I. – Premessa.
1. – La scelta se inserire o meno in un contratto una clausola arbitrale e, nel caso, con quale contenuto, rappresenta un momento essenziale nella fase della negoziazione.
Ed invero tale scelta comporta rilevanti conseguenze qualora, in relazione a quel contratto, insorgano una o più liti.
In particolare, optare per l’inserimento della clausola non implica semplicemente derogare alla giurisdizione del giudice statale a favore dell’arbitro (o degli arbitri).
Infatti, a seconda di ciò che la clausola prevede (o di ciò che non prevede, perché anche il silenzio può essere significativo), differenti saranno sia il perimetro della competenza arbitrale, sia le regole alle quali sarà soggetto il procedimento e il regime di impugnabilità del lodo.
In particolare, non è ininfluente prevedere (o non prevedere) che l’arbitrato sia rituale o irrituale, di diritto o di equità, se può essere impugnato per violazione della legge sostanziale etc.
Ad esempio, soltanto se l’arbitrato è rituale, il lodo avrà i medesimi effetti di una sentenza (dalla data della sua ultima sottoscrizione) e sarà suscettibile di passare in giudicato (a prescindere dalla richiesta di exequatur); viceversa, il lodo irrituale, non potendo avere gli effetti della sentenza, non potrà passare in giudicato; così come soltanto il lodo rituale è suscettibile di esecuzione forzata ai sensi dell’art. 825 c.p.c., ossia può valere come titolo esecutivo; inoltre il lodo rituale va impugnato davanti alla corte d’appello competente per territorio per i motivi di cui all’art. 829 c.p.c., mentre il lodo irrituale può essere impugnato solo davanti al giudice ordinario per i cinque motivi di cui al secondo comma dell’art. 808-ter c.p.c.
2. – In generale, i principali temi che è necessario porsi nella redazione di una clausola arbitrale sono i seguenti:
a) sede dell’arbitrato;
b) arbitrato rituale o irrituale;
c) arbitrato di diritto o di equità;
d) arbitrato amministrato o arbitrato ad hoc;
e) arbitrato multi-step;
f) arbitro unico o collegio arbitrale;
g) ambito oggettivo della clausola;
h) legge applicabile al merito della controversia;
i) regolamento arbitrale;
l) termine per il lodo;
m) possibilità di impugnare il lodo (anche) per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale;
n) disciplina della fase rescissoria in caso di impugnazione.
Ciascuno di questi temi ha specifiche implicazioni giuridiche, che le parti del contratto, devono essere messe in condizione di conoscere e valutare.
Qui, alla luce dell’ordinanza della Cassazione in commento, pare utile soffermarsi brevemente sul tema dell’interpretazione della convenzione arbitrale e della individuazione del relativo perimetro di operatività alla luce dell’art. 808-quater c.p.c., secondo cui, “nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.
II. – L’interpretazione della convenzione di arbitrato.
1. – In tema di interpretazione della convenzione arbitrale, l’art. 808-quater c.p.c., benché rubricato “interpretazione della convenzione di arbitrato”, non prevede un’elencazione delle regole di interpretazione della convenzione di arbitrato ma si limita a indicare un solo criterio, ossia quello del favor arbitrati, sul quale torneremo tra breve.
Le regole interpretative vanno in realtà ricercate altrove, tenendo conto che:
a) la convenzione di arbitrato è un negozio giuridico privato (sostanziale) a rilevanza ed effetti processuali;
b) tali effetti si concretano nella scelta del giudizio arbitrale e nella preclusione della possibilità di ricorrere alla giurisdizione ordinaria per la risoluzione delle controversie che ne sono oggetto (Cass., s.u., 27 aprile 1979, n. 2429).
A questa stregua, per effetto dell’art. 1324 c.c. (che prevede l’applicabilità delle norme che regolano i contratti agli atti unilaterali tra vivi), alla convenzione arbitrale si applicano le regole di interpretazione di cui agli articoli 1362 e ss. c.c. e, in particolare, il principio dell’interpretazione secondo la comune intenzione delle parti (cfr., ad esempio, Cass., 27 gennaio 2015, n. 1498; Cass., 30 settembre 2105, n. 19546)[1].
2. – L’art. 808-quater c.p.c. esprime invece il principio del c.d. favor arbitrati.
Esso prevede che, “nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.
