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Dossier

Tra le insidie delle carte revolving: recesso ad nutum della banca e sorte delle restituzioni rateali

A proposito di Abf Napoli, n. 2664/2015

30 Luglio 2015

Aldo Angelo Dolmetta

ABF Napoli, 3 aprile 2015, n. 2664 – Pres. Marinari – Est. Rocco di Torrepadula

Carte di credito – Revolving – Recesso ad nutum della banca – Effetti – Diritto del cliente alla restituzione rateale del debito maturato – Clausola che ne stabilisce il venire meno – Validità.

E’ valida la clausola, contenuta nelle condizioni generali del contratto di rilascio delle carte revolving, che prevede che l’esercizio del recesso da parte della banca provoca in ogni caso (anche quando, cioè, il recesso medesimo non sia titolato in un «giustificato motivo») il venir meno del diritto del cliente alla restituzione rateale del debito in essere.

*    *    *

1.- Questa la fattispecie concreta, per quanto appare emergere dal contesto della decisione dell’Arbitro napoletano. Tra le parti corre un ordinario rapporto di carta di credito revolving; a un certo punto, la banca – senza che sussista una ragione di giusta causa (o comunque senza addurne la sussistenza, il che è lo stesso) – recede dal rapporto: pure annullando la carta del cliente e altresì intimando allo stesso l’immediata restituzione dell’intero debito in essere.

Ricevuta la richiesta di pagamento, il cliente chiede, però, gli venga conservata la possibilità di restituire il debito secondo la formula rateale in essere prima dell’esercitato recesso. Tuttavia la banca insiste nelle proprie pretese, richiamandosi alle previsioni predisposte nel contratto di rilascio per evenienze del genere. Previsioni che, secondo quanto testualmente riferito dalla decisione, si sostanziano nel riconoscere alla «banca la facoltà di recesso “con un preavviso di 60 giorni, ovvero senza preavviso qualora vi sia una giusta causa o un giustificato motivo”»; nel prescrivere, inoltre, che «il recesso deve essere esercitato mediante comunicazione da inviare al cliente»; e nello stabilire, ancora, che, nel caso la banca eserciti il recesso, il cliente «è tenuto, nei quindici giorni successivi alla ricezione della comunicazione, al pagamento di quanto dovuto ed al saldo della carta».

Il cliente non si acquieta e si rivolge all’Arbitro per la protezione della possibilità di restituzione rateale, che in precedenza gli era stata concessa dalla banca.

2.- Con la decisione qui pubblicata, l’Arbitro dà ragione alla banca, dichiarando senz’altro «infondata … la lamentela» del cliente: l’esercizio del recesso da parte della banca comunque comporta – così si decide – il venire meno del diritto del cliente a rimborsare in via rateale il proprio debito.

Per sostenere l’assunto, la decisione svolge una motivazione piccola, di qualche riga appena. Che si posa sopra due flashes: uno rinvia al fatto in sé dell’esercizio del recesso della banca; l’altro richiama il fatto in sé dell’esistenza di una previsione contrattuale ad hoc.

Annota così l’Arbitro: è «chiaro che, una volta esercitato il recesso, è venuto meno il vincolo contrattuale e la banca non è più tenuta a rispettare l’impegno ed accettare il rimborso rateale del debito». D’altra parte, riscontra sempre il medesimo, «è la stessa «pattuizione relativa al recesso che disciplina gli effetti di quest’ultimo, prevedendo l’obbligo del titolare della carta di provvedere al versamento immediato del debito»[1].

In definitiva, l’impressione di fondo, che si ritrae a scorrere il testo della decisione, è che la domanda portata a giudizio configuri, più che altro, un non-problema. Tanto scontata è da ritenere la soluzione del medesimo.

Così non è, tuttavia: la decisione dell’Arbitro napoletano non è solo di troppo frettolosa confezione; è proprio sbagliata nel merito. E in modo grave assai, secondo quanto si passa a vedere.

3.- Il rilievo per cui il recesso della banca dal rapporto comporterebbe – in sé stesso e cioè per sua propria natura – il venir meno del suo obbligo di «rispettare l’impegno [di] accettare il rimborso rateale del debito», in precedenza assunto con il cliente, non convince per nulla. E questo, se non altro, per le due distinte ragioni che seguono.

