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Attualità

Transazione fiscale e principi di attestazione dei piani di risanamento

27 Novembre 2020

Giulio Andreani, PwC TLS

Di cosa si parla in questo articolo

La bozza del documento contenente la revisione dei principi di attestazione dei piani di risanamento diffusa dal Consiglio Nazionale dei commercialisti per la consultazione il 14 ottobre 2020 prevede l’inserimento di un allegato, dedicato all’attività dell’attestatore concernente la transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare, che suggerisce alcune considerazioni.

Flussi generati dalla continuità aziendale

Il documento afferma che l’attestatore non deve tenere conto, ai fini dell’espressione del giudizio di convenienza della proposta di transazione fiscale rispetto all’ipotesi della liquidazione richiesto dall’art. 182-ter, “del maggior apporto patrimoniale rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla continuità aziendale ovvero ottenuti all’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria, in quanto questi ultimi non costituiscono una risorsa economica nuova, avendo natura esogena” (al riguardo il documento ricorda che con la circolare n. 16/2018 l’agenzia delle Entrate ha invece qualificato tali flussi come endogeni, affermando quindi il contrario).

Il principio è condivisibile, tant’è che è stato più volte sostenuto su queste colonne. Tuttavia:

1. per esprimere il suddetto giudizio, l’attestatore deve considerare i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività aziendale ai fini della determinazione del soddisfacimento del Fisco consentito dal piano di risanamento e non deve, invece, considerarli nella quantificazione delle somme che l’Erario riceverebbe in caso di liquidazione dell’impresa debitrice; ciò per il semplice motivo che tali flussi vengono prodotti solo se l’attività aziendale prosegue e non anche nell’alternativa ipotesi della liquidazione. Sebbene il concetto sia chiaro, per come è scritto sembra che il documento ne escluda invece il computo con riguardo non solo a quest’ultima ipotesi, ma anche a quella della continuazione dell’attività;

2. l’affermazione dell’irrilevanza dei flussi ai fini del calcolo del pagamento dei debiti tributari in caso di liquidazione è opportuna anche perché, con la citata circolare n.16/2018, l’agenzia delle Entrate aveva sostenuto il contrario, ritenendo tali flussi endogeni e non esogeni ed escludendone la natura di “nuova finanza”. V’è però da dire, all’opposto di quel che il richiamo della predetta circolare potrebbe indurre a ritenere, che l’agenzia delle Entrate ha successivamente rettificato il tiro, avendo riconosciuto che tali flussi, pur non costituendo “nuova finanza”, non vanno “computati nel calcolo della consistenza del patrimonio esistente alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo” su cui l’attestatore deve fondare la stima del soddisfacimento del Fisco in caso di liquidazione, da raffrontare poi con quello discendente dal piano di risanamento e dalla proposta di transazione fiscale.

L’attestazione della convenienza della proposta

A norma dell’art. 182-ter il giudizio di convenienza deve essere espresso dall’attestatore attraverso la comparazione sopra indicata e non v’è dubbio che nel concordato preventivo l’agenzia delle Entrate non può essere soddisfatta in misura inferiore a quella che deriva dal rispetto dell’ordine delle legittime cause di prelazione, indipendentemente da altre considerazioni. Tuttavia la convenienza della proposta di transazione fiscale per l’Erario non dipende solo da quel che grazie a essa il Fisco può ricevere in più rispetto alla somma che alternativamente riceverebbe mediante la liquidazione dell’impresa, ma anche dagli oneri che grazie a tale proposta può evitare di sostenere, come, ad esempio, quelli derivanti dal ricorso agli ammortizzatori sociali conseguente alla cessazione dell’attività aziendale. L’attestazione della convenienza della proposta di transazione fiscale è essenziale nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, perché il citato art. 182-ter richiede espressamente all’attestatore di valutare la convenienza del trattamento proposto al Fisco “rispetto alle alternative concretamente possibili” e, sebbene in presenza di una diversa formulazione della norma, è certamente utile anche nel concordato preventivo, allo scopo di fornire all’agenzia delle Entrate un’informazione utili ai fini del voto. Pertanto l’attestatore non dovrebbe esimersi dall’esprimere il proprio giudizio sulla convenienza della transazione fiscale, considerando anche gli oneri sociali, così come le minori entrate tributarie, che si manifesterebbero a seguito della cessazione dell’attività e possono essere invece evitati mediante il risanamento proposto dall’impresa debitrice; il suo giudizio, provenendo da un professionista qualificato e indipendente, costituisce infatti per l’amministrazione finanziaria un rilevante elemento di valutazione.

