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Attualità

Tasso leasing: la determinabilità esclude la nullità ex art. 117 TUB

15 Dicembre 2021

Francesco Concio, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Carlo Giambalvo Zilli, Associate, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il contenzioso in materia di leasing ha sempre affrontato tematiche legate a profili di trasparenza bancaria e, in particolare, alla presunta violazione delle disposizioni che impongono di indicare il cd. tasso leasing nei contratti di locazione finanziaria.

La cosa che più colpisce, tuttavia, non è la mole di contenziosi sul tema (che negli anni ha assunto la dimensione di un fenomeno e che ogni giorno affollano le aule di giustizia) quanto i presupposti su cui poggiano tali azioni.

Si tratta, infatti, di cause che muovono le premesse da un errato inquadramento sistematico della materia, secondo cui l’indicazione del tasso leasing costituirebbe una violazione del principio di trasparenza e della buona fede contrattuale.

In particolare, proprio con riferimento a tale ultimo profilo, secondo i sostenitori delle varie tesi che alimentano le eccezioni di nullità in materia, il tasso leasing consentirebbe agli intermediari di ottenere un guadagno maggiore di quello dovuto.

Sennonché, le Istruzioni di Vigilanza di Banca d’Italia[1] prevedevano, e tuttora prevedono, che nelle “operazioni di leasing finanziario è indicato il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti”.

Il che, ha consentito negli anni un radicale cambio di prospettiva: prima le eccezioni sollevate con riferimento al tasso leasing erano accomunate dall’intento di conseguire, da una parte, il risarcimento del danno contestando la mala fede nell’esecuzione del contratto e, dall’altra, di ottenere la nullità della clausola relativa agli interessi corrispettivi ai sensi dell’art. 117, comma 7, TUB, oggi invece ciò che alimenta tali eccezioni è la sola volontà di ottenere una dichiarazione di nullità delle clausole di determinazioni degli interessi, sostenendo che il tasso leasing non coinciderebbe con il tasso effettivo praticato.

E da qui deriverebbe la nullità della relativa clausola: l’art. 117 TUB intende sanzionare la violazione dell’onere di stipulare contratti trasparenti con la clientela, nell’ottica generale di imporre agli intermediari un comportamento genuino che aumenti il flusso informativo e la comprensibilità del contratto.

Dalla lettura di tale articolo si evince, tuttavia, che il rimedio della nullità può trovare applicazione solo in due casi distinti: i) se il contratto non indica il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticata, inclusi, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora; ii) se il contratto determina il tasso d’interesse facendo rinvio agli usi [2].

Dunque, qualunque eccezione di nullità poggiasse sulla circostanza che nei contratti di locazione finanziaria è indicato il solo tasso leasing, con conseguente indeterminatezza (o indeterminabilità) del tasso applicato in caso di mancata indicazione del TAEG o dell’ISC, offrirebbe una lettura estensiva del campo di applicazione dell’art. 117, co. 7, TUB.

Pregevole, in questa direzione, la giurisprudenza maggioritaria intervenuta in materia, secondo cui il contratto di leasing deve riportare il TAEG/ISC solo se il contratto rientra nel genus del credito al consumo, dunque, laddove il contratto di locazione finanziaria sia stato stipulato da un soggetto che riveste la qualifica di consumatore; negli altri casi, invece, il contratto deve riportare solo il tasso leasing, ossia il TAN.

Sul punto, è doveroso richiamare la disciplina della trasparenza bancaria in un contesto normativo, di certo complesso, in cui nessuna norma del nostro ordinamento impone di inserire il TAEG/ISC nei contratti di leasing sottoscritti da imprenditori e professionisti.

Del resto, questa è proprio la linea tracciata da Banca d’Italia con le sue Istruzioni di Vigilanza, tenuto altresì conto di quanto affermato dall’articolo 9, comma 2, della Delibera CICR del 4 marzo 2003: “La Banca d’Italia individua le operazioni e i servizi per i quali, in ragioni delle caratteristiche tecniche, gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia medesima”.

Il combinato disposto tra le fonti sopra richiamate ci porta quindi ad affermare che i contratti di leasing stipulati con soggetti che non rivestono la qualifica di consumatore non devono riportare il TAEG/ISC ma solo il tasso leasing.

Il che è principio confermato tanto dall’Arbitro Bancario Finanziario quanto dalla giurisprudenza di merito [3].

In questo contesto, tra l’altro, la giurisprudenza ha avuto anche modo di affermare che, in ogni caso, né l’omessa indicazione del TAEG/ISC [4] e né, tantomeno, la difformità tra il tasso leasing indicato e il tasso effettivamente praticato potrebbero avere un impatto sul contratto di locazione finanziaria in termini di nullità.

Peraltro, proprio con riferimento a tale ultimo aspetto, si segnala la decisione della Suprema Corte del 12/05/2021, n. 12889, secondo cui la mera difformità tra tasso leasing pattuito in contratto e tasso effettivo non costituisce una violazione dell’art. 117 TUB, sempreché il tasso leasing effettivamente applicato sia determinabile.

