Il Tar Toscana, con la sentenza 263/2013 offre una ancora diversa prospettiva alla narrazione dei rapporti tra banche e pubbliche amministrazioni sul fronte dei contratti derivati, a dire il vero complicando un quadro che sembrava più terso fino a ieri.
Il thema decidendum è quello classico ormai: l’autotutela esercitata dall’amministrazione (il comune di Prato, questa volta) con riguardo agli atti autorizzativi dei contratti derivati. Tema attualissimo ancor più dopo il recentissimo intervento del PG della Corte dei Conti, S. Nottola, per la inaugurazione dell’anno giudiziario. Più in particolare, il Comune di Prato nell’anno 2002 aveva stipulato, in esito ad una procedura di selezione del proprio advisor finanziario, una operazione in derivati, cui erano seguite diverse rinegoziazioni culminate nella stipula nel 2006 di una nuova operazione (ancora in essere).
Sulla vicenda della selezione della controparte in derivati e delle successive rinegoziazioni intervenute sulla operazione originaria, il TAR Toscana fissa due concetti fondamentali. Procediamo con ordine.
Innanzitutto, il collegio toscano ritiene che con riguardo alla rinegoziazione (da parte del Comune e della controparte bancaria) di precedenti contratti derivati, gli atti autorizzativi assunti dal Comune per le singole rinegoziazioni hanno integrato puramente attività contrattuale e pertanto l’autotutela non è esercitabile a valere su detti atti né tantomeno spiega effetto alcuno sulle relative rinegoziazioni operate in esito a dette autorizzazioni. Sulla sorte del contratto rinegoziato, pertanto, resta competente esclusivamente il giudice ordinario (che peraltro è quello inglese, nel caso de quo, data l’elezione del foro fatta illo tempore dalle parti). Fin qui nihil sub sole novi.
Sono molto più problematiche le implicazioni del secondo concetto. Questo viene espresso attraverso due distinte conclusioni. Da un lato, il TAR stabilisce che se l’autotutela mediante annullamento dell’atto autorizzativo (adottato a monte) viene esercitata legittimamente, essa travolge ogni susseguente effetto (segnatamente il contratto stipulato a valle). Più specificamente, tanto il contrarius actus (l’atto che annulla il precedente atto autorizzativo) quanto la sorte del contratto restano attratti dalla giurisdizione del giudice amministrativo. Già questa conclusione non era per nulla pacifica e nel sostenerla il TAR Toscana opta per una impostazione tradizionale del problema degli effetti dell’autotutela. La portata di questa statuizione giurisprudenziale è stata poco considerata dai primi commenti che sono apparsi ad uso degli operatori (si vedano gli articoli del 23 febbraio u.s. apparsi su Italia Oggi e Il Sole 24 Ore) eppure si tratta di un punto cruciale perché, lo si ripete, la impostazione prescelta dal giudice amministrativo di Firenze non è assolutamente pacifica.
Ancor più controversa è la parte della sentenza in cui si dice che il Comune di Prato avrebbe legittimamente annullato le decisioni autorizzative del 2002 e i successivi contratti derivati se solo lo avesse fatto nel termine dei tre anni dalla stipula. Questo perché l’art. 1, comma 136, della 311/2004 consente di annullare atti e contratti, al solo fine di conseguire risparmi o minori oneri per l’amministrazione, purchè ciò avvenga nei successivi tre anni dalla adozione o stipula degli stessi. Orbene, la sentenza va letta con attenzione: non si può certo interpretarla nel senso che l’annullamento dei contratti derivati sia sempre precluso ogni qualvolta siano passati più di tre anni dalla loro stipula. Perché non è affatto vero che i contratti derivati possono essere validamente annullati nel caso in cui con l’annullamento si conseguano maggiori risparmi o minori oneri. Se fosse così, poi, questo implicherebbe che i dirigenti pubblici che non abbiano provveduto all’annullamento nel termine dei tre anni, siano tutti automaticamente responsabili di danno erariale. Il che va ben al di là se non addirittura contro gli insegnamenti della corte dei conti in materia, come da ultimo si evince anche dalla prolusione del PG Nottola.
In conclusione, ad una lettura più meditata, la sentenza non dissipa in modo convincente i dubbi riguardanti la materia dei rapporti tra banche e PA in tema di derivati e forse lascia insoddisfatte le stesse parti del giudizio. Da un lato conferma che se sussistono fondate ragioni (diverse da quelle puramente attinenti al risparmio finanziario) per ricorrere all’autotutela essa, si propaga fino al contratto finanziario derivato stipulato a valle (e che su legittimità dell’atto di annullamento così come sulla validità/efficacia del contratto sussiste solo la giurisdizione del giudice amministrativo, indipendentemente dalla legge che regola il contratto). Se invece la motivazione o lo scopo dell’annullamento è il conseguimento di maggiori risparmi o minori oneri, allora resta la barriera temporale dei tre anni. Ma a ben pensarci, resta pure l’obbligo di indennizzare la controparte privata e, come ben si può intuire quando si parla di contratti derivati, l’entità dell’indennizzo dovuto potrebbe sconsigliare l’ente dal perseguire la strada dell’annullamento.