L’Autrice si sofferma sull’analisi problematica dei precedenti in materia di intermediazione finanziaria, con particolare riferimento alla questione del c.d. neoformalismo informaitvo. In particolare viene affrontato il caso rimesso dalla prima sezione della Cassazione – con sentenza n. 10477/2017 – alle Sezioni Unite, relativa alla forma scritta, integrata dal requisito della doppia firma da parte dell’intermediario come del cliente. E dove viene confermata l’integrazione del requisito di forma ai sensi dell’art. 23 T.u.f. anche in presenza della sola firma dell’investitore. L’impatto dell’arresto delle Sezioni Unite (sentenza n. 898/2018) è destinato a modellare il panorama giurisprudenziale e della prassi contrattuale nella prestazione dei servizi e delle attività d’investimento: il rispetto della forma scritta, richiesta per finalità informative, non esige sempre anche quello della forma espressa del consenso, attraverso la sottoscrizione del soggetto abilitato.
The authors dwells on the problematic analysis of the case law in terms of financial intermediation, with particular reference to the matter of the so called informative new formalism (neoformalismo informativo). In particular, it has been dealt with the judgement of first section of the Supreme Court – with judgement no. 10477/2017 – left to the joint session, related to the written form, supplemented by the requirement of double signature from both the intermediary and the client. Here, the integration of form requirement, according to article 23 of Consolidated Financial Code, also in presence of the only signature of the investor, is confirmed. The impact of the judgement from the joint session (judgment no. 898/2018) is aimed to shape the case law and contractual praxis’ overview in providing investment services and activities: the compliance with the written form, required for information purpose, does not require the express consent through the qualified party’s signature.
Sommario[*]: 1. Premessa. – 2.- I vincoli di forma prescritti dall’art. 23 TUF e il difetto di sottoscrizione nel contratto quadro. – 3. L’evoluzione del formante giurisprudenziale in tema di forma dei contratti di investimento. – 4. Gli itinera argomentativi della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione sul ruolo svolto dal formalismo negoziale di protezione nei contratti del mercato finanziario. – 5. Il decisum delle Sezioni Unite e lo scopo di protezione della forma scritta ad substantiam nei contratti del mercato finanziario. La “ragionevolezza” della decisione. –5.1 Segue: la ratio dell’art. 23 TUF- 5.2 Segue. Il ruolo della sottoscrizione del contratto di investimento
1. Premessa. – Nell’ultimo decennio, specie a seguito dei noti scandali finanziari dovuti al collocamento dei bond argentini e all’insolvenza dei gruppi delle società Cirio e Parmalat, il contenzioso nel settore dei servizi di investimento, per asserita violazione delle regole di trasparenza e di condotta imposte agli intermediari finanziari nella prestazione di servizi in favore della clientela, ha assunto dimensioni via via crescenti.
Nel contenzioso evocato è emerso, in più occasioni, il problema del raccordo fra disciplina speciale dell’intermediazione finanziaria e la disciplina generale contenuta nel codice civile, costringendo la dottrina e la giurisprudenza a tornare su istituti classici del diritto civile, al fine di operarne una rilettura alla luce delle rilevanti innovazioni che la normativa di matrice europea ha apportato alla disciplina dei rapporti fra privati. Ne è seguito un generale ripensamento di intere categorie concettuali appartenenti alla tradizione.
Uno dei temi su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione degli interpreti e degli operatori del diritto è quello della forma dei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, essendosi affermato nel Testo Unico della Finanza il cosiddetto neo formalismo contrattuale, con funzione protettiva del cliente, e, più specificatamente, informativa[1]. Il legislatore, infatti, indotto a ciò dal sopravvenire della legislazione di matrice europea, ha imposto sempre più frequentemente l’osservanza di specifici vincoli formali nella conclusione dei contratti del mercato finanziario, in attuazione di una strategia di protezione del cliente tutta incentrata, almeno originariamente, sul dualismo informazione-formalismo. Chiaramente consapevole, infatti, della asimmetrica distribuzione delle informazioni finanziarie tra datori e prenditori di risparmio, il legislatore ha concepito la forma imposta nei contratti del mercato finanziario come un necessario e utile strumento per riequilibrare la disuguaglianza sistemica che ontologicamente connota il rapporto tra i soggetti abilitati e la parte cognitivamente più debole del rapporto, al fine di assicurare a quest’ultima l’esercizio il più possibile consapevole della libertà contrattuale.