I debiti tributari esclusi dalla transazione fiscale

È inevitabile che, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione, alcuni debiti tributari – quelli sorti successivamente alla data di riferimento della proposta di transazione fiscale – rimangano esclusi dall’accordo con il Fisco, sia perché un gap temporale è fisiologico sia perché i mesi che generalmente trascorrono tra la data di presentazione di tale proposta e la sottoscrizione dell’atto di transazione sono molti. Non di rado gli attestatori ritengono che tali debiti, in quanto estranei all’accordo, debbano essere soddisfatti entro i termini previsti dal comma 1 dell’art. 182-bis, vale a dire entro centoventi giorni dalla data di omologazione dell’accordo stesso, ove già scaduti, o dalla loro scadenza naturale se successiva. Tale indirizzo dovrebbe essere censurato, perché, anche se i debiti di cui trattasi sono esclusi dall’accordo, sulla base delle disposizioni che disciplinano il controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali e le relative comunicazioni di irregolarità, a seguito dell’omesso versamento dei tributi rilevato e comunicato dall’agenzia delle Entrate il contribuente ha il diritto di versare gli importi dovuti, maggiorati della sanzione del 10% degli stessi e degli interessi, in venti rate trimestrali (o otto, a seconda dell’importo), la prima delle quali scade il trentesimo giorno successivo a quello del ricevimento della comunicazione di irregolarità. Pertanto, sia perché sussiste un rapporto di specialità tra le disposizioni fiscali testé richiamate e quelle recate dall’art. 182-bis, sia per ragioni sistematiche, perché quest’ultima norma è stata introdotta per favorire il risanamento, non può finire quindi per ostacolarlo, è da ritenersi che il pagamento dei debiti tributari di cui trattasi è sottratto al rispetto dei termini di pagamento previsti dal citato art. 182-bis. Conseguentemente, ai fini dell’attestazione della fattibilità del piano, il professionista all’uopo nominato dovrebbe prendere atto della possibilità, per l’impresa debitrice, di pagare tali debiti nell’arco di un quinquennio, nonostante l’assenza di alcun accordo a essi relativo, essendo al riguardo sufficiente ciò che la legge prevede.

L’attestazione del piano in presenza di liti fiscali nel concordato preventivo

La bozza di documento afferma che, nel caso in cui in capo all’impresa che richiede l’ammissione alla procedura di concordato preventivo sia pendente un contenzioso tributario, in assenza di disposizioni derogatorie delle regole generali, deve ritenersi applicabile la disposizione dell’art. 176 l.f., con la conseguenza che il contenzioso prosegue sino alla decisione (o all’accordo) con cui verrà definito. Compito dell’attestatore dovrebbe essere, pertanto, quello di verificare che il debitore abbia dato evidenza nella proposta di concordato dell’esistenza dei crediti oggetto di contestazione e che abbia previsto le modalità del relativo soddisfacimento nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti, tramite la costituzione di appositi fondi rischi (di importo corrispondente alla percentuale di soddisfacimento del credito contestato offerta nella proposta di concordato).

Occorre tuttavia considerare che la proposta di transazione fiscale può avere a oggetto anche la definizione delle cause tributarie pendenti (o anche solo potenziali se non sono ancora decorsi i termini di impugnazione degli atti impositivi notificati al contribuente). In questa ipotesi l’attestatore dovrebbe quindi verificare, non se è stato costituito un fondo rischi, ma se il piano di risanamento (o di liquidazione) prevede i pagamenti dipendenti dalla proposta di definizione di tali liti rientrante nella transazione fiscale.

