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Transazione fiscale: trattamento del debito previdenziale e rilascio del DURC

9 Novembre 2021

Luigi Romanzi, Gianni & Origoni
Gabriele Picardo, Gianni & Origoni

Di cosa si parla in questo articolo

Abstract

Il contributo prende in esame il tema del trattamento del debito previdenziale nell’ambito del concordato preventivo in continuità nonché i suoi risvolti applicativi nelle controversie e questioni connesse come, ad esempio, quelle di rilascio del DURC. In particolare, il contribuito analizza come, a seguito dell’introduzione della legge n. 11 dicembre 2016, n. 232, siano ormai da considerarsi implicitamente abrogati sia il decreto interministeriale del 4 agosto 2009 in materia di condizioni per l’accettazione di accordi relativi ai crediti contributivi, nonché l’art. 5, comma 1, del decreto ministeriale 30 gennaio 2015 in materia di DURC, normative che a tutt’oggi l’INPS considera attuali: nel primo caso per rifiutare (i.e. votare negativamente) la proposta di concordato che non preveda il soddisfacimento dell’istituto previdenziale secondo i rigorosi limiti previsti dello stesso DM 2009 (i.e., pagamento sostanzialmente integrale); nel secondo caso invece per rifiutare il rilascio del DURC in pendenza della procedura di concordato in continuità.

The paper deals with the issue of the treatment of social security debt in the context of concordato preventivo with continuation of the business as well as its implications in related disputes and issues such as, for instance, those related to issuance of the document attesting the regularity of the payment of the social security debts (DURC or Documento Unico di Regolarità Contributiva, in the Italian parlance). In particular, the paper analyzes how, following to the introduction of Law no. 232 of 11 December 2016, both the inter-ministerial decree of 4 August 2009 about the conditions for the acceptance of agreements relating to social security credits, and art. 5, paragraph 1, of the Ministerial Decree of 30 January 2015 on DURC have been implicitly repealed but which the INPS considers as still in force: in the first case, in order to refuse (i.e. voting negatively) the concordato preventivo proposal that does not provide a satisfaction of the social security Institute according to the strict limits set by the inter-ministerial decree of 4 August 2009; in the second case, in order to refuse the release of the DURC during the concordato preventivo procedure with continuation of the business.

 

Sommario: 1. Il caso e la normativa (di rango primario e secondario) di riferimento. – 2. L’art. 182-ter l.fall. e l’abrogazione implicita del D.M. 2009. – 3. L’art. 182-ter l.fall., il D.M. 2015 e il diritto al rilascio del DURC.

 

 1. Il caso e la normativa (di rango primario e secondario) di riferimento.

Con recente decreto emesso ai sensi dell’art. 180 l.fall. il Tribunale di Roma ([1]), previo rigetto delle opposizioni all’omologazione proposte da taluni enti previdenziali, ha omologato la proposta di concordato preventivo con continuità aziendale di una società che – nel rispetto di tutte le condizioni previste dall’art. 182-ter l.fall., come peraltro accertato nel decreto di apertura della procedura ex art. 163 l.fall. – ha assicurato il pagamento parziale dei crediti contributivi “degradati” e, conseguentemente, inseriti in un’apposita classe.

Ad esito dell’udienza di adunanza dei creditori, gli enti previdenziali hanno espresso voto contrario alla proposta di trattamento ex art. 182-ter l.fall. formulata dalla società in concordato; il voto contrario è stato poi “motivato” dagli enti in sede di opposizione all’omologazione – tra l’altro – adducendo la “illegittimità” della proposta ex art. 182-ter l.fall. in quanto formulata in violazione dei parametri previsti dal decreto interministeriale del 4 agosto 2009 in materia di condizioni per l’accettazione di accordi relativi ai crediti contributivi (breviter, D.M. 2009) ([2]).

Inoltre, nel periodo compreso tra la notizia del decreto di ammissione ex art. 163 l.fall. e fino alla comunicazione del decreto di omologazione ex art. 180 l.fall. ([3]), l’INPS ha negato in favore della società in concordato il documento unico di regolarità contributiva (breviter, DURC); “temporalmente”, tale rifiuto è dunque coinciso con il momento in cui l’Istituto previdenziale ha appreso – a seguito della comunicazione ex art. 171 l.fall. – che il debito contributivo non sarebbe stato soddisfatto integralmente, in una fattispecie che, secondo l’INPS, si porrebbe in contrasto con l’art. 5, comma 1, del decreto ministeriale 30 gennaio 2015 in materia di DURC (breviter, D.M. 2015).