In sintesi, la decisione afferma che ai fini dell’applicabilità dell’art. 117 comma VII TUB è necessario comprendere se il tasso leasing pattuito sia sostanzialmente determinabile, del caso anche facendo ricorso a calcoli matematici, e ciò in quanto la clausola di determinazione del tasso d’interesse è valida – e determinabile – se permette di ricavare il tasso mediante criteri prestabiliti ed estrinseci (cfr. Cass., 30/03/2018, n. 8028).

Più nello specifico, la pronuncia ricorda che il tasso d’interesse è determinabile per relationem, attraverso il richiamo di elementi oggettivi, funzionali e non determinati unilateralmente dalla banca (cfr. Cass., 26/06/2019, n. 17110), dal momento che la ratio dell’art. 117 TUB è quella di porre il cliente nella condizione di conoscere con chiarezza i costi contrattuali e tale traguardo può essere raggiunto anche indirettamente (cfr. Cass., 19/05/2010, n. 12276).

E dunque, sulla scorta di tali principi, la decisione in commento statuisce che il contratto di leasing rispetta l’art. 117 TUB se il tasso leasing è determinabile per relationem, con la conseguenza che la violazione dell’art. 117 TUB – e l’applicazione del relativo comma 7 – sussiste solo nel caso in cui il tasso non sia stato pattuito, oppure, se la relativa pattuizione rappresenta un costo sostanzialmente indeterminato ed inespresso.

Questa la motivazione espressa nella decisione della Cassazione: “La determinabilità per relationem del tassi di leasing escluderebbe dunque la irrogazione della sanzione sostitutiva applicata nel caso di specie, riservata alle ipotesi nelle quali nel contratto manchi la relativa pattuizione [omissis] ipotesi cui deve essere equiparata quella in cui il tasso sia indicato nel contratto, ma esso porti ad un ammontare del costo dell’operazione variabile in funzione dei patti che regolano le modalità del pagamento, sì da ritenere che il prezzo dell’operazione risulti sostanzialmente inespresso e indeterminato.”

La linea tracciata dalla Cassazione con la decisione del 12/05/2021, n. 12889, appare dunque più aderente alla ratio dell’art. 117 TUB, nella misura in cui valorizza la finalità concreta della norma che, in sintesi, mira ad aumentare la trasparenza del contratto senza tuttavia dimenticare che la trasparenza può essere garantita anche in via mediata, attraverso il ricorso a criteri rappresentativi e/o matematici che, seppur in via indiretta, mettano il cliente/utilizzatore nella condizione di comprendere il costo dell’operazione di locazione finanziaria.

[1] cfr. Istruzioni di Vigilanza di Banca d’Italia: circolare n. 229 del 21 aprile 1999 – 13° Aggiornamento del 10 aprile 2007

[2]4. I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora. 5. (Abrogato) 6. Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati. 7. In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto” (cfr. art. 117 co. IV-VII TUB).