L’attestazione del piano in presenza di liti fiscali nel procedimento di cui all’art. 182-bis

In merito alle controversie tributarie pendenti nei confronti dell’impresa che presenta una proposta di transazione fiscale ex art. 182-ter l.f. nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, l’aggiornamento dei principi di attestazione stabilisce che il debitore e l’amministrazione finanziaria possono negoziarne la definizione mediante la transazione fiscale e chiedere poi al giudice la declaratoria di cessata materia del contendere. Il documento fa bene a rilevare che le liti fiscali possono essere definite direttamente con la transazione fiscale, perché molti continuano a ignorarlo; occorre tuttavia considerare che le liti fiscali pendenti possono essere definite:

  1. mediante il ricorso a uno degli istituti deflattivi previsti dalla legge (accertamento con adesione, mediazione o conciliazione giudiziale) utilizzato in parallelo con la transazione fiscale, nel qual caso l’accordo ha effetto novativo e i termini di pagamento sono quelli stabiliti in via ordinaria dalla legge in relazione all’istituto deflattivo utilizzato;
  2. direttamente attraverso la transazione fiscale, senza ricorso a uno dei predetti istituti deflattivi, concordando con le agenzie fiscali l’importo a tal fine dovuto, tenendo conto, non solo del fondamento dell’accertamento tributario da cui il contenzioso è stato originato e delle possibilità di successo del Fisco nella causa, ma anche della reale capacità di pagamento – da parte dell’impresa in crisi – delle somme che risultassero dovute all’esito del contenzioso. In questa ipotesi la definizione non ha natura novativa e i termini di pagamento sono quelli previsti nella transazione fiscale, mediante la quale può essere pertanto concordata una dilazione più ampia di quella consentita dai suddetti istituti deflattivi.

L’oggetto dell’attestazione varia quindi a seconda del tipo di definizione.

Gli effetti della definizione delle liti mediante transazione fiscale

Come ricorda il documento, l’agenzia delle Entrate ha affermato, con la circolare n. 16/2018, che a seguito della definizione delle liti le parti devono chiedere al giudice competente la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Ciò non è tuttavia da ritenersi corretto quando la definizione ha luogo direttamente mediante la transazione fiscale. Proprio perché – come richiede l’amministrazione finanziaria – l’atto di transazione fiscale deve escludere effetti novativi, l’eventuale risoluzione della transazione fiscale per inadempimento comporta la reviviscenza del debito originario (ante transazione), al netto dei soli versamenti medio tempore eseguiti dal contribuente. Pertanto, fino a quando non sono completamente adempiuti gli obblighi tributari assunti con la transazione fiscale, anche gli effetti di tale accordo relativi alle controversie tributarie non possono non rimanere sospesi. Alla stipula dell’atto di transazione fiscale dovrebbe conseguire quindi, non la cessazione della materia del contendere con riguardo a tali controversie, ma la sospensione dei relativi giudizi, la quale dovrebbe permanere sino all’integrale adempimento degli obblighi discendenti dalla transazione, cui farà seguito l’estinzione del giudizio o, in caso di inadempimento, fino alla data dell’eventuale risoluzione della transazione, cui seguirà la riassunzione del giudizio.

L’attestazione precede la transazione fiscale e non il contrario

Non raramente gli attestatori, per poter rilasciare la loro attestazione, richiedono all’impresa debitrice l’esibizione dell’atto di transazione fiscale sottoscritto dalle agenzie fiscali. Si tratta di una richiesta priva di fondamento, che rischia di trasformare l’attestatore in un attentatore (del risanamento). Infatti, ai sensi degli artt. 182-bis e 182-ter l.f., l’attestazione deve essere allegata alla domanda di transazione fiscale ed è quindi evidente che è il rilascio dell’attestazione che deve precedere la stipula della transazione fiscale e non il contrario. Naturalmente il piano la cui fattibilità costituisce oggetto dell’attestazione è redatto presupponendo l’approvazione della proposta di transazione fiscale e conseguentemente la fruizione dei benefici da essa derivante, costituiti da riduzioni dei debiti tributari e/o da dilazioni di pagamento; ciò non significa, tuttavia, che l’attestatore debba possedere capacità divinatorie per poter prevedere le future decisioni del Fisco: è sufficiente che indichi come presupposto di efficacia della sua relazione l’approvazione della transazione fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria, o, il che è lo stesso, condizioni sospensivamente l’attestazione a tale evento. Altrimenti si creerebbe un circolo vizioso senza fine, perché le agenzie fiscali non possono pronunciarsi sulla proposta formulata loro senza disporre dell’attestazione, come risulta chiaramente dai commi 1 e 5 dello stesso art. 182-ter, ed è del tutto ovvio che necessitino dell’attestazione per potersi pronunciare sulla proposta di transazione. Il documento non affronta questo tema, ma può valere al riguardo quel che esso statuisce in generale (peraltro senza modifiche rispetto alla versione originaria) a proposito della dipendenza della fattibilità del piano da specifici eventi futuri (punto 8.4.7).

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