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Giurisprudenza

In tema di false comunicazioni sociali

22 Ottobre 2019

Avv. Mattia Miglio

Tribunale di Bari, 4 giugno 2019, n. 2622 – Pres. Rel. Di Pinto

Di cosa si parla in questo articolo
Il prossimo 21 novembre si terrà a Milano il Convegno di rassegna di giurisprudenza ed orientamenti notarili in materia societaria organizzato da questa Rivista. Per maggiori informazioni si rinvia al link indicato tra i contenuti correlati.

La presente pronuncia offre l’occasione per qualche spunto di riflessione in merito al reato di false comunicazioni sociali.

Questi in estrema sintesi i fatti: all’odierno imputato – quale amministratore e Legale rappresentante di una Società operante nel commercio di giocattoli e prodotti per bambini – veniva contestata la violazione dell’art. 2621 c.c. per aver alterato – nel bilancio di esercizio al 31.12.2013 – la rappresentazione economica della società, evitando che in tale sede comparissero costi per un somma pari a circa 135.000 Euro, importo che avrebbe di fatto azzerato il capitale sociale.

Nello specifico, infatti, una parte dei costi “occultati” – sostenuta effettivamente per allestire un punto vendita – era stata riportata alla voce “beni immateriali da ammortizzare”, con il risultato di raffigurare tale costo quale elemento incrementativo delle attività dello stato patrimoniale, invece che decrementativi del risultato di esercizio.

Al contempo, la restante quota era stata correttamente ammortizzata (era stato indicato solo il 50% degli ammortamenti), determinando così la non emersione in bilancio di una voce di costo.

Tutto ciò premesso, il Tribunale pugliese – dopo un breve excursus sulla disciplina dedicata nel corso degli anni al reato di false comunicazioni sociali – precisa subito che i fatti qui contestati rimangono sottoposti alla disciplina dettata dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61 (e lievemente modificata nel 2005) in vigore sino al 13 giugno 2015, prima dell’entrata in vigore della (meno favorevole) legge 27 maggio 2015, n. 69.

Infatti, il fatto deve ritenersi consumato nel giugno 2014, quando venne approvato il bilancio 2013 ed era ancora in vigore il D.Lgs. 61/2002.

Tuttavia, resta un ultimo nodo da sciogliere.

Infatti, la disciplina dettata dal D.Lgs. 61/2002 prevedeva, come noto, due fattispecie cardine: l’art. 2621 c.c. – norma contravvenzionale procedibile d’ufficio – che puniva “l’autore di un falso in bilancio che non abbia arrecato […] alcun danno patrimoniale” e l’art. 2622 c.c., fattispecie delittuosa che puniva, a querela di parte, “l’autore di un falso in bilancio che abbia cagionato un danno patrimoniale a soci o a creditori”.

Orbene, nel caso che ci occupa, il Tribunale ritiene che i fatti contestati non integrino tanto – come invece qualificato nel capo di imputazione – la contravvenzione ex art 2621 c.c. quanto piuttosto la fattispecie delittuosa ex art. 2622 c.c., dal momento che, a parere del Tribunale, dai fatti contestati si puà ravvisare “un danno patrimoniale derivante dal pregiudizio per il ceto creditorio, compreso quello bancario, nel continuare a dare fiducia ad una società che, se non avesse esposto in bilancio una falsa rappresentazione della realtà aziendale, non avrebbe potuto goderne” (p. 8).

 

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