In questo contesto, dunque, la forma negoziale ha finito per assumere connotati eminentemente “protettivi”, in una prospettiva che si discosta dalla logica del sistema codicistico, in cui il formalismo è previsto, come è noto, per lo più, per contratti aventi ad oggetto diritti su beni immobili ed è ispirato al principio di parità formale delle parti contraenti.
2. I vincoli di forma prescritti dall’art. 23 TUF e il difetto di sottoscrizione nel contratto quadro. – Da alcuni anni, la prassi operativa in uso nel settore dell’intermediazione finanziaria ha sottoposto all’attenzione della giurisprudenza nuove e diverse fattispecie concrete in cui viene in rilievo la forma dei contratti di investimento. In particolare, partendo dalla regola enunciata all’art. 23 TUF, che, come è noto, impone all’intermediario la redazione per iscritto, a pena di nullità, del contratto di investimento e la consegna di un esemplare del contratto stesso al cliente investitore, si è posto il problema di capire se possa ritenersi valido il contratto d’investimento che, benché redatto per iscritto, giacché predisposto unilateralmente dall’intermediario, rechi solo la sottoscrizione del cliente e non anche quella del soggetto abilitato. L’interrogativo, tutt’altro che teorico, è stato originato, come si anticipava, dalla prassi in uso tra gli intermediari finanziari di concludere accordi quadro con la clientela “mediante corrispondenza”, ossia attraverso lo scambio di proposta e accettazione di due documenti separati, seppur di identico contenuto[2]. La dichiarazione dell’intermediario, che normalmente riproduce l’intero regolamento contrattuale, opportunamente sottoscritta, è consegnata o spedita al cliente, mentre il modulo, di contenuto identico al primo, contenente la sottoscrizione del cliente, viene trattenuto dall’intermediario. In tal modo, ciascun contraente dispone, a seguito dello scambio documentale, dell’originale sottoscritto dall’altra parte. Il più delle volte, peraltro, il cliente formalmente risulta il proponente dell’iniziativa contrattuale e l’intermediario, che resta, comunque, il predisponente del regolamento negoziale, si riserva di accettare: in siffatta ipotesi, dunque, il contratto firmato dal cliente è indirizzato come proposta contrattuale alla banca, la quale restituisce al cliente medesimo un’accettazione da essa sottoscritta, che riproduce integralmente il contenuto della proposta.
Ed è proprio per effetto di tale prassi che gli intermediari sono stati spesso convenuti nei giudizi promossi dagli investitori – diretti a far dichiarare la nullità del contratto quadro per difetto di sottoscrizione della banca ex art. 23 TUF –, senza avere la possibilità di provare di aver validamente perfezionato l’accordo, dal momento che, disponendo della sola dichiarazione contrattuale sottoscritta dal cliente, si sono spesso ritrovati nella oggettiva impossibilità di dimostrare di aver consegnato al cliente l’accettazione della proposta contrattuale debitamente sottoscritta.
A tal proposito, peraltro, non è inopportuno ricordare che la modalità di conclusione del contratto di investimento mediante corrispondenza è sempre stata considerata dalla giurisprudenza perfettamente lecita e idonea a integrare il requisito di forma richiesto dalla legge [3], ragion per cui gli intermediari, nel praticarla, non si sono mai posti il problema di cautelarsi contro il rischio di eventuali azioni di nullità per difetto di sottoscrizione del contratto quadro[4].
Ebbene, in questo contesto, si è posto il problema di comprendere se la sottoscrizione dell’intermediario, al pari di quella dell’investitore, debba ritenersi davvero necessaria per la validità del contratto di investimento. Sul tema, tuttavia, l’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità non è apparso univoco, essendosi formati nel corso degli anni due contrapposti orientamenti. Il primo, più risalente nel tempo, che ammette la validità del contratto quadro monofirma, l’altro, più rigoroso, che sanziona con la nullità il contratto quadro non recante la sottoscrizione dell’intermediario[5].
