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Giurisprudenza

Sull’inopponibilità al Fisco della cessione della quota non “formalizzata”

18 Aprile 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda di ricerca in diritto tributario, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Cassazione Civile, Sez. V, 8 gennaio 2025, n. 326 – Pres. Crucitti, Rel. Tartaglione

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 326/2025, la Corte di Cassazione,  ha statuito che, in tema di imputabilità al socio del maggior reddito ricostruito in capo alla società, è inopponibile all’Amministrazione finanziaria l’atto di cessione della quota di partecipazione, qualora l’operazione non avvenga nel rispetto delle formalità prescritte, all’uopo, dal Codice civile.

Più nel dettaglio, il caso giurisprudenziale trae origine da una verifica fiscale condotta nei confronti di una s.n.c. culminata, all’esito, in una contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni reddituali (per gli anni di imposta 2006 e 2007) e di irregolare tenuta della contabilità aziendale.

L’Ufficio procedeva quindi alla ricostruzione induttiva del reddito, imputandolo al socio-contribuente in proporzione della quota detenuta, in ossequio al principio di trasparenza sancito dall’art. 5 del TUIR.

Il contribuente eccepiva, in sede di ricorso, la mancata percezione dei maggiori utili accertati sul presupposto che, negli anni sottoposti a verifica, egli non era più parte della compagine sociale, avendo ceduto, tempo prima, la propria quota di partecipazione.

Tuttavia, lo stesso contribuente ammetteva apertamente di non aver posto in essere alcun atto formale di recesso dalla società, ovvero di non aver formalizzato l’atto di cessione; ed in effetti, come rilevava l’Ufficio, egli risultava ancora iscritto, come socio, nei libri sociali. 

Ciononostante, in entrambi i gradi del giudizio di merito, lo scioglimento dal vincolo sociale veniva considerato, nella sostanza, effettivo, benché non soddisfacesse i requisiti di forma e di procedura prescritti dal dettato codicistico in materia di modificazione dell’atto costitutivo (e relativi obblighi pubblicitari). 

Fermo quanto detto, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, il Collegio giudicante ha ribadito il seguente principio di diritto: “ il socio di società in nome collettivo che non provveda tempestivamente – in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della quota – a richiedere l’ iscrizione nel registro delle imprese della modifica dell’atto costitutivo, o non provi che l’amministrazione finanziaria ne fosse a conoscenza, non può opporre, ai fini dell’applicazione dell’ imposta sul suo reddito di partecipazione, la perdita della qualità di socio non iscritta e non comunicata”.

Infatti, la perdita della qualità di socio nelle società di persone (a seguito di recesso, esclusione, cessione della quota), integrando una modificazione dell’atto costitutivo (ex art. 2295 c.c.), è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza ai sensi dell’art. 2300 c.c.

Pertanto, sarà inopponibile all’Amministrazione finanziaria l’atto di cessione della quota sociale non pubblicizzata ed eseguita nelle modalità stabilite dagli artt. 2207, 2290 e 2300 del Codice civile.

Con la precisazione che è il corretto adempimento agli obblighi pubblicitari che realizza il fatto impeditivo di una responsabilità altrimenti normale, che deve essere allegata e provata dal socio che opponga la cessione al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni sociali sorte successivamente alla sua fuoriuscita dall’ente.

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