Alla luce del novellato comma 4 dell’art. 182-bis della Legge Fallimentare (oggi sostanzialmente trasmigrato nel comma 2-bis dell’art. 63 del Codice della Crisi), la funzione dell’omologazione forzosa – quando non vi è adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie – è quella di perseguire il preminente interesse concorsuale attraverso il superamento delle resistenze degli uffici alla proposta di transazione fiscale, le quali si dimostrano immotivate in presenza di un’attestata convenienza della stessa rispetto al fallimento e in contrasto con il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione stabilito dall’art. 97 Cost.: l’amministrazione finanziaria, infatti, nell’ambito della transazione fiscale dispone di una discrezionalità per così dire “vincolata” al maggior soddisfacimento e alla convenienza tra i due termini di comparazione, il cui concreto esercizio – nelle intenzioni del Legislatore – soggiace sistematicamente al sindacato del giudice fallimentare.
E’ quanto affermato dal Tribunale di Roma con decreto pubblicato il 9 maggio 2023.
Nell’omologare un ricorso avente ad oggetto accordi di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale contemplante il pagamento del 2% del debito verso l’Agenzia delle Entrate, rappresentante il 99% della debitoria complessiva, il Tribunale, stante la mancata adesione alla proposta da parte dell’Amministrazione Fiscale, decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% prevista dall’art. 182-bis, co. 1, della Legge Fallimentare, ha evidenziato come dal testo degli artt. 180, 182-bis e 182-ter della Legge Fallimentare si evinca la prevalenza, con riferimento all’istituto della transazione fiscale, dell’interesse concorsuale su quello tributario, senza che assuma rilievo, invece, la natura giuridica delle obbligazioni oggetto dei crediti. A tal proposito il Tribunale ha richiamato l’ordinanza n. 8504/2021 con la quale le Sezioni Unite hanno rimarcato la ratio della nuova transazione fiscale, da ricercare non solo nell’interesse fiscale bensì nell’interesse concorsuale, che rappresenta la ragione fondativa delle procedure concorsuali, ormai sempre più finalizzate alla conservazione dei valori aziendali.
“Conseguentemente”, ha concluso il tribunale, “nella prospettiva dell’equilibrio tra i due interessi, la discrezionalità riconosciuta all’amministrazione finanziaria è bilanciata dal potere di riformare il rigetto della proposta transattiva assegnato al Giudice ordinario fallimentare”. In definitiva, le condizioni richieste affinché il Tribunale possa intervenire sono due: (i) il consenso dell’Erario e degli enti previdenziali sia decisivo ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti (percentuale minima richiesta dalla legge affinché l’accordo di ristrutturazione possa essere omologato) e (ii) che la proposta rivolta al Fisco e agli Enti Previdenziali sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Ciò deve risultare anche dalla relazione dell’attestatore.
Nella fattispecie posta al suo esame il Tribunale ha ritenuto di esprimere un positivo giudizio di convenienza sulla proposta di transazione fiscale della debitrice avendo la stessa “dato prova, nella relazione dell’asseveratore, del fatto che, nello scenario fallimentare, l’Erario otterrebbe una minore soddisfazione del proprio credito rispetto a quanto offerto nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione della proposta ex art. 182-ter LF allo stesso collegata, grazie al decisivo apporto finanziario costituito dalla finanza esterna (…) insussistente in caso di apertura del diverso scenario liquidatorio giudiziale”. A nulla rilevando la percentuale di soddisfazione effettivamente offerta.