Su tale assunto, l’INPS ha negato il DURC per circa sei mesi, di fatto non consentendo alla società in concordato, durante tale lungo periodo – tra l’altro – di incassare i corrispettivi dovuti da clienti pubblici, costituenti larga parte della clientela, salvo poi rilasciare il DURC solo a seguito del decreto di omologa, in base a quanto previsto dal “messaggio” dell’INPS del 6 agosto 2015, n. 5223 ([4]), che recepisce una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 21 luglio 2015.Tuttavia, il D.M. 2009 e il D.M. 2015 – comunque contenenti norme regolamentari di rango secondario – sono stati emanati anteriormente all’entrata in vigore della legge 11 dicembre 2016, n. 232, che ha profondamente riformato l’istituto ex art. 182-ter l.fall., comportando quantomeno:

(a) da un lato, l’implicita abrogazione del D.M. 2009, che tuttavia l’INPS ritiene ancora applicabile quantomeno rispetto alle procedure di concordato pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 3, comma 1-ter, del D.L. 7 ottobre 2020 – come introdotto dalla legge di conversione del 27 novembre 2020, n. 159 ([5]) – così esprimendo voto contrario a proposte ex art. 182-ter l.fall. sol perché esse non prevedono la soddisfazione del credito contributivo secondo le misure previste dall’art. 3 del D.M. 2009, e

(b) dall’altro lato, il venir meno della facoltatività dell’istituto previsto dal novellato art. 182-ter l.fall., donde la conseguente – quantomeno –  inapplicabilità dell’art. 5, comma 1, D.M. 2015, evidentemente “pensato” solo ed esclusivamente per il caso in cui il debitore in concordato non ricorresse all’istituto della c.d. transazione fiscale vigente anteriormente alla riforma dell’art. 182-ter l.fall..

Con riferimento al primo profilo che precede – come si vedrà al par. 2 che segue – il decreto del Tribunale di Roma in commento ha riconosciuto la legittimità della proposta ex art. 182-ter l.fall. della società in concordato, sul presupposto che il D.M. 2009 è da ritenersi implicitamente abrogato – perlomeno – sin dall’entrata in vigore della legge 11 dicembre 2016, n. 232.

Quanto invece al secondo profilo, la decisione del Tribunale capitolino conforta la tesi per cui non è possibile negare il DURC sulla base dell’applicazione dell’art. 5, comma 1, D.M. 2015 allorquando la proposta di trattamento ex art. 182-ter l.fall. non preveda il rimborso integrale del credito contributivo; in tal caso, infatti, appare ben sostenibile che gli Istituti previdenziali possano (rectius, debbano) fare applicazione dell’art. 5, comma 4, D.M. 2015 che – ove correttamente interpretato, come si osserverà al par. 3 che segue – consente il rilascio del DURC in presenza di una proposta ex art. 182-ter l.fall. di soddisfazione parziale del debito contributivo ([6]), vieppiù quando la stessa sia stata oggetto di ammissione da parte del tribunale ex art. 163 l.fall. unitamente al piano e alla proposta concordataria.

2. L’art. 182-ter l.fall. e l’abrogazione implicita del D.M. 2009.

Nonostante l’entrata in vigore dell’art. 3, comma 1-ter, introdotto dalla legge 27 novembre 2020, n. 159 – che ha sancito la “cessazione dell’applicazione” del D.M. 2009 – la questione della “rilevanza” del D.M. 2009 in rapporto all’art. 182-ter l.fall. mantiene assoluta attualità quantomeno per le procedure di concordato preventivo introdotte anteriormente al 4 dicembre 2020 ([7]) e ad oggi pendenti ([8]).

Invero l’INPS – per quanto consta – erroneamente ritiene che il citato art. 3, comma 1-ter (e la conseguente “cessata applicazione” del D.M. 2009 ivi prevista) si applichi esclusivamente alle procedure di concordato preventivo instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge 27 novembre 2020, n. 159 ([9]): con la conseguenza che, rispetto alle numerose procedure concordatarie introdotte prima di tale data, ma ancora ad oggi pendenti ([10]), l’INPS esprime voto contrario ([11]) alle proposte ex art. 182-ter l.fall. che – pur oggetto di ammissione ex art. 163 l.fall. unitamente al piano e alla proposta di concordato – siano “quantitativamente” difformi dai limiti previsti dall’art. 3 del D.M. 2009.

Tuttavia, per comprendere l’evidente erroneità della posizione dell’Istituto – ed ancor prima di esporre la motivazione del Tribunale capitolino in commento sul punto dell’implicita ovvero tacita abrogazione del D.M. 2009 – è opportuno ripercorrere, pur brevemente, le varie modifiche che hanno interessato, negli anni, la disciplina ex art. 182-ter l.fall. ([12]).

Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ha esteso l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 182-ter l.fall. ai “contributi amministrati da enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie e dei relativi accessori”, riconoscendo così al debitore in stato di crisi la possibilità di stralciare e degradare a chirografo il debito previdenziale; lo stesso decreto legge citato, all’articolo 32, comma 6, ha demandato ad un successivo decreto del “Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze” la definizione delle “modalità di applicazione nonché i criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”.

