fosse già agli atti del giudizio e consistesse nel verbale di assemblea già dimesso in precedenza agli atti.

Questa decisione ci consente di ritornare sulle condizioni dell’esercizio dell’azione di responsabilità sociale,in primis quelle riguardanti il contenuto della delibera assembleare, tema probabilmente di minore spessore teorico ma di alta rilevanza pratica.

2. L’autorizzazione assembleare all’esercizio dell’azione di responsabilità: profili sostanziali e ricadute processuali

Nonostante la sua indiscussa natura di atto di gestione, l’azione di responsabilità contro gli amministratori non può essere promossa su iniziativa dell’organo amministrativo – diversamente da quanto accade, invece, per l’esercizio di ogni altro tipo di azione giudiziaria – bensì, necessariamente, «in seguito a deliberazione dell’assemblea […] (art. 2393, comma 1, c.c.)»[3]. La ragione della scelta di deviare dalla regola generale secondo cui la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2380 bis c.c.) senza necessità di autorizzazioni assembleari, si spiega in due modi[4]: i) una deliberazione dell’assemblea, assunta con le ordinarie regole di formazione della maggioranza, è qui necessaria per sottrarre chi gestisce l’impresa dalla scure del ricatto della minoranza o del singolo socio. Invero, corollario della regola di cui stiamo esaminando la ratio è anche che neppure i soci di una società per azioni sono, singolarmente, titolari di un’autonoma legittimazione ad agire, salvo il caso disciplinato dall’art. 2395 c.c. (azione individuale del socio), ma in questo caso il presupposto dell’azione è ben diverso da quello dell’azione sociale di responsabilità; o quello disciplinato dall’art. 2393 bis c.c., ove titolare della legittimazione ad agire è una minoranza qualificata di soci;ii) è poi necessario che siano i soci a decidere in argomento, e non gli amministratori, perché potrebbe darsi che gli amministratori siano chiamati a decidere su sé stessi. Il conflitto di interessi sarebbe evidente e il deferimento della competenza all’assemblea lo previene.

L’autorizzazione assembleare[5], dunque, si pone come momento necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci si deve necessariamente esprimere mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, comma 1, n. 4, c.c.)[6], non essendo ammesse forme equipollenti, come – ad esempio- la sottoscrizione di un accordo da parte di tutti i soci[7]. Si ritiene che l’autorizzazione assembleare sia necessaria anche nelle società a responsabilità limitata in forza dell’applicabilità analogica dell’art. 2393 c.c. anche a questo tipo sociale[8].

Salvo quanto diremo a breve, tale delibera è soggetta alla generale disciplina prevista dagli artt. 2363 c.c. e ss. – luogo, competenza, formalità per la convocazione, competenza a richiedere la convocazione, costituzione dell’assemblea etc. –. Merita qui ricordare che, se è vero, com’è vero, che l’art. 2393 c.c. è lex specialis in materia di delibere assembleari, tale disposizione non deroga al principio generale secondo cui le delibere assembleari, se non previsto diversamente, non debbono essere motivate[9].

Intervenuta la deliberazione assembleare, la società agirà in giudizio per mezzo degli amministratori che ne abbiano la rappresentanza, e questi sono tenuti a ossequiare alla volontà assembleare dando corso all’azione giudiziaria. Nel (raro) caso in cui destinatario dell’azione sia un amministratore ancora in carica che rivesta il ruolo di legale rappresentante della società e la delibera autorizzativa all’azione non abbia prodotto l’effetto della revoca dell’amministratore ex art. 2393, comma 5, c.c., la società dovrà essere rappresentata in giudizio da un curatore speciale (cd. “processuale”).