La prima è che il rilievo dell’Arbitro risulta svolto in termini del tutto astratti, «sganciati dalla fattispecie» oggetto di giudizio: esso non fa proprio i conti, cioè, con la specifica realtà dell’operazione in cui il tema del recesso si trova posizionato. Realtà che – non si deve dimenticare – nella specie è rappresentata dall’operazione di cui alle carte revolving: in quanto tale connotata, per l’appunto, dalla restituzione rateale del debito che il cliente viene a contrarre spendendo la carta (sul punto si tornerà, naturalmente; cfr. infra, spec. n. 6).

L’altra ragione prende in considerazione il rilievo dell’Arbitro in quanto tale, prescindendo in thesi dalla prima e facendo quindi riferimento all’eventualità di discorrere in generale della sorte di un debito rateale per il caso venga esercitato un recesso contrattuale prima della sua compiuta estinzione. Ad ammettere che abbia davvero senso porsi un simile quesito in generale[2], resta comunque sicuro che l’esercizio del recesso – se certo esclude l’ipotesi di assunzione di impegni futuri[3] – non comporta in automatico il venire meno di ogni obbligo in essere a tale momento.

Più in particolare, non si vede proprio perché l’esercizio del recesso dovrebbe andare a incidere sui termini dei rapporti obbligatori formatisi inter partes nel corso del precedente svolgimento del rapporto (e tuttora in essere). Ché, a ben vedere, una simile tematica non rientra nemmeno nell’alveo del diritto del contratto[4]; ma appartiene invece alla distinta area tematica delle obbligazioni e relativo loro regime. E si pone – in via correlata – come questione attinente al «termine dell’obbligazione»: se questo è a favore di entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio (o del debitore), il creditore «non può esigere la prestazione prima della scadenza» già fissata (cfr. gli artt. 1185 e 1184 c.c.).

4.- Più diffusa analisi si manifesta opportuna per l’altro rilievo effettuato dall’Arbitro napoletano. Rilievo che si sostanzia – ed esaurisce – nella constatazione che il contratto di rilascio delle carte revolving contiene, tra le altre, una clausola il cui tenore abilita la banca, una volta receduta dal rapporto, a travolgere ogni precedente pattuizione rateale e, quindi, a esigere l’immediato pagamento dell’intero debito del cliente.

Ora, un simile modo di procedere – i.e.: la nuda presenza nel contesto di una clausola contrattuale basta da sola a chiudere ogni analisi e problema – non può in alcun modo trovare condivisione. L’atto di autonomia va comunque controllato con i principi del sistema e con le norme imperative.

E tanto più, questo, con riguardo al campo dell’attuale diritto bancario delle operazioni: vista, se non altro, la preoccupazione del legislatore di contrastare anche con con severe pene pecuniarie le prassi degli intermediari volte all’«inserimento nei contratti di clausole nulle» ex art. 144, comma 3-bis, TUB; e visto anche, seppur sempre in via indicativa, l’atteggiamento della giurisprudenza recente, che viene a sanzionare con l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. le ipotesi di reiterata, ostinata disapplicazione da parte di imprese bancarie di regole contrattuali – generali e specifiche del settore – ormai da tempo acquisite[5].

Del resto, anche una lettura rapida della modulistica in questione (secondo il resoconto fattone dall’Arbitro, che è stato riportato sopra, nel n. 1) non manca di far sorgere sospetti e ombre interpretative. Per il caso di recesso ad nutum (che è quello che qui interessa) della banca, il contratto fissa un «preavviso» lungo 60 giorni (a correre dalla recezione della dichiarazione di recesso); nel contempo, due righe dopo, lo stesso stabilisce che il debito va saldato entro 15 giorni (con dies a quo sempre la recezione della detta dichiarazione). Ma di che «preavviso» si sta parlando, allora?

5.- Dunque, la clausola che – nel contratto di rilascio di carta revolving – abilita la banca, receduta (non per giusta causa) dal rapporto, ad esigere in un’unica soluzione il debito maturato dal cliente deve essere valutata, secondo il mio avviso, come nulla. Per due distinte ragioni: una, di ordine fondamentalmente strutturale; l’altra, di tratto invece funzionale (cfr. il prossimo n. 6).

Quanto alla ragione strutturale di nullità è da osservare, prima di tutto, che la clausola in questione viene in buona sostanza a consegnare alla banca il potere di variare unilateralmente i termini del rapporto con il cliente, volgendoli in modo peggiorativo per quest’ultimo: che per l’appunto si trova deprivato della facoltà di estinguere ratealmente il debito maturato con la banca, che prima aveva.