In esecuzione di tale ultima disposizione, il Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministero dell’Economia, ha emanato il D.M. 2009 recante “Modalità di applicazione, criteri e condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”, con il quale sono stati disciplinati i criteri di applicazione dell’art. 182-ter l.fall.; tale regolamento, in particolare, stabiliva taluni limiti alla falcidiabilità e dilazionabilità dei crediti contributivi, prevedendo parametri valutativi cui gli enti gestori dovevano attenersi ai fini della accettazione della proposta di stralcio.

Tuttavia, già durante la vigenza del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, parte della dottrina dubitava della legittimità del D.M. 2009; si sottolineava, infatti, come il decreto non si fosse limitato ad individuare modalità, criteri e condizioni da applicare alle singole ipotesi di “transazione previdenziale”, ma avrebbe stabilito specifici vincoli da adottare in tutte le “transazioni”, prescindendo dalla situazione della singola società in crisi ed eccedendo la delega conferita dal legislatore ([13]).

In questo contesto, non sono peraltro mancate decisioni della Suprema Corte – rese con riferimento all’art. 182-ter l.fall. ratione temporis applicabile ex D.L. 29 novembre 2008, n. 185 – che hanno censurato quegli orientamenti che ritenevano le disposizioni del D.M. 2009 “norme imperative” e dunque “integrative” dell’art. 182-ter l.fall., affermando all’uopo che “[s]i tratta (…) di una conclusione non condivisibile perché non coerente con la ratio generale del concordato preventivo, rendendo, di fatto, il concordato medesimo ostaggio della volontà delle agenzie fiscali e degli enti gestori di previdenza ed assistenza obbligatorie: si giungerebbe, così, ad un disvalore per tale procedura concorsuale che, invece, viene incentivata dal legislatore (…)” (Cass. 21 giugno 2018, n. 16364) ([14]).

Come si diceva, ad ogni buon conto l’art. 182-ter l.fall. ha subito profonde modifiche ed integrazioni per effetto della legge 21 dicembre 2016, n. 232, che hanno determinato la sicura implicita abrogazione del (già da più parti “avversato” e “disapplicato”) D.M. 2009.

Si ricorda, infatti, che la radicalità di dette modifiche è apparsa subito evidente (a) non solo per effetto della sostituzione della rubrica della norma (“Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, in luogo della precedente formulazione “Transazione fiscale”), (b) ma anche per effetto della previsione di modalità “operative” del tutto innovative per il “trattamento” del credito (anche) contributivo.

Al riguardo, anzitutto, l’innovazione senz’altro più caratterizzante la novella del 2016 è stata l’introduzione dell’obbligatorietà – e immediatamente appresso si vedrà il perché – del procedimento di trattamento dei crediti (anche) contributivi, superando così definitivamente quell’orientamento giurisprudenziale che riteneva meramente facoltativo il ricorso all’art. 182-ter l.fall. ([15]).

Parallelamente, alla previsione dell’obbligatorietà dell’istituto è naturalmente conseguita l’introduzione, nel corpo dell’art. 182-ter l.fall., di regole ad hoc che detto istituto governano, col precipuo scopo di tutela del credito erariale in generale; tutela, però, non avulsa dal contesto che quel credito si trova a “fronteggiare”, ossia della una procedura concorsuale c.d. minore del debitore; e, dunque, nel contemperamento degli interessi in gioco, il Legislatore del 2016 ha previsto:

(i) che la soddisfazione parziale del credito contributivo debba avvenire in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), l.fall.;

(ii) che, qualora – invece – il credito contributivo sia assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore;

(iii) l’introduzione del voto sulla proposta, con conseguente non necessità della “determinazione” – da assumersi con atto del direttore su parere conforme della direzione regionale – di adesione o meno alla proposta di concordato, e

(iv) il venir meno di ogni riferimento al c.d. consolidamento del debito ([16]).

Le sostanziali modifiche dell’art. 182-ter l.fall. hanno dunque implicitamente abrogato la precedente disciplina di carattere secondario (e.g., il D.M. 2009) ([17]), in quanto ormai da tempo è la stessa norma dianzi citata ad indicare puntualmente i presupposti e le condizioni per la sua applicazione, al ricorrere dei quali gli Enti previdenziali possono accettare o rifiutare le proposte di trattamento (trattasi infatti di discrezionalità tecnica per gli Istituti previdenziali).

Più chiaramente, gli enti previdenziali, per approvare o rigettare la proposta di trattamento ex art. 182-ter l.fall., sono chiamati a valutare la stessa in ragione: (a) della relazione redatta dal professionista indipendente ex art. 182-ter, comma 1, l.fall., e, tenuto conto della stessa, (b) del trattamento loro riservato, che non deve essere meno vantaggioso rispetto a quello offerto ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli dell’Istituto previdenziale, senza che in tale contesto valutativo dell’ente possa assumere alcuna rilevanza il limite quantitativo previsto dall’(oramai abrogato) art. 3 del D.M. 2009.