3. L’evoluzione del formante giurisprudenziale in tema di forma dei contratti di investimento. – Nel più risalente orientamento interpretativo evocato, la Cassazione ha ritenuto valido il contratto monofirma, valorizzando, anzitutto, la pacifica e continuativa esecuzione del contratto quadro, ritenuta, di per sé, in grado di superare il vizio formale[6]. Per puntellare tale conclusione, il Supremo Collegio, ha richiamato il consolidato principio della c.d. formazione giudiziale del contratto[7], precisando che “la parte che non ha materialmente sottoscritto il contratto, per il quale sia richiesta dalla legge la forma scritta, può validamente perfezionarlo, al fine di farne valere gli effetti contro l’altro contraente sottoscrittore, sia producendo in giudizio, sia manifestando stragiudizialmente alla controparte per iscritto la volontà di avvalersi del contratto”[8]. Secondo questa giurisprudenza, dunque, l’accordo negoziale può ritenersi comunque perfezionato per effetto della produzione in giudizio del contratto solenne ad opera del contraente non firmatario, consentendo così ad un’attività meramente processuale, qual è appunto la produzione in giudizio del documento contrattuale, di produrre l’effetto sostanziale della conclusione del contratto. Così argomentando, tuttavia,questa giurisprudenza mostra di non considerare che la funzione tipica del processo è quella di accertare e tutelare diritti già sorti legittimamente [9] e che il momento perfezionativo del contratto dovrebbe costituire l’antecedente logico dell’attività processuale.
Negli arresti interpretativi successivi, la Corte di Cassazione ha modificato la propria esegesi, trovando assolutamente insoddisfacente il richiamo alla fase esecutiva del contratto e al principio secondo cui la mancata sottoscrizione di una scrittura privata può essere supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario. Quest’ultima prospettazione, in particolare, non è apparsa persuasiva, prestando il fianco a condivisibili rilievi, poiché l’applicazione del suddetto principio alla complessa operazione negoziale nascente dal contratto quadro consentirebbe, al più, il perfezionamento del contratto con efficacia ex nunc – ossia dal momento della produzione in giudizio –, non permettendo di sanare l’originario difetto di forma dello stesso, con conseguente impossibilità di ritenere validi tutti gli ordini di acquisto impartiti precedentemente [10].
Conseguentemente, con una nutrita serie di decisioni, intervenute principalmente nel corso del 2016 [11], si è assistito al consolidamento della soluzione contraria alla validità del contratto firmato solo dall’investitore, statuendosi: (i) la necessità della sottoscrizione del contratto quadro da parte di entrambe le parti contraenti, con conseguente nullità, ex art. 23 TUF, del contratto di investimento sottoscritto dal solo investitore; (ii) la nullità dei successivi ordini di acquisto eseguiti sulla base del suddetto contratto quadro nullo, con conseguente possibilità per gli investitori di impugnare tutte le successive operazioni di investimento rivelatesi infruttuose, ottenendo la restituzione delle somme investite, indipendentemente dalla correttezza e diligenza dell’operato dell’intermediario.
Sennonché, tale ultimo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che è stato peraltro accolto favorevolmente dalla dottrina maggioritaria [12], è stato a sua volta dapprima messo in discussione dall’ordinanza interlocutoria n. 10447/2017 della prima sezione civile della Cassazione- che, come si vedrà, ha ipotizzato una diversa lettura dell’art. 23 TUF, tesa a valorizzare la ratio della prescrizione formale – e poi definitivamente disatteso dalla Cassazione a Sezioni Unite.
4. Gli itinera argomentativi della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione sul ruolo svolto dal formalismo negoziale di protezione nei contratti del mercato finanziario. – La prima Sezione civile della Corte di Cassazione[13], come si diceva, ha ritenuto di rimettere al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione – ritenuta di particolare importanza [14], – diretta a stabilire se, a norma dell’art. 23 TUF, il requisito della forma scritta del contratto di investimento debba esigere, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione dell’intermediario (identico dubbio interpretativo sorge per tutti i contratti bancari, ai sensi dell’art. 117 TUB).
Nell’affrontare il tema in discussione, i giudici di legittimità, dopo aver ripercorso le differenti opzioni interpretative adottate nei propri precedenti giurisprudenziali, hanno mostrato chiaramente di propendere per la soluzione meno formalista, soffermandosi proprio sul ruolo svolto dal formalismo negoziale di protezione nei contratti del mercato finanziario e, in genere, nei contratti stipulati tra parti con diversa forza negoziale.
La disciplina della forma nei contratti asimmetrici, secondo il Supremo Collegio, avrebbe, infatti, una ratio diversa da quella della forma di matrice codicistica, il cui referente normativo si rinviene nell’art. 1325, n. 4 c.c.
Nel codice civile la forma assurge al rango di elemento costitutivo del contratto solo «quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità» e risponde tradizionalmente alle esigenze di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell’atto nei rapporti sociali; la forma imposta nella disciplina di settore persegue, invece, finalità protettive del contraente debole, essendo richiesta a scopi informativi, e trova, quindi, la sua ratio nella necessità di assicurare la corretta trasmissione delle informazioni al cliente, al fine di consentirgli la formazione di un consenso pienamente consapevole alla conclusione del contratto. Conseguentemente, ove risulti raggiunto lo scopo per cui la forma è richiesta, la sottoscrizione della banca ai fini del valido perfezionamento del contratto di investimento non sarebbe necessaria.
Del resto, la finalità protettiva assolta dalla forma scritta nella contrattazione di settore sarebbe corroborata dall’espressa previsione – contenuta sempre nell’art. 23 TUF – di una nullità di protezione in caso di sua inosservanza, nullità che opera solo a vantaggio dell’investitore, unico legittimato a decidere se avvalersi o meno del suddetto rimedio civilistico [15].
In questa direzione, dunque, il legislatore avrebbe imposto l’obbligo di redigere il contratto di investimento in forma scritta per consentire all’investitore, privo di particolari cognizioni tecniche, di prendere atto della nascita del rapporto – tramite un supporto “visibile” e in grado di indurre alla riflessione – e di conoscere (o quantomeno di essere messo in condizione di conoscere) le condizioni sulla base delle quali potrà impartire nel tempo gli ordini di investimento.
Così ricostruita la ratio protettiva della prescrizione formale, i giudici remittenti giungono ad una prima conclusione: quando il legislatore prescrive, come accade nella normativa di settore, un determinato formalismo per meglio tutelare una delle parti del contratto – evidentemente allontanandosi dalla logica del codice civile, che, per tali contratti, avrebbe lasciato la libertà di forma –, la sottoscrizione del cliente è assolutamente indispensabile, essendo il requisito di forma posto a esclusiva protezione di quest’ultimo [16]. La mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’investitore, in altri termini, si porrebbe in contrasto con la ratio della normativa in parola, giacché sarebbe indice di mancata conoscenza delle condizioni contrattuali. Conseguentemente, la sottoscrizione del cliente non può ammettere equipollenti, non potendo essere supplita neanche attraverso comportamenti concludenti posti in essere dal cliente stesso.
Quanto alla sottoscrizione dell’intermediario, la Sezione remittente ritiene, invece, che ai fini del valido perfezionamento del contratto quadro, questa non sia, invece, necessaria, poiché la mancata apposizione della firma in calce al contratto da parte di quest’ultimo non pare potersi considerare lesiva dell’interesse del contraente debole tutelato dall’art. 23 TUF.