[3]  Tra le tante: ABF – Collegio di Bologna – n. 9987/2018, secondo cui, “Quanto al tasso di interesse, le medesime Istruzioni di vigilanza precisano che “per le operazioni di leasing finanziario è indicato il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti. Per i canoni comprensivi dei corrispettivi per servizi accessori di natura non finanziaria o assicurativa, andrà considerata solo la parte di canone riferita alla restituzione del capitale investito per l’acquisto del bene e relativi interessi” (cfr. nota 2, pag. 8 del Capitolo I, cit.)” e ancora “Il Tasso Leasing non esprime il costo complessivo del finanziamento bensì “il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale” (…). Esso pertanto non va confuso con il TEG (tasso effettivo globale), che è invece il tasso oggetto di raffronto con il tasso-soglia ai fini della verifica del rispetto della normativa antiusura”, “affinché l’oggetto di un contratto di leasing possa dirsi rispettoso della normativa di trasparenza, occorre che sia indicato in contratto il cd. “tasso interno di attualizzazione” e “ogni altro prezzo e condizione praticati […] il tema della determinatezza, o della determinabilità, del tasso di interesse, attiene essenzialmente al tasso nominale, e non invece al TAEG (nel quale vanno notoriamente incluse, a fini di trasparenza, determinate voci che compongono il c.d. costo complessivo del credito, ulteriori rispetto agli interessi), e neppure al TEG (che (…) rappresenta il tasso effettivo contrattuale, che va raffrontato con il tasso-soglia ai fini della verifica del rispetto della normativa antiusura) (Collegio di Roma, decisione n. 166 del 12.1.2017).”. De pari la decisione dell’ABF – Collegio di Roma – n. 166/2017: “Venendo, poi, alla questione relativa alla corretta determinazione del tasso globale nell’ambito del contratto per cui è contenzioso, deve premettersi che – come più volte ribadito da questo Arbitro, cfr. Collegio di Roma, dec. n. 3963/2016, dec. n. 1946/2016 – il leasing finanziario non rientra tra i contratti per i quali, se stipulati con un non consumatore, come nel caso di specie, è comunque previsto l’obbligo di riportare un Indicatore Sintetico di Costo, calcolato secondo quanto previsto per il TAEG in relazione ai contratti dei consumatori. La normativa di trasparenza impone invece che nei contratti di leasing sia indicato il c.d. “tasso leasing”, corrispondente al tasso che eguaglia il costo di acquisto del bene al valore attualizzato dei flussi futuri di pagamento, compreso il valore di riscatto finale.” (cfr. ABF Collegio di Roma n. 166/2017). Conformi anche le seguenti decisioni: ABF – Collegio di Roma – nn. 3963/2016 e 1946/2016, in www.arbitrobancariofinanziario.it). Paradigmatica, infine, la seguente decisione: “per le operazioni di leasing finanziario è indicato il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti. Per i canoni comprensivi dei corrispettivi per servizi accessori di natura non finanziaria o assicurativa, andrà considerata solo la parte di canone riferita alla restituzione del capitale investito per l’acquisto del bene e relativi interessi [omissis] Ne consegue che, per verificare se il tasso di interesse sia determinato, o quantomeno determinabile, occorre far riferimento al cd. Tasso Leasing, “e non invece al TAEG (nel quale vanno notoriamente incluse, a fini di trasparenza, determinate voci che compongono il c.d. costo complessivo del credito, ulteriori rispetto agli interessi), e neppure al TEG” (cfr. ABF – Collegio di Bologna – n. 9687 del 03.05.2018). Tra le sentenze di merito si segnalano, invece, le seguenti decisioni: i) una diversità del tasso leasing rispetto a quello effettivamente applicato appare del tutto fisiologica. Il tasso leasing altro non è che il tasso c.d. interno di attualizzazione, per effetto del quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato al netto delle imposte e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione finale di acquisto al netto delle imposte. Ciò premesso, una difformità tra il tasso di leasing (espresso su base annua nei fogli informativi: dove per definizione non è possibile “modulare” il tasso sulla base delle condizioni contrattuali rilevanti ai fini del tasso effettivo del rapporto, che verranno solo di seguito convenute) e il tasso effettivamente praticato (la cui indicazione non è imposta dalla legge) può dipendere da diverse variabili: dal pagamento in via eventualmente anticipata anziché posticipata degli interessi, dal fatto che il pagamento avvenga con cadenza/e inferiore/i all’anno (in base quindi alla rateazione dell’obbligo di applicazione di un tasso d’interesse difforme dal tasso annuo nominale (cfr. Trib. Milano, sentenza del 06/06/2018); “Contrariamente a quanto sostiene la convenuta, l’obbligo di indicare il TAEG, non vige per i contratti di leasing stipulati con soggetti che non possono ritenersi consumatori (artt. 122, 123 TUB), mentre i tassi e i costi applicati al negozio sono con sufficiente chiarezza indicati nelle condizioni particolari” (Trib. Milano – Sez. XII – G.I. Dr. Maddaloni, sentenza dell’11/05/2017, n. 5296).

[4]Infondate sono inoltre le censure degli attori sollevate in comparsa conclusionale ed inerenti alla “nullità del contratto di mutuo per indeterminatezza” per asserita mancata indicazione del TAEG o dell’ISC. Ed infatti – anche prescindendo da ogni valutazione circa la tempestività o meno di dette doglianze – a tacer d’altro, non può essere sostenuta la nullità originaria del mutuo per la mancata individuazione testuale di tali dati nel contratto depositato in quanto la giurisprudenza e i principi richiamati dagli attori postulano l’applicazione della delibera CICR del 4 marzo 2003, entrata in vigore il 1° ottobre 2003 (art. 14), mentre il mutuo asseritamente privo di tali indicazioni è stato stipulato anteriormente a detta data. Occorre poi evidenziare che, secondo l’orientamento più condivisibile e conforme al tenore testuale della disciplina, deve escludersi che la mancanza dell’ISC o di altri dati aventi funzioni meramente informativa determinino ex se la nullità del contratto: in tal senso e a titolo esemplificativo è stato osservato che “l’omessa indicazione (…) dell’indicatore sintetico di costo non ne inficia la validità, costituendo quest’ultimo, al pari del documento di sintesi, uno strumento di carattere informativo, come emerge dall’art. 9, sezione II, capitolo 1, titolo X delle predette istruzioni della Banca d’Italia, ma non un requisito tassativo ed indefettibile del regolamento negoziale, giacché non richiamato dall’art. 3, sezione III” (così, ex multis, Trib. Salerno 31-1-2017)” (cfr. tra le tante: Trib. Bergamo, 08/09/2017, n. 2302; Trib. Monza, 17/08/2017, n. 2403; Trib. Milano, 28/07/2017, n. 8427; Trib. Busto Arsizio, 20/07/2017, n. 1150; Trib. Roma, ord. 19/04/2017).

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