Ed in questi termini si apprezza la decisione del Tribunale di Roma in commento, che ha affermato quanto segue: “il D.M. 4 agosto 2009, normativa secondaria che conteneva molte disposizioni di dettaglio rispetto alla norma generale dell’art. 182 ter L.F. (…) risultava già implicitamente ovvero tacitamente abrogata, ai sensi dell’art. 15 co. 2 delle c.d. Preleggi (disposizioni sulla legge in generale) per effetto della entrata in vigore della legge n. 232/2016 che ha sostituito l’art. 182 ter L.F. (…). Tale abrogazione si è determinata per effetto sia della sostanziale innovazione dell’istituto della transazione fiscale e contributiva essendo ora consentita – ricorrendo le condizioni di cui all’art. 160 co. 2 e 182 ter co. 1 L.F. – la falcidia, la dilazione e, a fortiori, l’integrale degradazione dei crediti privilegiati “incapienti”, sia della sopravvenuta incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti – l’antinomia ovvero il conflitto tra le disposizioni risolvendosi in favore della applicabilità/prevalenza dell’art. 182 ter L.F. (nella formulazione introdotta dalla L. 232/2016) rispetto al D.M. 4.8.2009 in ragione non solo della posteriorità della prima secondo il criterio cronologico, ma anche e segnatamente del diverso grado gerarchico (la prima disposizione essendo fonte di rango primario avendo natura legislativa e carattere generale rispetto al D.M. che è invece fonte di grado secondario ed ha natura regolamentare)”.

In conclusione, pare dunque indubbio che il voto contrario dell’Ente previdenziale rispetto alle proposte ex art. 182-ter l.fall. non può fondarsi sul mancato rispetto dei parametri del D.M. 2009, donde l’auspicio che gli Istituti previdenziali di riferimento (su tutti, INPS e INAIL) possano rimeditare ([18]) il loro “atteggiamento” rispetto alla questione, anche al fine di evitare la proposizione di opposizioni all’omologazione (e successivi reclami ex art. 183 l.fall.) che, di fatto, hanno l’unico effetto di dilatare i tempi di definizione della procedura concordataria.

3. L’art. 182-ter l.fall., il D.M. 2015 e il diritto al rilascio del DURC.

Se la questione prima affrontata parrebbe essere destinata a perdere rilevanza rispetto alle procedure concordatarie instaurate dopo il 4 dicembre 2020, la connessa questione del rilascio del DURC ([19]) alle imprese ammesse al concordato preventivo ex art. 186-bis l.fall. è invece di estrema (e sempre attuale) rilevanza in quanto, molto spesso, dirimente ai fini del mantenimento della continuità aziendale, quantomeno in tutti quei casi in cui prosecuzione dell’attività di impresa del debitore in concordato preventivo si fondi su di un piano che – in tutto o in parte – ponga a base della continuità contratti in essere (o da stipulare, previa aggiudicazione) con clienti pubblici.

Per quanto consta, infatti, gli Istituti previdenziali deputati al rilascio del DURC negano la c.d. regolarità contributiva ogniqualvolta (come accaduto nel caso in commento) sin dal momento in cui verificano che il piano e la proposta di concordato preventivo depositati del debitore unitamente alla proposta ex art. 182-ter l.fall. – pur legittimi anche perché oggetto di decreto di ammissione ex art. 163 l.fall. ([20]) – non prevedano il soddisfacimento integrale del credito contributivo, con conseguenti effetti potenzialmente devastanti sulla continuità aziendale ([21]).

A partire da tale momento, il debitore in concordato “subisce” una situazione paradossale di vero e proprio “stallo” rispetto al DURC ([22]), che gli Istituti previdenziali negano – o, almeno nel caso in commento, hanno negato – fino a che non intervenga l’omologa del concordato ([23]), in base a quanto previsto nel citato “messaggio” dell’INPS del 6 agosto 2015, n. 5223, che recepisce una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 21 luglio 2015.

In particolare, a sostegno del rifiuto del DURC in presenza di una proposta ex art. 182-ter l.fall. di soddisfazione non integrale ([24]), consta che l’INPS (e l’INAIL) invochi l’art. 5, comma 1, D.M. 2015 (curiosamente intitolato “Semplificazione in materia di documento unico di regolarità contributiva”), che prevede quanto segue: “In caso di concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267, l’impresa si considera regolare nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e il decreto di omologazione, a condizione che nel piano di cui all’art. 161 del medesimo regio decreto sia prevista l’integrale soddisfazione dei crediti dell’INPS, dell’INAIL e delle Casse edili e dei relativi accessori di legge”.

Anche in tal caso, però, è necessario interpretare la suddetta norma regolamentare alla luce della riforma dell’istituto ex art. 182-ter l.fall. intervenuta nel 2016 ([25]), che non può che condurre – laddove non si voglia affermare (la nient’affatto peregrina tesi de) la abrogazione implicita del citato art. 5, comma 1 all’indomani dell’entrata in vigore della novella del 2016 – alla sostanziale disapplicazione dell’art. 5, comma 1, D.M. 2015, normativa di rango secondario anteriore alla citata riforma.

