Con sentenza 5 marzo 2024, n. 5859 (Pres. Cirillo, Rel. Crivelli), la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di transfer pricing interno, l’operazione che si pone al di fuori dei prezzi di mercato come definiti dall’art. 9 del TUIR, nell’ambito di una situazione di controllo societario (anche di fatto), costituisce in via ordinaria un’anomalia, che giustifica l’accertamento fiscale, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che essa non sussiste.
Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, l’Agenzia delle Entrate rilevava che per le cessioni ad una società del gruppo la contribuente avesse applicato un ricarico del 4% inidoneo a remunerare i costi, accertando maggiori IRPEF e IRAP sul presupposto di un “gonfiamento” degli utili della “consorella” meridionale assoggettata a regime fiscale agevolato.
La CGT di I Grado competente accoglieva il ricorso della contribuente, osservando che l’Amministrazione Finanziaria non aveva dimostrato quanto asserito e la CGT di II Grado confermava la pronuncia, evidenziando che il ricarico minimo era giustificato come strumento di incremento anche occupazionale e sociale, oltreché aziendale.
L’Agenzia proponeva ricorso innanzi ai giudici di legittimità e la Cassazione lo accoglieva, rinviando nuovamente alla CGT di II Grado, che accoglieva a sua volta l’appello proposto dell’Agenzia.
Pertanto, la contribuente proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza dei giudici di seconde cure.
La Suprema Corte, respingendo il ricorso della società contribuente, ha affermato che per la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni deve essere applicato il principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del T.U.I.R., che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al valore normale di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente.
I giudici hanno specificato che le transizioni tra società infragruppo (c.d. transfer pricing interno), residenti nel territorio nazionale, effettuate ad un prezzo diverso dal valore normale indicato dall’art. 9 de TUIR non sono indice, di per sé, di una condotta elusiva, in quanto l’alterazione rispetto al prezzo di mercato rappresenta solo un elemento aggiuntivo, di eventuale conferma, della valutazione di elusività dell’operazione.
Pertanto, proprio perché non si tratta di una disciplina antielusiva in senso proprio, l’Amministrazione Finanziaria ha, dunque, l’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali.