La pronuncia in commento affronta il tema, di crescente interesse, dall’abuso di “posizione dominante” – questa volta sul mercato dell’accesso ai servizi di valore aggiunto (VAS) nell’ambito delle telecomunicazioni – e offre lo spunto per rimarcare la distinzione, di natura prettamente processuale, tra motivazione “insufficiente” e “contraddittoria”.
Con riferimento al primo profilo, i giudici di legittimità, sposando la ricostruzione della Corte d’Appello di Milano (infine intesa a configurare quanto posto in essere della convenuta non già come un’ipotesi d’abuso, bensì piuttosto come un “semplice” inadempimento contrattuale), evidenziano con forza la necessità di fornire un’adeguata indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie in oggetto la quale, ancor prima che venire “arricchita” dall’elencazione delle condotte in astratto abusive e dai risultati negativi alle stesse ricollegabili, trova innanzitutto fondamento nell’individuazione puntuale e specifica del “mercato rilevante” degli operatori.
In altri termini, al fine di indentificare come abusivo un determinato comportamento, evidenziano gli ermellini, di cruciale importanza è la delimitazione precisa del “campo d’azione” sul quale questo viene portato a termine, divenendo altrimenti irrilevanti, ai fini della configurazione della fattispecie patologica in esame, i dati forniti in modo (quindi) impreciso a supporto delle proprie ragioni.
Per quanto attiene, poi, al secondo tema, dalle righe della sentenza in commento emerge, con chiarezza cristallina, la necessità di tenere a mente la corretta distinzione tra due categorie processuali – quelle di “insufficienza” e “contraddittorietà” della motivazione della sentenza impugnata – tra loro distinte e ricondotte, la prima, ad una situazione in cui “la sentenza impugnata abbia attribuito agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune” e la seconda all’ipotesi in cui “le diverse ragioni poste a base della decisione risultino razionalmente incompatibili, così da escludersi a vicenda, tanto da impedire l’individuazione della ratio decidendi”.