Prima dell’entrata in vigore della legge del 2016, infatti, la previsione dell’art. 5, comma 1, D.M. 2015 si giustificava solo in quanto il ricorso alla (allora) c.d. transazione fiscale era per il debitore facoltativo; non è frutto del caso, infatti, che il successivo art. comma 4 del medesimo art. 5 del D.M. 2015 preveda quanto segue: “[l]e imprese che presentano una proposta di accordo sui crediti contributivi ai sensi dell’art. 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nell’ambito del concordato preventivo ovvero nell’ambito delle trattative per l’accordo di ristrutturazione dei debiti disciplinati rispettivamente dagli articoli 160 e 182-bis del medesimo regio decreto, si considerano regolari per il periodo intercorrente tra la data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e il decreto di omologazione dell’accordo stesso, se nel piano di ristrutturazione è previsto il  pagamento parziale o anche dilazionato dei debiti contributivi nei confronti di INPS, INAIL e Casse edili e dei relativi accessori di legge, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti per i crediti di INPS e INAIL dagli articoli 1 e 3 del decreto ministeriale 4 agosto 2009”.

Pertanto, poiché ai sensi del riformato art. 182-ter l.fall. la relativa proposta è obbligatoria, tutte le volte in cui essa preveda lo stralcio del credito contributivo, il DURC regolare deve essere concesso in applicazione dell’art. 5, comma 4 ([26]), D.M. 2015, limitatamente alla parte in cui esso non è stato abrogato: il riferimento è, ovviamente, al “famigerato” D.M. 2009 che, in quanto già da tempo – come visto – implicitamente abrogato, non può più rappresentare condizione ostativa (nemmeno) al rilascio del DURC ai sensi dell’art. 5, comma 4, D.M. 2015.

Peraltro, e sotto un distinto profilo, non appare comunque sostenibile l’inapplicabilità della norma regolamentare de qua sol perché essa parrebbe riferirsi unicamente alla procedura degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. nella parte in cui prevede che “si considerano regolari per il periodo intercorrente tra la data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e il decreto di omologazione dell’accordo stesso”.

La norma – sicuramente frutto di una “tecnica” redazionale alquanto discutibile – può ben essere interpretata, sia a livello letterale, sia a livello sistematico ([27]), come certamente riferibile anche al debitore in concordato preventivo, come dimostrato, anzitutto, dall’inciso iniziale “nell’ambito del concordato preventivo”; parimenti, non è seriamente dubitabile che la stessa possa essere interpretata e conseguentemente applicata, ai fini della dichiarazione di regolarità contributiva, anche al periodo intercorrente tra la data di pubblicazione del ricorso ex art. 161 l.fall. (dunque, non solo dell’accordo) nel registro delle imprese e il decreto di omologazione del concordato (dunque, non solo dell’accordo), ciò anche al fine di non creare illegittime ed ingiustificate disparità di trattamento tra procedure ex art. 182-bis l.fall. e art. 161 l.fall..

A conclusione delle riflessioni che precedono, allo stato – ed in attesa di un auspicabile intervento modificativo/correttivo/sostitutivo del D.M. 2015 o, quantomeno, di un atto di chiarimento/indirizzo del Ministero del Lavoro in armonia col mutato quadro normativo di rango primario – con riferimento al tema del DURC si può concludere come segue:

(i)  nel caso in cui il debitore in concordato formuli, unitamente alla proposta ed al piano, proposta ex art. 182-ter l.fall. che preveda la soddisfazione non integrale del credito contributivo, gli Istituti previdenziali devono rilasciare il DURC “regolare” in base a quanto previsto dall’art. 5, comma 4, D.M. 2015, a condizione che sia rispettata la previsione dell’art. 5, comma 5, D.M. 2015;

(ii) in particolare, l’applicazione dell’art. 5, comma 4, D.M. 2015 non può essere negata perché esso richiama l’abrogato D.M. 2009 o perché individua – quale momento iniziale e finale del “periodo-finestra” durante il quale la regolarità deve essere dichiarata – la sola procedura ex art. 182-bis l.fall. e non anche di quella di concordato preventivo;

(iii) in ogni caso, il DURC “regolare” non può essere rifiutato in base all’art. 5, comma 1, D.M. 2015, norma questa implicitamente abrogata ovvero non applicabile a seguito dell’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2016, n. 232.

[1] Trib. Roma, 28 giugno 2021, inedito.

[2] Che, sub art. 3 prevede(va), in sostanza il soddisfacimento integrale del debito contributivo: “1. La proposta di pagamento parziale per i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. e per i crediti per premi non può essere inferiore al cento per cento e per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art. 2778 c.c. non può essere inferiore al quaranta per cento. 2. La proposta di pagamento parziale per i crediti di natura chirografaria non può essere inferiore al trenta per cento. 3. La proposta di pagamento dilazionato non può essere superiore a sessanta rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale, nel tempo, vigente”.