Tale previsione implica che, nel dubbio, deve essere privilegiata una lettura quanto più estensiva della convenzione arbitrale: ad esempio, ove vi siano dubbi se la convenzione abbia per oggetto soltanto l’interpretazione e/o l’esecuzione del contratto ovvero anche, in ipotesi, la risoluzione, tali dubbi dovrebbero essere risolti nel senso che la convenzione si applica anche alla risoluzione (cfr. sul tema Trib. Monza, 23 marzo 2015, in Giustizia Civile 2013, 2, I,443, che afferma che “il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri non comporta una deroga alla giurisdizione del giudice naturale così come prevista dalla Costituzione (art. 24 e 25 Cost.) atteso che la giustizia arbitrale e la giustizia pubblica rappresentano, all’interno dell’ordinamento, due forme di giurisdizione pienamente equipollenti e sostituibili. Ne consegue che, in caso di compresenza all’interno del medesimo contratto di una clausola compromissoria e di una clausola di elezione del foro, la volontà delle parti circa la modalità di risoluzione delle future controversie dovrà essere ricercata facendo applicazione dei tradizionali criteri d’interpretazione del contratto (artt. 1362 c.c. e ss.), senza che in tale operazione ermeneutica sia riservato alcun favor, in caso di dubbio, alla giurisdizione statale, avendo anzi la novella del 2006 immesso nel sistema un vero e proprio favor arbitrati”.
3. – Si è posto, inoltre, il tema se il favor arbitrati trovi applicazione anche quando sia dubbia la stessa volontà delle parti di optare per l’arbitrato.
Al riguardo si è osservato che “pare (…) più corretto, oltre che prudente, attenersi alla lettera della norma e sembra quindi più realistico concludere che essa sia volta a superare solo i dubbi riguardanti l’estensione oggettiva di una convenzione da cui risulti l’incontrovertibile opzione per l’arbitrato”[2].
III. – Segue: l’ordinanza della Cassazione e, in particolare, le controversie antecedenti alla stipula della convenzione arbitrale.
1. –L’ordinanza della Cassazione ha affermato in modo chiaro il principio del favor arbitrati e ha, in particolare, precisato quanto segue:
a)il principio del favor arbitrati, espresso dall’art. 808-quater c.p.c., implica che, ove sia chiara la volontà delle parti di devolvere le liti in arbitrato, “in mancanza di uno specifico atto in senso contrario”, la competenza arbitrale si estende “a tutte le controversie civili o commerciali attinenti a diritti disponibili nascenti dal contratto cui accede”;
b)la disposizione ha portata interpretativa, e non innovativa, per cui essa si applica anche alle convenzioni di arbitrato stipulate prima della riforma dell’arbitrato del 2006.
2. – L’ordinanza afferma poi che il favor arbitrati va inteso anche nel senso che, fatto salvo un diverso patto contrario, la convenzione di arbitrato si applica anche alle controversie antecedenti la stipula della stessa.
Non è chiara la vicenda sostanziale da cui origina la decisione, con la conseguenza che quest’ultima affermazione non è di immediata comprensibilità.
Tanto più che, a quanto è dato desumersi, nella specie la convenzione di arbitrato era inserita in un contratto, e si trattava quindi di una clausola compromissoria (e non di una convenzione arbitrale stipulata ad hoc, la quale, come tale, potrebbe ben riguardare controversie anteriori anteriori alla sua stipula).
Per ciò che si può comprendere, la convenzione contrattuale (stipulata in data 11 luglio 1995 tra un comune e un’azienda fornitrice di gas), nella quale era contenuta la clausola, aveva per oggetto la disciplina dell’acquisizione da parte del comune “della rete gas relativamente a quanto costruito e posato sul territorio comunale” dall’azienda fornitrice di gas.
La questione che si era posta era se rientrassero nella competenza arbitrale anche le controversie sorte tra le parti relativamente “a quanto costruito e posato sul territorio comunale” nel periodo precedente alla convenzione (in particolare, nel periodo 1970-1995); controversie riguardanti l’an e il quantum del corrispettivo dovuto dal comune all’azienda a fronte della suddetta acquisizione.
3. – L’ordinanza offre peraltro lo spunto per alcune considerazioni sul tema (sempre a proposito del favor arbitrati) se – nel dubbio – possano ritenersi ricomprese nella clausola anche le liti extracontrattuali o precontrattuali comunque collegate al e/o occasionate dal contratto: ad esempio, una lite in tema di responsabilità precontrattuale qualora il contratto sia comunque concluso[3].
La questione potrebbe, in astratto, essere risolta:
a) nel senso affermativo alla luce del fatto che la disposizione dell’art. 808-quater c.p.c. non prevede distinzioni al riguardo;
b) in senso negativo alla luce della considerazione per cui l’art. 808-bis c.p.c. (“Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale”) richiederebbe una previsione espressa (oltre che scritta) per le controversie non contrattuali (“le parti possono stabilire con apposita convenzione che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o pià rapporti non contrattuali determinati. La convenzione deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dell’art. 807”.