Norma speciale, ed anche eccezionale, è quella disposta dall’art. 2393, comma 2, c.c., secondo cui la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, «anche se non è indicata nell’elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio» (enfasi aggiunta): è chiara, qui, la deroga alla regola che prevede, quale formalità per la convocazione, la previa informazione ai soci, mediante l’avviso di convocazione, dell’ «elenco delle materie da trattare» (art. 2366, co. 1, c.c.). Salvo nel caso ora indicato, pertanto, quando l’organo amministrativo intende proporre ai soci di promuovere azione di responsabilità contro amministratori o sindaci, la “materia da trattare” da indicare nell’avviso deve rappresentare – sinteticamente ma inequivocabilmente, per consentire la previa informazione dei soci – tale intenzione. La giurisprudenza si è assestata nel ritenere che le materie da trattare vadano indicate in maniera pur “sintetica”, sempre che, però, l’indicazione sia «chiara e non ambigua, specifica e non generica»[10].

Quanto al contenuto della delibera – e così ci avviciniamo al cuore della questione ora in esame – esso deve risultare dal verbale (art. 2375 c.c.), ossia dal risultato dell’opera di trascrizione di quanto è accaduto nel corso della riunione assembleare. Trascrizione – fedele a quanto accade, ma pur sempre sintetica, e nell’ambito di un’ampia autonomia di giudizio del verbalizzante – che è compiuta dal segretario o dal presidente, comunque risultante da un documento sottoscritto dal presidente dell’assemblea e del segretario o del notaio (art. 2375 c.c.), o solo da quest’ultimo nei verbali di assemblee straordinarie. Il senso di quanto riportato nel verbale va colto mediante un’attività che è disciplinata dalle regole sull’interpretazione del contratto, non della legge[11].

La giurisprudenza si esprime da tempo a favore della qualificazione della delibera di autorizzazione all’esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. in termini di condizione di legittimazione – ossia, un requisito di natura sostanziale[12] – e non, invece, di presupposto processuale[13] – ossia, un requisito di natura processuale, com’è ad esempio la competenza. Come noto, le condizioni dell’azione integrano requisiti di fondatezza della domanda e, pertanto, è sufficiente che esistano al momento della decisione[14]: dato che consente la proposizione di un’azione di responsabilità – per ragioni di urgenza, ad esempio – anche prima che l’assemblea si sia pronunciata sul punto. In tal caso, la delibera assembleare – che dovrà poi essere adottata e riversata in causa[15] – avrà efficacia sanante dell’originario difetto di legittimazione[16]. In sostanza, si ritiene che la delibera sia elemento necessario – senza eccezione alcuna[17] – per integrare la legittimazione di colui che, in qualità di legale rappresentante della società, agisce nel processo, sicché si è affermato che, in caso di contestazione tra le parti in ordine alla esistenza della predetta delibera, «grava sullo stesso legale rappresentante della società attrice l’onere di dimostrare che l’azione di responsabilità è stata debitamente deliberata dall’assemblea, così da mettere il giudice in condizione di eseguire il necessario accertamento; né, mancando l’assolvimento di tale onere, la prova dell’esistenza della delibera assembleare può dirsi raggiunta per effetto della menzione che di essa abbia fatto il consulente tecnico d’ufficio nella sua relazione, attraverso l’indicazione degli estremi di reperimento nel libro dei verbali delle adunanze della società, atteso che il fatto riferito dal consulente non solo non ha una valenza tecnica inerente alla sfera di cognizione propria dell’indagine peritale, ma si risolve in un atto negoziale, il cui significato e la cui portata richiedono un’attività interpretativa che è quella specificamente propria del giudice ed in ordine alla quale le parti debbono essere poste in condizione di interloquire»[18].

3. L’indicazione degli elementi soggettivi ed oggettivi nella delibera assembleare, a parere della S.C.

La sentenza in commento ha definito “generica” la delibera assembleare sulla cui base la società ha promosso il giudizio a causa della mancata indicazione specifica degli addebiti mossi agli ex amministratori e dei nomi degli ex amministratori contro i quali agire.