[3] Nella precedente “fase” del c.d. concordato con riserva il DURC è stato regolarmente rilasciato anche a seguito di “nulla osta” richiesto dalla società in concordato e emesso dal Tribunale fallimentare.

[4] Tale “messaggio”, prevede – tra l’altro – che “dopo il decreto di omologazione, pur in presenza di una parziale soddisfazione dei crediti previdenziali muniti di privilegio, e fino a quando non sia adempiuto il concordato, a parere del Ministero si verifica la situazione prevista dall’art. 3, co. 2, lett. b), del D.M. 30 gennaio 2015, ossia la “sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative” già contemplata all’art. 5, co. 2, lett. b), del D.M. 24 ottobre 2007 con la conseguenza che deve essere dichiarata la regolarità contributiva”(https://www.inps.it/Messaggi/Messaggio%20numero%205223%20del%2006-08-2015.htm

[5] Il citato art. 3, comma 1-ter introdotto dalla legge 27 novembre 2020, n. 159 prevede quanto segue: “Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto cessa di avere applicazione il provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 32, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”, “provvedimento” che è appunto il D.M. 2009.

[6] E, dunque, anche quando la proposta ex art. 182-ter l.fall. preveda la soddisfazione parziale dei crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. e dei crediti per premi, rispetto ai quali l’art. 3 del D.M. 2009 prevede(va) la necessità di pagamento integrale.

[7] Data di entrata in vigore della legge 27 novembre 2020, n. 159.

[8] Numerose, soprattutto nei casi in cui la procedura concordataria sia stata introdotta con ricorso c.d. prenotativo ex art. 161, comma 6, l.fall., cui abbia fatto seguito la concessione del relativo termine e della proroga, anche ai sensi della normativa emergenziale da CoViD-19.

[9] A sostegno di questo orientamento, per quanto consta l’Istituto previdenziale invoca “analogicamente” quanto affermato da Cass. Sez. Un. 25 marzo 2021, n. 8504, che, con riferimento all’art. 3, comma 1-bis (non 1-ter) del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (introdotto dalla legge 27 novembre 2020, n. 159), ha rilevato quanto segue: “[p]er contro non può farsi applicazione del d.lgs. 14/2019, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (breviter, CCII) né risulta applicabile la versione degli artt. 180, 182 bis e ter, LF recentissimamente introdotta dall’art. 3, comma 1 bis, d.l. 125/2020. Quest’ultimo novum legislativo ha anticipato, rispetto alla vacatio generale dell’1 settembre 2021, le previsioni di cui all’art. 48, comma 5, CCII (…). Tale fonte normativa novellante non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz’altro applicarsi il principio tempus regit actum. Ciò tuttavia non può valere che per i procedimenti iniziati dopo il 4 dicembre 2020 (entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 125/2020) (…)”; tuttavia, nulla esclude che il principio tempus regit actum possa (rectius, debba) riferirsi non già alla procedura concordataria, bensì alle operazioni di voto della stessa, come affermato da larga parte della giurisprudenza di merito secondo cui le modifiche introdotte dalla legge 27 novembre 2020, n. 159, si applicano “anche alle proposte di transazione fiscale e previdenziale presentate anteriormente a tale data, purché non siano ancora state concluse le operazioni di voto” (Trib. Roma, 31 maggio 2021; nello stesso senso, Trib. Teramo, 19 aprile 2021; Trib. Bari, 18 gennaio 2021), con la conseguenza che – in ogni caso, anche volendo prescindere dunque dal profilo dell’abrogazione implicita del D.M. 2009 – l’INPS non può opporre, quale ragione “giustificatrice” del voto contrario, la violazione dei “limiti” previsti D.M. 2009 tutte le volte in cui la procedura di concordato: (a) e la relativa proposta ex art. 182-ter l.fall. siano state presentate prima del 4 dicembre 2020, e (b) sia ad oggi pendente ma, rispetto alla stessa, le operazioni di voto non siano ancora esaurite.

[10] Cfr. nota 8 che precede.

[11] Anche in base a quanto previsto nel “messaggio” dell’INPS n. 5223 del 6 agosto 2015 in precedenza citato (cfr. nota 4 che precede) che – sulla scorta “dell’orientamento ministeriale” – prevede l’obbligo dell’INPS di esprimere voto contrario rispetto a proposte concordatarie che prevedano “la non integrale soddisfazione dei crediti previdenziali dell’Istituto”.