Il fatto che la variazione in pejus avvenga, nella specie, non a mezzo di un’apposita dichiarazione – secondo lo schema dettato dalla norma dell’art. 118 TUB -, bensì con una dichiarazione di recesso non cambia, a me pare, la sostanza delle cose: proprio perché, a questo proposito, l’esercizio del recesso da parte della banca viene a incidere sulla disciplina del rapporto obbligatorio in essere. Il rilievo rimane ordinante, perciò.

Determinante si manifesta, in effetti, la circostanza che nella specie la variazione peggiorativa dei termini del rapporto non ha – e per definizione – alcuna giusta causa (o giustificato motivo che dir si voglia) a supporto: il recesso, qui, è propriamente esercitatoad nutum. Da qui, di conseguenza, il manifestarsi della ragione di nullità della clausola: fuori dai presupposti e termini tracciati dalla disposizione dell’art. 118 TUB, in effetti, la banca non ha alcun potere di alterare unilateralmente la disciplina del rapporto contrattuale in peggio per il cliente[6].

6.- L’altra ragione di nullità della clausola[7] muove dalla constatazione – anche questa del tutto scontata, in sé – che questa introduce, nel tessuto connettivo dell’operazione di cui alle carte revolving, un elemento di netta contraddizione. In effetti, tutti i contratti di rilascio ripetono monotoni che il cliente, se si avvale di una revolving, ha piena facoltà di rimborsare in modo rateale i debiti che contrae con l’utilizzo della medesima: l’opposto, appunto, di quanto farebbe accadere – secondo la clausola in esame – l’esercizio del recesso da parte della banca.

Si potrebbe per avventura ipotizzare che queste due previsioni antitetiche possano in qualche modo finire per «autoeliminarsi» reciprocamente? In verità, no.

La clausola per cui il recesso rende l’intero debito immediatamente esigibile è clausola di mera disciplina, marginale: e – aggiungo – per nulla pubblicizzata nella presentazione del prodotto al pubblico. La previsione che promette la facoltà di restituzione rateale è, per contro, caratteristica cardinale dell’operazione: si può tranquillamente dire, anzi, che la identifica[8]. E, altresì, in termini del tutto separati dal rispristino automatico dell’utilizzabilità della carta che consegue – quale effetto ulteriore – dall’avvenuto rimborso (anche solo parziale; comunque correlato) del debito preesistente.

E da qui, di conseguenza, l’emergere della ragione funzionale di nullità della clausola in questione: ché la stessa risulta all’evidenza contraria alla causa propria del tipo di operazione costituito dalle carte revolving.

 


[1] La perentorietà di una simile affermazione senz’altro presuppone, va da sé, un pieno convincimento della validità della relativa clausola: per questo, e pure tenuto naturalmente conto della rilevabilità officiosa del vizio di nullità, si è preferito costruire la massima della decisione nella chiave informante della valutazione per l’appunto positiva dell’atto di autonomia.

[2] Che non sia un senso semplicemente indicativo e di massima: comunque da verificare e completare, cioè, con la partita analisi delle caratteristiche proprie delle fattispecie concrete volta a volta in esame.

[3] Così, il recesso della banca impedisce – nell’operazione di cui alle carte revolving – l’utilizzo ulteriore della carta per l’assunzione di nuovi debiti.

[4] In quanto l’effetto, che appunto rimonta al contratto, si è già prodotto nella sua complessiva programmazione.

[5] Cfr. Trib. Pescara, 23 luglio 2015, in dirittobancario.it: «l’esito dell’odierno giudizio – che ha addirittura invertito notevolmente le posizioni di debito/credito – evidenzia in tutta la sua portata come l’affermazione di principi ormai pacifici da tempo, che hanno anche originato specifiche modifiche legislative, registri ancora oggi – a distanza dalle prime pronunzie in materia – un atteggiamento ancora lontano dalla volontà di adeguare i rapporti giuridici a quei principi, come si evince dal numero elevatissimo di contenziosi ancora pendenti in materia bancaria e ancora fondati sui medesimi vizi».

[6] Cfr. sul punto il mio lavoro Linee evolutive di un ius variandi, in Ius variandi bancario a cura di Dolmetta e Sciarrone Alibrandi Milano, 2012, pp. 1 ss., 22.

[7] Naturalmente, il dipanarsi delle brevi osservazioni che seguono suppone solo in thesi il superamento del vizio trattato nel precedente n. 5.

[8] Cfr., in luogo di tutti, la definizione di carta revolving che riporta il Glossario della Banca d’Italia (sito consultato il 25 luglio 2015).


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