Con la sentenza in esame, la Cassazione si è pronunciata in tema responsabilità per attività di direzione e coordinamento, esprimendo il principio secondo cui il terzo comma dell’art. 2497 c.c. (per cui “Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”) non prevede una responsabilità della holding debitrice sussidiaria e aggiuntiva rispetto a quella prevista dal primo comma (per cui “Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società [… Omissis …]”).
Piuttosto, il terzo comma della predetta norma deve essere interpretato nel senso di una condizione di ammissibilità dell’azione di responsabilità da attività di direzione e coordinamento della holding verso i creditori della società eterodiretta.
A sostegno di ciò, la Suprema Corte ha richiamato il dato letterale sia del terzo comma che del quarto comma della norma in questione. Quest’ultimo, in caso di fallimento della società eterodiretta, attribuisce infatti al curatore della società la legittimazione dell’azione spettante ai creditori, mettendone in luce il carattere di azione c.d. di massa, carattere proprio della azione risarcitoria per la lesione prodotta al patrimonio della società fallita, e non della distinta azione spettante ai singoli ex art. 2449 c.c..
Nemmeno il richiamo al collegamento negoziale tra contratti della società all’interno di un gruppo rileva al fine di giungere ad una conclusione di segno opposto, posto che tale collegamento non può comportare il superamento del principio – frutto dell’applicazione del più generale principio che prevede la piena autonomia patrimoniale della società di capitali rispetto ai socie della stessa – della piena e perfetta autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società facenti parte di un gruppo.
Ed invero, da tale principio discende che non possono imputarsi alla capogruppo atti che siano direttamente riferibili alle società partecipate, ancorché voluti e coordinati dalla capogruppo.