[12] Per un approfondimento, anche di natura “storica”, cfr. L. Gambi, “Considerazioni attorno alla transazione fiscale”, su www.ilcaso.it, novembre 2019, p. 1 e ss.; F. Dami, “La falcidiabilità di Iva e degli altri tributi all’indomani della sentenza della Corte di Giustizia CE: prime esperienze applicative”, in Dir. fall., 2016, p.1634 ss.; P. F. Censoni, “Il concordato preventivo”, in A. Jorio – P. Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, IV, Milano, 2016, pp.  164 e ss.; E. Frascaroli Santi, “Il concordato e la transazione fiscale”, in L. Panzani (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2019, pp. 819 e ss.; M. Ferro, Commento sub art. 182-ter, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014; L. Tosi, “La transazione fiscale: profili sostanziali”, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, pp. 647 e ss.; E. Stasi, Commento sub art. 182-ter, in G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2017, pp. 2439 e ss.; G. Andreani, “La transazione fiscale”, in S. Ambrosini – G. Andreani – A. Tron, Crisi d’impresa e restructuring, Milano, 2013; G. Bozza, “Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo”, in Fall., 2012; L. Del Federico, in A. Jorio – M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, II, Bologna, 2007, pp. 2562 e ss.; M.M. Aiello – S. Ambrosini, “La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. in una recente pronuncia della Cassazione: contribuenti allegri…ma non troppo,” in www.ilfallimentarista.it.

[13] G. Andreani “La transazione previdenziale” in www.dirittobancario.it, giugno 2020; A. La Malfa, F. Marengo, Transazione fiscale e previdenziale, 2010, pagg. 277 – 281; E. Stasi “Falcidiabilità dell’iva nella vecchia e nella nuova disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”, in Il Fallimento, 2020, p. 87.

[14] Nello stesso senso, tra la giurisprudenza di merito, cfr. ex multiis Trib. Monza, 22 dicembre 2011, secondo cui il “limite minimo di pagamento del credito degli enti previdenziali di cui al D.M. 4 agosto 2009 può essere disapplicato, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 allegato E, tutte le volte che si ponga in contrasto con il contenuto di norme primarie quali gli articoli 160, 182 ter comma 1, 184 e 186 della legge fallimentare, norme, queste, che consentono il pagamento parziale del credito privilegiato nella misura consentita dal valore del bene posto dalla legge a garanzia del credito”.

[15] Cass. 9 febbraio 2016, n. 2560; Cass. 25 giugno 2014, n. 14447; Cass. 30 aprile 2014, n. 9541; Cass. 16 maggio 2012, n. 7767; Cass. 4 novembre 2011, n. 22931.

[16] Per una disamina delle novità introdotte dalla legge 21 dicembre 2016, n. 232: M. Spadaro “Il trattamento dei crediti tributari e contributivi secondo il nuovo art. 182 ter l.fall.”, in Il Fallimento, 2018, pp. 7 e ss.; L. Del Federico, “La transazione fiscale”, in Le riforme delle procedure concorsuali, (a cura di) A. Didone, Milano, 2016, pp. 1888 – 1890; E. Stasi, Sub art. 182ter l.f., in Codice commentato del fallimento, (diretto da) G. Lo Cascio, Milano, 2017, p. 2441.

[17] Le cui condizioni e limitazioni, assai restrittive, mal si conciliano col novellato art. 182-ter l.fall.: sul tema, cfr. L. Del Federico, “La transazione fiscale”, in Le riforme delle procedure concorsuali, pp. 1874 – 1875; V. M. Marazza, “Il debito contributivo dell’impresa insolvente,” in Arg. dir. lav., 2017, p. 580.

[18] Eventualmente “rivisitando” Circolari oramai chiaramente inattuali quali quella n. 38 risalente addirittura al 15 marzo 2010 e “messaggi” altrettanto inattuali quali quello già citato (cfr. nota 4 che precede) del 6 agosto 2015, n. 5223.

[19] Come noto, il DURC regolare è documento di fondamentale importanza nell’economia di un’impresa, in quanto costituisce condizione essenziale, tra l’altro, per la stipula (e la prosecuzione) dei contratti pubblici e, ancor prima, per la partecipazione alle procedure di affidamento di detti contratti; costituisce, altresì, condizione essenziale per il pagamento degli stati di avanzamento lavori (cc.dd. SAL) o delle prestazioni relative a servizi e forniture e per il certificato di collaudo, il certificato di regolare esecuzione, il certificato di verifica di conformità, l’attestazione di regolare esecuzione, il pagamento del saldo finale.

[20] Paradossalmente, è proprio a seguito del decreto di ammissione ai sensi dell’art. 163 l.fall. e della ricezione, da parte degli Istituti previdenziali, della comunicazione ex art. 171 l.fall. del commissario giudiziale, che detti Istituti negano il DURC ogniqualvolta il credito contributivo sia oggetto di pagamento parziale ex art. 182-ter l.fall.; il DURC, invece, generalmente non è negato nel corso della fase c.d. prenotativa del concordato ex art. 161, sesto comma, l.fall., soprattutto tutte quelle volte in cui il debitore in concordato chieda ed ottenga dal Tribunale fallimentare il c.d. nulla osta al relativo rilascio.