Partendo dal presupposto che la forma prescritta dall’art. 23 TUF, e in generale dalle norme statuenti forme legali che presidiano il mercato dei contratti asimmetrici, non è una forma di struttura, come quella del codice civile, ma una (diversa) forma di funzione, appunto perché volta a soddisfare prioritariamente l’interesse dell’investitore alla corretta informazione e, solo in via indiretta, ad assicurare l’efficienza del mercato del credito [17], i giudici remittenti si spingono fino ad affermare che la sottoscrizione dell’intermediario non sia indispensabile per la valida conclusione del contratto, dal momento che l’interesse dell’investitore non può dirsi certo pregiudicato “nella sua completa e consapevole autodeterminazione, dalla mancanza di firma della Banca sul contratto” [18].
Essendo l’intermediario, in altre parole, la parte che predispone il modulo contrattuale ed essendo la forma prescritta dall’art. 23 TUF una “forma informativa” e non costitutiva, non è destinata a svolgere alcuna funzione di protezione nei confronti dell’intermediario, non essendo quest’ultimo il soggetto che riceve tutela dalla prescrizione del vincolo formale [19]. La sottoscrizione da parte del delegato dell’istituto di credito, dunque, non sembra incidere sulle finalità perseguite dalla disposizione in esame, «anzi, esigere tale firma pare porsi in senso contrario al dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari (tenuto conto che, di regola, il funzionario bancario che lo cura non ha poteri di rappresentanza), e, dunque, all’efficienza dei mercati, cui in definitiva anche le nullità di protezione mirano » [20]. Né la carenza della sottoscrizione da parte dell’intermediario potrebbe legittimare lo stesso a sottrarsi alle regole sancite dal negozio, perché la nullità di protezione può farsi valere solo dal cliente.
Conseguentemente, la firma (del funzionario) della banca resterebbe irrilevante per il perfezionamento e per l’efficacia del negozio, così come «il consenso della banca, pur necessario trattandosi di un contratto, potrebbe rivestire anche altre forme di manifestazione della volontà» [21].
La sezione remittente, dunque, dopo aver reso ben evidenti i termini del contrasto giurisprudenziale che, specie nella giurisprudenza di merito, ha visto fronteggiarsi opposti indirizzi interpretativi, mostra chiaramente di propendere per l’orientamento meno formalista.
All’esito della rimessione alle Sezioni Unite da parte del Primo presidente della Suprema Corte, il Supremo Collegio si è pronunciato con la sentenza n. 898 del 16 gennaio 2018, confermando l’impostazione seguita nell’ordinanza di rimessione e affermando il principio di diritto secondo cui: “Il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.
Tale principio di diritto, che si segnala per le importanti ricadute di ordine sistematico in materia di forma dei contratti c.d. asimmetrici, accoglie una moderna lettura funzionale-assiologica della forma prescritta con finalità informativa ed è destinato ad avere un forte impatto sul contenzioso attuale e futuro in materia, sul quale agirà come importante strumento deflattivo, posto il vincolo di coerenza al quale le sezioni semplici della Corte di Cassazione sono tenute ad attenersi nel concreto esercizio della giurisdizione [22] (ex art. 374, comma 3, c.p.c.).
5. Il decisum delle Sezioni Unite e lo scopo di protezione della forma scritta ad substantiam nei contratti del mercato finanziario. La “ragionevolezza” della decisione. – Come si accennava, le Sezioni Unite, con una decisione forse del tutto inaspettata[23], alla luce della consolidata posizione assunta dalle sezioni semplici in favore della nullità del contratto sottoscritto dal solo investitore, hanno ribaltato la statuizione della necessaria bilateralità della sottoscrizione del contratto quadro, superando, in questo modo, anche il problema della convalida successiva del contratto mediante la produzione in giudizio dello stesso da parte del contraente non firmatario.
Si finisce così per demolire l’impianto argomentativo che la stessa giurisprudenza di legittimità aveva sino a quel momento contribuito ad edificare [24], e si afferma che la sottoscrizione della banca non è necessaria per perfezionamento del contratto di investimento, ponendo, in questo modo, fine alla vexata quaestio della validità del contratto monofirma.
L’iter argomentativo attraverso cui il Supremo Collegio finisce per sconfessare l’indirizzo interpretativo fino a quel momento sostenuto dalle sezioni semplici si focalizza sull’analisi di due aspetti particolari:
1) la valorizzazione della ratio dell’art. 23 TUF, alla quale si giunge muovendo dalla comminatoria di nullità di protezione in esso contenuta;
2) la svalutazione del requisito della sottoscrizione dell’intermediario, ai fini del valido perfezionamento del contratto quadro.
5.1 Segue: la ratio dell’art. 23 TUF. – Quanto al primo aspetto, il Supremo Collegio mostra di tenere in opportuna considerazione la natura della nullità comminata dall’art. 23 TUF, che si configura come nullità funzionale alla tutela della più ampia informazione dell’investitore e che, dunque, si atteggia come nullità “di protezione”. Quest’ultima, essendo diretta a riequilibrare la posizione di debolezza in cui versa il cliente in determinati settori dell’ordinamento, è caratterizzata dalla specifica funzione di “costringere” il predisponente, contraente professionale, ad assumere un dato tipo di comportamento, ossia quello di stipulare per iscritto il contratto e a includervi ogni clausola diretta ad assicurare al cliente la conoscenza degli specifici servizi forniti e qualunque altro elemento in grado di metterlo in condizione di conoscere e di verificare, nel corso del rapporto, il rispetto delle regole che riguardano la esecuzione del contratto.
Si tratterebbe, in altri termini, di una nullità diretta a tutelare il diritto dell’investitore ad essere adeguatamente informato e che sanziona l’intermediario per non aver osservato quello specifico dovere comportamentale che la norma espressamente richiede, ossia quello di documentare per iscritto tutte le informazioni da trasmettere al cliente. Sempre al fine di garantire un’effettiva tutela al cliente, l’art. 23 TUF affianca all’obbligo di redigere per iscritto il contratto di investimento, l’ulteriore obbligo di consegnare un esemplare dello stesso al destinatario della normativa di protezione. Anche in questo caso l’obiettivo che il legislatore si prefigge è quello di rendere più agevole al cliente la verifica dell’esatto adempimento degli obblighi informativi in capo all’intermediario [25].
Pur nella consapevolezza che l’obbligo di consegna di un esemplare del contratto al cliente e l’obbligo di redigere il contratto per iscritto siano specifiche condotte attinenti a due momenti dfferenti della dinamica negoziale (essendo il primo un obbligo di comportamento attinente alla fase esecutiva del rapporto, mentre il secondo un obbligo destinato ad incidere sulla fase di formazione del rapporto), è, tuttavia, innegabile che entrambi gli obblighi (informativi e di consegna) facciano parte di una sequenza procedimentale unitaria finalizzata a soddisfare quel processo acquisitivo di conoscenze del cliente, quale parte debole nel rapporto asimmetrico, a cui tende l’intera normativa di settore, ponendosi entrambi come veicolo di trasmissione delle informazioni contenute nel contratto [26].
Ebbene, questa duplice “formalità” contenuta nell’art. 23 TUF, che individua il panorama delle specifiche condotte alle quali è obbligato l’intermediario – una delle quali, quella di forma, sanzionata severamente con la nullità – è indicativa del particolare modo in cui il legislatore ha inteso il ricorso al formalismo nella codificazione di settore; formalismo inteso non tanto come fattore di formazione e di estrinsecazione della volontà negoziale, idoneo, pertanto, a contrassegnare la struttura dell’atto, quanto dettato dall’esigenza di assicurare che determinati elementi dell’atto risultino per iscritto, e, in particolare, quelli che consentono di colmare la asimmetria informativa e cognitiva, che fisiologicamente affligge il contraente debole, non avendo egli partecipato alla predisposizione del contratto di investimento.
A probante conferma di tale ultimo assunto milita la scelta legislativa – che, sotto questo aspetto, si mostra del tutto coerente col rilievo, di natura sostanziale, della funzione solo informativa del requisito di forma scritta del contratto quadro- di riconoscere, anche sul piano processuale, al solo investitore la legittimazione ad eccepire il vizio di forma, proprio in ragione della disuguaglianza sostanziale di potere contrattuale di quest’ultimo rispetto all’intermediario finanziario.