In quest’ultimo senso sembra propendere una sentenza della Cassazione la quale ha affermato che “la clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi titolo nel contratto medesimo, con conseguente esclusione delle liti rispetto alle quali quel contratto si configura esclusivamente come presupposto storico, come nella specie, in cui la ‘causa petendi’ ha titolo extracontrattuale ai sensi dell’art. 2598 c.c. nonché dell’art. 1337 c.c.”(Cass., 13 ottobre 2016, n. 20763).
IV. Conclusioni
L’ordinanza induce a riflettere su una questione che, in occasione della negoziazione di un contratto, non sempre le parti considerano con la giusta attenzione, ossia, come si diceva, se e con quale contenuto inserire una clausola compromissoria.
Se si decide di inserire tale clausola (tema che a sua volta richiede una ponderata valutazione), è necessario individuare nel modo più chiaro e preciso possibile l’ambito oggettivo della clausola arbitrale ed evitare situazioni di incertezza.
In altre parole, se si vuole circoscrivere l’oggetto della clausola a determinate controversie (ad esempio, sull’interpretazione ed esecuzione del contratto) sarà opportuno – onde evitare dubbi (che verrebbe risolti in senso estensivo) – farlo in modo espresso (prevedendo, ad esempio, che la competenza arbitrale operi “esclusivamente” per determinate controversie).
Va tuttavia detto che una tale tecnica di redazione (consistente nel circoscrivere a determinate controversie l’ambito di operatività della convenzione arbitrale) può comportare rilevanti complicazioni processuali, e, in particolare, dare origine a cause che, pur derivando da un medesimo contratto, siano alcune assoggettate alla competenza del giudice statuale e altre devolute alla competenza arbitrale.
Almeno per quanto riguarda la clausola compromissoria, destinata a disciplinare la decisione di future controversie, è opportuno che le regole del gioco siano scritte, oltre che in modo chiaro, in termini tali da essere applicabili a qualunque controversia nascente da quello specifico contratto.
[1] Vengono, in particolare, in considerazione l’art. 1362 c.c., relativo all’interpretazione secondo il tenore letterale della clausola e alla comune intenzione delle parti, e l’art. 1363 c.c., che esprime il principio per cui le clausole del contratto vanno interpretate le une per mezzo delle altre, ascrivendo a ciascuna il significato che risulta dal complesso dell’atto. Ciò significa che, ad esempio, la clausola compromissoria potrebbe essere interpretata anche alla luce delle premesse contenutenel contratto in cui è inserita (cfr. in questo senso Confortini, La clausola compromissoria, in Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e processuale, a cura di Guido Alpa e Vincenzo Vigoriti, Torino, 2013, 726 e ss. Cfr. sull’applicabilità dell’art. 1363 c.c. alla clausola arbitrale: Cass., 8 ottobre 2014, n. 21215). Sotto questo profilo va considerato che, qualora le parti, avvalendosi della previsione di cui all’art. 808 c.p.c., stipulino una clausola compromissoria con atto separato, ciò potrebbe porre un problema in sede di interpretazione della clausola, nel senso che la norma dell’art. 1363 c.c. non sarebbe applicabile, con la conseguenza che sia il contratto che la clausola dovrebbero essere interpretati ciascuno “in modo autonomo”. Le altre clausole del contratto possono venire in considerazione ai fini dell’interpretazione della clausola arbitrale qualora, ad esempio, il contratto come, spesso accade, contenga un elenco di definizioni e una o più di tali definizioni siano utilizzate dalla clausola arbitrale (cfr. Confortini, Op. cit., 726 e ss.).
[2] Vanoni, La convenzione arbitrale e il contratto di arbitrato, in La prassi dell’arbitrato rituale, a cura di Alessandro Bossi, Torino, 2012, 97. In argomento cfr. anche Zucconi Galli Fonseca, Interpretazione della convenzione d’arbitrato, in Arbitrato, commentario diretto da Federico Carpi, Bologna, 2007, 189-190) che osserva che “il tenore letterale” della disposizione “non sembra rivolgersi all’ipotesi considerata, in cui viene messa in dubbio la stessa scelta arbitrale compiuta dalle parti, mentre la disposizione contempla in via diretta la ‘quantificazione’ della materia devoluta ad arbitrato”. Tuttavia – prosegue l’Autore – “la forza interpretativa della norma è potenzialmente in grado di espandersi: se si vuole affermare la regola in dubio pro arbitrato, in altri termini, occorre coerentemente applicarla anche quando sia in questione la stessa scelta arbitrale, regolarmente espressa, ma messa in dubbio da accordi di tenore contrastante”.
[3] Com’è noto, la giurisprudenza ha affermato ormai il seguente principio: “la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, previsto dagli artt. 1337 e 1338 c.c., assume rilievo in caso non solo di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche di contratto validamente concluso quando, all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l’omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso” (Cass., 23 marzo 2016, n. 7562).