[21] Peraltro, in fattispecie simili, lo strumento del ricorso in via d’urgenza per il rilascio del DURC dinanzi al Giudice del lavoro, competente ratione materiae, è rimedio dall’esito tutt’altro che scontato – e, a meno che non si ottenga una pronuncia inaudita altera parte, dalle tempistiche di definizione spesso non compatibili con l’assoluta urgenza che connota la questione del DURC rispetto all’esercizio dell’impresa – come dimostrato da diverse ordinanze di rigetto di ricorsi ex art. 700 c.p.c. per il rilascio del DURC: ex multiis, Trib. Roma, 6 maggio 2021, inedita (che ha rigettato un ricorso ex art. 700 c.p.c. per il rilascio del DURC negato dall’INPS dopo l’emissione del decreto ex art. 163 l.fall.); Trib. Roma, 3 maggio 2019, secondo cui “la pendenza di una procedura di concordato preventivo non può considerarsi alla stregua di una disposizione legislativa che consenta di sospendere il pagamento di contributi previdenziali, e ciò per la ragione che le limitazioni ad effettuare i pagamenti conseguenti alla domanda presentata dal debitore devono in definitiva ascriversi ad un atto volontario del debitore non ad una disposizione legislativa” (principio non condivisibile affermato con riferimento al diritto al rilascio del DURC nella fase del concordato preventivo con riserva); nello stesso senso, Trib. Ferrara, 1 giugno 2020.

[22] In concreto, sovente accade che il debitore in concordato riceva dall’INPS plurimi “avvisi di irregolarità” (per esempio, ogniqualvolta un cliente c.d. pubblico richieda di verificare la c.d. regolarità contributiva) per debiti c.d. anteriori al deposito della domanda di concordato ed oggetto della proposta ex art. 182-ter l.fall..

[23] Dunque, per un lunghissimo arco temporale, ove solo si consideri che, tra il deposito del decreto di ammissione ex art. 163 l.fall. e la (eventuale) emissione del decreto di omologa ex art. 180 l.fall., generalmente intercorre un lasso temporale di almeno 6 mesi, durante i quali l’impresa in concordato, senza DURC, non è posta in condizione – tra l’altro – di incassare alcun corrispettivo da clienti pubblici, rischia la revoca di contratti già aggiudicati e stipulati e non può partecipare a nuove procedure di affidamento, così mettendosi a grave repentaglio la continuità aziendale positivamente valutata nel decreto di ammissione ex art. 163 l.fall..

[24] Soddisfazione integrale intesa dall’INPS rispetto all’intero credito contributivo, sia privilegiato che chirografario ab origine, e dunque in deroga perfino al D.M. 2009.

[25] In tal senso, si veda anche l’ampio contributo di A. Farolfi, “Appunti in tema di DURC e concordato preventivo in continuità”, su www.ilcaso.it, che tra l’altro osserva quanto segue: “…ritornando “a bomba” al tema oggetto di trattazione, ci si imbatte con un articolo 5 del D.M. 30 gennaio 2015 che ci dice al suo primo comma che nel concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186 bis L. Fall. l’impresa si considera regolare nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e il decreto di omologazione, a condizione che nel piano di cui all’articolo 161 L. Fall. sia prevista l’integrale soddisfazione dei crediti INPS, INAIL e Casse edili e relativi accessori di legge. Chiaramente questa norma pone nella pratica diversi problemi. La prima questione è che la disposizione richiede di verificare che il piano paghi in modo integrale i debiti contributivi. Quindi gli uffici degli enti amministratori dei trattamenti previdenziali ed assistenziali, in qualche in qualche modo hanno avuto agio a sostenere che durante il concordato “in bianco”, non essendoci ancora un piano e non potendo ancora sapere quale tipo di soddisfacimento quella proposta concordataria riserverà, si possano adottare prassi ostruzionistiche al rilascio del DURC regolare. Il secondo problema consiste, a quel punto, nel rendersi però conto che in realtà le norme primarie sono state modificate e l’art. 182 ter L. Fall., in particolare, non è più quella norma che in qualche modo rendeva molto restrittiva la transazione fiscale e la escludeva per l’IVA e per le ritenute, ma è diventata una norma che in qualche modo – anche sulla scorta delle sollecitazioni della giurisprudenza comunitaria – rende il debito erariale, sia per contributi che fiscale, sostanzialmente un debito “come gli altri” – che non va trattato chiaramente in modo deteriore – ma può essere soggetto a falcidia” (enfasi aggiunta).

[26] Purché, ovviamente, sussista la c.d. regolarità contributiva durante il periodo individuato dall’art. 5, comma 5, D.M. 2015.

[27] Ex multiis, Cass. Sez. Un. 30 marzo 2021, n. 8776, che si esprime anche in termini di necessaria ricerca della c.d. ratio legis.

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