Non vi è discussione alcuna – è quasi inutile ricordarlo – sul fatto che, in giudizio, la società che esercita l’azione sociale di responsabilità abbia l’onere di individuare specificamente, ancor prima che di dimostrare, le condotte compiute dall’amministratore o dal sindaco in violazione dei doveri inerenti alla funzione svolta – cioè i fatti costitutivi di tale responsabilità – ed i danni che assume essere derivati[19]; e sul fatto che l’indicazione specifica dei fatti materiali che l’attore assume essere stati lesivi del proprio diritto costituisca un elemento richiesto dalla legge a pena di nullità[20] della domanda introduttiva di un giudizio avente ad oggetto un diritto eterodeterminato quale quello di risarcimento del danno[21].

Il tema ora in esame è però altro. Dando per scontato che una domanda giudiziale sia stata chiaramente precisata mediante la puntuale indicazione dei suoi elementi essenziali – oggettivi e soggettivi – resta da capire quanto incida sulla legittimazione processuale un vizio di contenuto della delibera quale quello che il Tribunale di Milano prima ed i giudici seguenti poi hanno rilevato nel caso in esame. La posizione della S.C. è stata qui particolarmente severa, in controtendenza con quanto ritenuto comunemente[22] e ribadito anche recentemente[23], ossia che la delibera assembleare che, ex art. 2393 c.c., autorizza l’azione sociale di responsabilità, non richiede né la precisa indicazione degli atti di mala gestio asseritamente compiuti dagli amministratori[24] né una puntuale motivazione[25], ferma ovviamente l’esigenza, a pena non già dell’annullabilità ma della nullità della delibera, “di una adeguata informativa degli azionisti, avendo i soci intervenuti il diritto non solo di esprimere la propria opinione sugli argomenti all’ordine del giorno, ma anche di richiedere chiarimenti sulle materie oggetto di deliberazione”[26]. Corollario di tale tesi è che si ritiene comunemente che non sia improcedibile l’azione di responsabilità che si fondi su fatti diversi da quelli eventualmente menzionati nella delibera[27].

Secondo la S.C., lo ricordiamo, l’assemblea dei soci non avrebbe espresso «la consapevole volontà di adire l’autorità giudiziaria per promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, proprio in considerazione del contesto complessivo della riunione del 28 ottobre 2011, che aveva visto come oggetto genericamente il grave dissesto finanziario creato dal precedente consiglio di amministrazione e che aveva deliberato di dare mandato al legale di verificare la sussistenza dei presupposti dell’azione di responsabilità ‘nei confronti di tutto il precedente Consiglio di amministrazione, dei Consigli ancora precedenti oltre che dei Collegi dei sindaci che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi’ e di intraprendere, in presenza dei presupposti, ‘tutte le azioni del caso’ »; inoltre mancherebbero non solo l’ indicazione degli addebiti mossi agli ex amministratori, ma anche dei soggetti contro i quali si sarebbe concretamente agito, «elementi che avrebbero consacrato in modo formale e inderogabile l’espressione della volontà della società di cui, per quanto già detto, non sono ammessi equipollenti».

4. Nostra opinione

L’opinione ora descritta non convince. I soci avevano sì deliberato di incaricare un legale di esaminare la situazione e, si pensa, di redigere un parere intorno all’alea di causa – come si usa fare nei casi in cui la promozione dell’azione intende essere condizionata da una puntuale valutazione legale – ma avevano anche espresso la volontà di intraprendere, sussistendone i presupposti, “tutte le azioni del caso”. La delibera appare meno generica di quanto può sembrare a prima vista. Essa, invero, non esprime la volontà dei soci di promuovere un numero indiscriminato di azioni – in tal caso si sarebbe potuto dubitare perfino della determinatezza del suo oggetto e, dunque, della validità della delibera – ma “tutte le azioni del caso”, ossia, tutte quelle esercitabili in conseguenza del “grave dissesto finanziario creato dal precedente consiglio di amministrazione”. Emerge – contrariamente a quanto sostenuto dalla S.C. – una chiara volontà dei soci (ai quali non si può chiedere di essere giusperiti o di essere sempre assistiti in assemblea da un notaio) di agire giudizialmente, sussistendone i presupposti, nei confronti dei precedenti amministratori, in ogni forma consentita (dunque, civilmente o anche penalmente).

