Nelle operazioni di trasformazione «progressive», da società di persone in società di capitali, centralità assume il regime della responsabilità dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sorte prima della trasformazione. La sentenza allegata, concentrandosi sulla questione, analizza due temi distinti ma tra loro connessi.
Con riferimento al primo tema, relativo all’individuazione del momento temporale in cui cessa il regime di responsabilità illimitata e prende «avvio» quello della responsabilità limitata della società risultante dalla trasformazione, la disciplina va collocata nel combinato disposto di cui agli artt. 2500 quinquies c.c. e 2500, comma 3, c.c..
Da tali norme si desume in generale che la trasformazione in società di capitali non libera i soci dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte prima della data in cui ha effetto l’operazione.
Al fine di individuare il momento temporale in cui sorge l’obbligazione, il riferimento va operato al tempo in cui si è formato il titolo alla base del rapporto obbligatorio e dal quale deriva la connessa responsabilità e non, invece, al tempo in cui l’obbligo diviene successivamente esigibile, allorquando la trasformazione abbia già prodotto i suoi effetti ed i soci assunto una responsabilità limitata.
Quanto al secondo tema individuato, relativo alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili da una o più obbligazioni anteriori alla trasformazione, la norma di cui all’art. 2500 quinquies, c.c. prevede due possibilità con cui i soci possono essere “liberati”.
La prima, disciplinata dal comma 1, ult. parte, richiede a tal fine il consenso dei creditori sociali alla «trasformazione» (rectius alla “liberazione”).
Tale ipotesi, derogatoria rispetto alla regola generale della permanenza della illimitata responsabilità, è da qualificarsi – secondo la Corte – alla stregua di un atto di rinuncia del creditore alla garanzia ex lege in cui si sostanzia la responsabilità dei soci delle società di persone (sul tema cfr. Cass., 20 gennaio 2021, n. 979) che interviene – eventualmente – dopo che la società abbia richiesto il consenso dei creditori.
Sul punto la Corte precisa che pur non essendo soggetta a «particolari requisiti di forma», la remissione «non può comunque presumersi». In quanto «atto abdicativo di natura negoziale» esso esige che il diritto del rimettente si estingua conformemente ed entro i limiti della volontà remissoria manifestata.
L’estinzione della garanzia, quindi, si verifica solo se e in quanto voluta dal creditore ed espressa (anche mediante comportamenti concludenti) in modo inequivoco ed incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto di credito (Cass., 22 maggio 2020, n. 9464).
La seconda possibile soluzione costitutiva della rinuncia da parte dei creditori è prevista dal comma 2 della citata norma in forza della quale cui il consenso liberatorio si presume se icreditori sociali – uti singuli considerati – non manifestano espressamente una volontà contraria entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione.
La modalità liberatoria di cui al comma 2 dell’art. 2500 quinquies, pur qualificabile anch’essa come atto negoziale del creditore (cfr., del resto, l’incipit del comma), viene a delineare un particolare percorso di manifestazione della volontà di quest’ultimo (v. già Cass., 8 agosto 2002, n. 11994).
Un percorso normativo che, secondo la Corte, non può che essere di stretta interpretazione per due ordini di motivazione: da un lato perché espressivo di una volontà abdicativa di un diritto, dall’altro in quanto si sostanzia nell’assegnare un determinato valore giuridico (remissorio, appunto) al silenzio e, quindi, nell’imporre al creditore un «onere di loquere» al fine di negare il consenso alla liberazione.
La presunzione, quindi, opera esclusivamente in caso di rigoroso rispetto del procedimento previsto dalla norma.
Così, in particolare, con riferimento alla comunicazione, essa può provenire tanto dalla società, quanto da uno dei suoi soci, ed essere trasmessa ai singoli creditori (dai quali si intende ottenere la liberazione) con un mezzo che in ogni caso garantisca la dimostrazione dell’avvenuto ricevimento (art. 2500 quinquies, comma 2, c.c.).
Quanto all’oggetto, inoltre, la comunicazione deve contenere specificamente sia la volontà trasformativa della società, espressa mediante deliberazione (rectius “decisione”), sia l’intenzione dei soci di liberarsi dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni precedenti (in tal senso la già citata Cass., 11994/2002).
Corollario di quanto dalla Corte argomentato è che alcun valore giuridico può essere assegnato ad una«conoscenza che il creditore abbia conseguito aliunde, ivi compresa quella che in via incidentale e indiretta venga a derivare da atti della società, in corso di trasformazione o a trasformazione completata, ovvero da uno dei soci della medesima».