La Corte di Cassazione -Sezione Tributaria, con sentenza 3223 dell’8 febbraio 2025, si pronuncia in materia di transfer pricing, con particolare riguardo al riparto dell’onere probatorio in caso di finanziamenti infruttiferi infragruppo.
La disciplina del transfer pricing, dettata dall’art. 110, comma 7, TUIR, prescrive che il reddito derivante da operazioni tra società del gruppo operanti in stati diversi si determini con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati praticati tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili.
In particolare, il caso si basa su un accertamento di maggior reddito che l’Agenzia delle Entrate aveva disposto rispetto ad una controllante italiana sul presupposto della concessione di un finanziamento infruttifero nei confronti di una controllata esterna.
Nell’annullare tale accertamento, il giudice d’appello aveva ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avesse adempiuto al proprio onere probatorio, essendosi limitata a contestare l’infruttuosità del finanziamento, sul presupposto che, stante la presunzione di onerosità dello stesso, risultasse quindi in contrasto con la disciplina del transfer pricing.
Ribaltando tale giudizio, la Cassazione ha ricordato che, seppur siano consentiti i finanziamenti infragruppo infruttiferi, potendo il finanziamento esser erogato per ragioni commerciali interne al gruppo, ai fini del transfer pricing l’onere di dimostrare tali finalità, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate, ricade in capo al contribuente.
L’Agenzia delle Entrate, per contro, è tenuta unicamente a dare prova che la transazione è avvenuta ad un tasso di interesse apparentemente inferiore a quello “normale”, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento, in tutto o in parte non corrisposti, quantificati in base al tasso di interesse di mercato.