Si dirà che tale delibera non fa menzione dell’azione di responsabilità – unica, fra le varie, che richiede una deliberazione assembleare – mentre il riferimento ad altri tipi di azioni sarebbe irrilevante perché l’organo amministrativo potrebbe (o, perfino, dovrebbe) promuoverli senza attendere il via libera assembleare. Tale obiezione, però, non coglie nel segno o, meglio ancora, non produce l’effetto di deprivare la decisione dei soci della parte del suo contenuto che riguarda il mandato agli amministratori di agire (anche) in sede civile contro i precedenti amministratori, in ogni forma consentita, dunque anche con l’azione di responsabilità. Tale risultato è il portato dell’applicazione alla delibera, in forza di quell’assoggettamento della stessa alle regole dell’interpretazione del contratto di cui si è già detto in precedenza, non solo del criterio letterale e interpretativo, ma anche della regola disposta dall’art. 1367 c.c. secondo cui «Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno».

Resta da dire dell’asserita mancata indicazione dei soggetti contro cui agire.

Anche in questo caso, tale indicazione vi era, essendosi deliberato di (valutare la proponibilità di azioni e se del caso di) agire «nei confronti di tutto il precedente Consiglio di amministrazione, dei Consigli ancora precedenti oltre che dei Collegi dei sindaci che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi».

 

[1] Nel senso di qualificare la delibera autorizzativa come un’integrazione del potere rappresentativo degli amministratoti si veda A. Picciau, sub art. 2393 c.c., in P. Marchetti, L. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (dir. da),Commentario alla riforma delle società, Giuffrè, 2005, 575.

[2] Questo il preciso contenuto della delibera contestata: «dare mandato al legale di verificare se ci siano gli estremi per un’azione di responsabilità nei confronti di tutto il precedente Consiglio di Amministrazione, dei Consigli ancora precedenti, oltre che dei Collegi dei sindaci, che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi e, nel caso ci siano i presupposti di dare, fin da ora, formale mandato al legale di intraprendere tutte le azioni del caso».

[3] Esula dall’ambito di questa indagine la possibilità che l’azione di responsabilità sia promossa «a seguito di deliberazione del collegio sindacale[…]», di cui al comma 3 della stessa disposizione così come i casi di azione di responsabilità sulle procedure concorsuali (art. 2394 bis c.c.).

[4] In argomento si v. E. Barcellona, L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: legittimazione del liquidatore giudiziale o necessità di previa deliberazione assembleare?, in Giur. Comm., 2018, I, 157 ss.

[5] Sulla configurazione, sul piano sostanziale, della delibera assembleare come un mandato si veda Cass., sez. I, 28 luglio 2000, n. 9904 in dejure.it.

[6] Cass., sez. lav., 7 luglio 2011, n.14963, indejure.it, secondo cui «A norma dell’art. 2393 c.c. compete esclusivamente all’assemblea dei soci il potere di deliberare sia il promovimento dell’azione sociale di responsabilità sia la rinuncia all’esercizio di tale azione, sia la transazione. Pertanto, la rinuncia o la transazione effettuata dal nuovo amministratore (o dal legale rappresentante della società) senza la preventiva delibera assembleare è affetta non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell’atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di capacità a contrattare, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio, atteso che detta delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti».

[7] Come nel caso deciso da Cass. sez. I, 1° ottobre 1999, n.10869, indejure.it.

[8] Si  v. Trib. Bologna, 16 gennaio 2015, in IlCaso.it, II, 12003 e Trib. Milano, 18 luglio 2013, in GiurisprudenzaDelleImprese.it.

[9] In questo senso anche  A. Picciau, sub art. 2393 c.c., in P. Marchetti, L. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (dir. da),Commentario alla riforma delle società, Giuffrè, 2005, 579-580 «Certo, potrà esser prassi normale e diffusa che in sede di assemblea il presidente ovvero i nuovi amministratori che propongono la delibera di esercizio dell’azione svolgano una relazione, anche approfondita, sulla condotta degli amministratori e sui singoli comportamenti illeciti di costoro. Come pure è altrettanto naturale che, in concreto gli interventi dei soci nel dibattito assembleare possano far emergere una motivata e specifica contestazione degli amministratori.  Tuttavia, è ben diverso, sul piano delle conseguenze giuridiche e segnatamente processuali, che la legge esiga una delibera motivata ovvero che contenga il dettaglio dei singoli fatti che vengono imputati agli amministratori nei confronti dei quali si delibera l’azione. In definitiva, salva l’esigenza di una adeguata informativa degli azionisti, l’assemblea potrà limitarsi a deliberare l’esercizio dell’azione nei confronti di tutti od alcuni amministratori senza la necessità di ulteriori specificazioni». Il tema della motivazione delle delibere assembleari è da ultimo indagato in L. Marchegiani, Sulla motivazione obbligatoria e “necessaria” delle decisioni societarie, in Giur. Comm., 2021, III, 542 ss., a commento di Cass., 22 luglio 2020, n.15647 secondo cui «La legge non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea decida l’aumento di capitale sociale rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta: si tratta invero di una decisione che rientra nel novero delle determinazioni che l’assemblea può del tutto liberamente assumere, pur restando impregiudicata la possibilità, naturalmente, di farne valere altri vizi, vuoi di contenuto, vuoi di procedimento».

[10] Cass., sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269, in dejure.it.

[11] Salvo Cass., sez. I, 12 gennaio 1989, n. 93, in Riv. notariato 1989, 1244e in Giur. Comm., 1990, II, 563, secondo cui «Nella interpretazione delle clausole di uno statuto sociale va seguito il criterio previsto dall’art. 12 delle preleggi per la interpretazione della legge», le successive decisioni esprimono la convinzione indicata nel testo. V. Cass., 10 dicembre 1996, n. 10970, in Giur. it., 1997, I, 1519, con nota di Luoni; Cass., 5 gennaio 1991, n. 46, in Società, 1991, 189 ss.; Cass. 21 giugno 2000, n. 8435, in Società, 2001, 710; Cass., 19 maggio 2006, n. 11756, in Mass. giust. civ., 2006, 5. Si veda anche App. Milano, 28 novembre 1997, in Giur. it. 1998, 1201, secondo cui «Nell’interpretazione dello statuto di una società occorre fare riferimento ai criteri dettati in materia contrattuale: pertanto la comune intenzione delle parti può ben essere resa esplicita dalla successiva condotta dei contraenti»e, da ultimo, Cass.,., sez. I, 12 maggio 2021, ordinanza n. 12568,in dejure.it,secondo cui «In materia di società di capitali, l’interpretazione delle deliberazioni assembleari soggiace alle regole dell’ermeneutica contrattuale, ove il richiamo alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche quando il senso letterale non è oscuro o incerto, ma risulta incoerente con indici esterni che rivelano una diversa volontà dei contraenti».

[12] Con le parole del Trib. Bologna, 16 agosto 2016, n. 2121, in dejure.it: «E vale fin d’ora sottolineare che la delibera assembleare è unanimemente qualificata quale condizione dell’azione ovvero, a differenza dei presupposti processuali, quale condizione “sostanziale” di proponibilità della domanda o quale possibilità giuridica – al pari della legittimazione (in senso tecnico) e dell’interesse ad agire – di decidibilità nel merito della stessa».

[13] In questi termini sembrerebbe essere orientata Cass., sez. I, 26 agosto 2004, n.16999, indejure.it, per cui la delibera assembleare incide sulla legittimazione processuale del legale rappresentante della società e che la mancanza della delibera può essere rilevata d’ufficio anche dal giudice.

[14] Cass., sez. I, 12 maggio 2021, n. 12568 in dejure.it.Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2019, n.11552, in dejure.it che richiama a Cass., sez. I, 10 settembre 2007, n. 18939; Cass., sez. I, 26 agosto 2004, n. 16999; Cass., sez. I, 6 giugno 2003, n. 9090; Cass., sez. 1, 11 novembre 1996, n. 9849.  In questo senso ancheA. Picciau,sub art. 2393 c.c., in P. Marchetti, L. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (dir. da),Commentario alla riforma delle società, Giuffrè, 2005, 575-576 per cui «La delibera non costituisce un presupposto preliminare alla proposizione dell’azione, bensì condizione dell’azione che può verificarsi in qualunque fase del giudizio di responsabilità, purché prima del passaggio in giudicato della sentenza. Sarà pertanto possibile proporre l’azione avanti il giudice senza una previa delibera, sempre che questa intervenga successivamente a ratificare l’azione già avviata. Un’eventuale ratifica avrà efficacia ex tunc ed eliminerà dall’origine l’iniziale mancanza».

[15] Sulla possibilità che la delibera autorizzativa possa essere prodotta anche nel corso del giudizio rendendo regolare sin dall’inizio la costituzione del rappresentante e l’acquisto dell’efficacia degli atti fino a quel momento posti in essere fin dal momento del loro compimento si veda Cass., sez. II, 13 ottobre 2004, n. 20201.

[16] Si v. Trib. Verona, 2 marzo 2004, in Giur. merito 2004, n. 2235, secondo cui nel «caso di azione di responsabilità promossa senza l’allegazione della deliberazione assembleare richiesta dal comma 1 art. 2393 c.c., il giudice alla prima udienza di comparizione può applicare l’art. 182 c.p.c., con la conseguente concessione di un termine perentorio per la sanatoria del difetto di autorizzazione mediante produzione in giudizio della delibera». In dottrina si v.M. Franzoni, in Trattato di Diritto commerciale e di Diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano,La responsabilità degli amministratori e dei sindaci, vol. XIX,CEDAM, 1994, 70-71«La delibera assembleare può intervenire anche a giudizio instaurato e sanare con effetto retroattivo il predetto difetto di procedibilità, poiché di procedibilità si tratta e non di proponibilità […]. Il caso può verificarsi quando l’azione ordinaria sia preceduta da una misura cautelare, qual è il sequestro conservativo sui beni degli ex amministratori, e non sia possibile fare precedere il ricorso dalla delibera per non correre il rischio di vedere sfumare l’esito della misura […]».

[17] App. Milano, 12 febbraio 2015, n. 695,in dejure.it ha precisato che «La deliberazione assembleare di autorizzazione all’esperimento dell’azione sociale di responsabilità, di cui all’art. 2393, comma 1, c.c., è necessaria anche nel caso in cui gli atti di mala gestio posti in essere dagli amministratori integrino ipotesi di reato, purché le condotte contestate abbiano un collegamento con la carica ricoperta e con i doveri dalla stessa rivenienti. In tal caso, la qualificazione degli atti gestori deve avvenire alla luce delle (sole) disposizioni che disciplinano le azioni di responsabilità in materia societaria, le quali, in forza del principio di specialità, prevalgono sulle norme generali (quali l’art. 2043 c.c.). Pertanto, l’azione con la quale si chieda all’amministratore la restituzione di beni o somme della società, di cui di cui lo stesso si è indebitamente appropriato, rientra nell’ipotesi di cui all’art. 2393 c.c. e, quindi, in assenza della delibera assembleare (preesistente al giudizio ovvero intervenuta in corso di causa), deve essere dichiarata inammissibile».

