Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’individuazione del tribunale competente per territorio a dichiarare il fallimento in estensione di una partecipe con altre società o persone fisiche ad una supersocietà di fatto.
Anzitutto, sotto il profilo sostanziale, la Corte ha ribadito l’ammissibilità del fallimento della c.d. supersocietà di fatto, richiamando il proprio consolidato orientamento secondo cui l’art. 147, comma 5, l.f. trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è in realtà riferibile a una società di fatto tra il fallito e uno o più soci occulti, ma, in virtù di interpretazione estensiva, anche laddove il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, a una società di persone.
Sotto il profilo procedurale, la Corte ha statuito che, anche in caso di super società di fatto, la competenza alla dichiarazione di fallimento in estensione – in deroga all’art. 9 l.f. – spetta al tribunale ove risulta già pendente la procedura concorsuale (ossia il tribunale che ha già dichiarato il fallimento di una delle società della supersocietà di fatto), in base al combinato dell’art. 147, commi 4 e 5, l.f. In particolare, la Corte ha ritenuto che, in tali casi, la competenza vada «sempre rapportata al criterio di prevenzione, che serve a concentrare l’accertamento dello stato di insolvenza presso un unico tribunale».
Tale conclusione è confortata da ragioni di ordine logico-sistematico.
Il fallimento di una società, che sia socia illimitatamente responsabile, rappresenta – nell’ottica di cui all’art. 147 l.f. – un’occasione per accertare anche la distinta insolvenza della supersocietà di fatto. In tali casi si determina «una ipotetica pluralità di fallimenti tra loro connessi dall’obiettivo, fin dall’inizio tenuto in conto, di soddisfare tanto i creditori sociali della supersocietà, quanto i creditori della partecipante», che trova conferma nella previsione di cui all’art. 148 l.f., che postula la nomina di un solo giudice delegato e di un solo curatore, oltre che la susseguente formazione delle masse passive in modo coordinato. L’attrazione della competenza a dichiarare il fallimento presso un unico tribunale, dunque, è rafforzata dalla esigenza sostanziale di concentrazione.
In conclusione, la Cassazione ha affermato che «la soluzione del profilo di competenza va quindi associata unicamente alla L.Fall., art. 147, il quale, costruendo ogni fattispecie nell’ambito della comune prospettiva dell’estensione, legittima, in ipotesi di supersocietà di fatto, la connessione tra le domande di fallimento e le afferenti procedure; e nell’ottica della connessione (…) congegna la concentrazione presso il giudice preventivamente adito, in piena coerenza con l’art. 40 c.p.c.».