[18] Cass., sez. I, 6 giugno 2003, n. 9090, in dejure.it.

[19] All’amministratore o al sindaco, invece, spetta l’onere di fornire, con riferimento agli addebiti contestati, la prova positiva dell’adempimento dei propri doveri.

[20] Ex art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4 e art. 164 c.p.c.

[21] Si veda Cass., sez. I , 27 ottobre 2006, n. 23180: «Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. […]».

[22] In argomento si v. Cass., sez. I, 18 giugno 2005, n. 13169, in dejure.it, Cass., sez. I, 11 novembre 2005, n. 21858, in Foro it., 2006, I, 2864 secondo cui «A differenza che in altri casi di deliberazione societaria, la legge non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea di una società per azioni autorizza l’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori a norma dell’art. 2393 c.c. rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni di tale scelta, restando ovviamente affatto impregiudicata la fondatezza degli addebiti mossi all’amministratore, destinati ad essere vagliati solo nella causa contro di lui successivamente instaurata. Ciò non implica, peraltro, che detta deliberazione assembleare si sottragga a qualsiasi possibile censura di legittimità, non solo sotto il profilo della correttezza del procedimento con cui essa è stata adottata, ma anche per aspetti concernenti il suo contenuto, ed in particolare per eventuali vizi di eccesso di potere o per una situazione di conflitto d’interessi in cui eventualmente versi il socio che abbia espresso in quell’assemblea un voto determinante». Si veda anche  Cass., sez. I, 11 luglio 2008, n. 19235 in dejure.it.

[23] Alludiamo a Trib. Milano, 6 ottobre 2020, n. 5956, in giurisprudenzadelleimprese.it. In dottrina si v. A. Picciau, op. cit.,. 580 secondo cui «[…] salva l’esigenza di una adeguata informativa degli azionisti, l’assemblea potrà limitarsi a deliberare l’esercizio dell’azione nei confronti di tutti od alcuni amministratori senza la necessità di ulteriori specificazioni».

[24] In argomento v.da ultimo Cass. , sez. I, 12 maggio 2021, ordinanza n. 12568.

[25] In argomento si veda quanto già scritto in precedenza alla nota n. 22.

[26] Così Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2000, n. 27, in Giur. Comm., 2000, II, 73.

[27] Trib. di Milano, 9 novembre 1987, in Giur. Comm., 1988, II, 967: «In sede di proposizione l’azione di responsabilità può essere fondata anche su atti diversi da quelli specificatamente esaminati dall’assemblea». Contra, M. Franzoni,  op. cit.,69per cui non si ritiene necessario che nella delibera assembleare vengano indicati tutti gli addebiti mossi agli amministratori, potendo gli stessi essere demandati dagli amministratori nel momento in cui viene proposta l’azione e potendo quest’ultimi dedurne anche di ulteriori rispetto a quelli indicati dall’assemblea.

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30 Settembre 2021

Matteo De Poli, Professore Ordinario di Diritto dell’economia, Università degli Studi di Padova; Studio De Poli – Venezia

Con la sentenza n. 21245 del 23 luglio 2021 la Corte di Cassazione affronta il tema dell’azione sociale di responsabilità sociale sotto la particolare lente dei requisiti di validità della delibera assembleare a mezzo della quale viene autorizzato il promovimento
Attualità
Società

La denuncia ex art. 2409 c.c. come rimedio “residuale”

26 Luglio 2021

Matteo De Poli, Studio De Poli – Venezia

Nel rigettare una denuncia ex art. 2409 c.c. proposta dal titolare del 50% del capitale di una società per azioni, il Tribunale di Bologna, con la decisione del 19 maggio di quest’anno che si va ad analizzare, prende posizione sul
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