Ma v’è di più. La suddetta legittimazione ex uno latere si traduce, sempre nel processo, anche in un limite per il giudice, poiché anche il rilievo officioso a questi attribuito è condizionato alla manifestazione di interesse in tal senso da parte del contraente destinatario della normativa di protezione [27].
Ciò conferma ancora una volta l’idea che la forma richiesta dall’art. 23 TUF è una forma di protezione [28], che non deve e non può essere considerata riferibile alla struttura essenziale del contratto (ossia elemento destinato ad incidere sul perfezionamento dello stesso), ma un semplice strumento di tutela accordato alla parte debole del rapporto, attraverso il quale il legislatore impone al contraente professionale, che predispone il contratto di investimento, l’adempimento di uno specifico obbligo comportamentale – che il legislatore ha scelto di sanzionare severamente con una nullità di protezione – al fine di eliminare la disparità informativa e conoscitiva in favore del cliente. Si tratta, in altri termini, di una forma scritta richiesta ad substantiam actus solo perché il legislatore, per una chiara e precisa scelta di politica legislativa, ha deciso di elevare a rango di elemento di fattispecie quella che è, a tutti gli effetti, una regola di condotta gravante sull’intermediario.
Di qui, dunque, la evidente diversità di funzione assolta dal vincolo formale nella legislazione speciale, rispetto a quella assolta dalla forma prevista nel codice civile: quest’ultima è infatti destinata ad operare nei rapporti inter pares [29], in cui l’interesse protetto è quello di entrambe le parti contraenti, è funzionale alla ponderazione di rapporti contrattuali aventi ad oggetto determinate tipologie di beni ritenuti di particolare importanza (fondamentalmente beni immobili), oltre che alla promozione, anche nei confronti di terzi, della certezza della regola negoziale e, pertanto, in tale contesto essa assurge a rango di elemento costitutivo dell’atto, necessario per l’esistenza del contratto dal punto di vista della sua completezza strutturale, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità, ex art. 1418, comma 2, c.c., eccepibile da chiunque vi abbia interesse.
La forma nel codice di settore, invece, è destinata ad operare nei rapporti asimmetrici, è richiesta come mero strumento volto ad assicurare all’investitore un apparato di informazioni in grado di orientarlo nelle scelte di investimento che effettuerà in esecuzione del contratto quadro, è una forma che trova la propria ragion d’essere (e, al tempo stesso, il proprio limite operativo) nella protezione di una parte, ossia quella ritenuta dal legislatore bisognosa di tutela in ragione della sua posizione di soggetto non dotato di particolari cognizioni tecniche e che si ritrova a doversi interfacciare nella dinamica negoziale con una controparte professionalmente dedita allo svolgimento di attività nell’ambito degli investimenti finanziari e che possiede, pertanto, un elevato grado di competenza tecnica [30].
Sulla base delle riferite osservazioni può senz’altro concludersi che la nullità espressamente comminata dall’art. 23 TUF e dall’art. 117 TUB non sanziona un vizio del contratto, ma sanziona un vizio presente nel contratto – ossia un vizio del rapporto da esso scaturente –, identificato nel comportamento dell’intermediario non conforme alle prescrizioni normative in materia di forma. Non provvedendo a redigere per iscritto il contratto, l’intermediario impedisce la realizzazione dell’interesse protetto dalla norma e presidiato da nullità, ossia l’interesse specifico dell’investitore ad essere reso edotto e consapevole dei diritti e obblighi che scaturiscono dai contratti relativi ai servizi di investimento. Ed è questo il motivo per il quale si ritiene che la conclusione alla quale è giunta la Cassazione in materia di contratti monofirma debba essere condivisa: così statuendo, la Cassazione mantiene “i riflettori” ben puntati sull’interesse protetto dalla nullità di protezione sancita dall’art. 23 TUF, non lasciandosi fuorviare dalla mancanza di sottoscrizione da parte della banca, essendo questo un dato concernente, al limite, la diversa questione della verifica dell’esternazione della volontà contrattuale della banca nelle forme prescritte dalla legge [31].
Si comprende allora che una volta soddisfatto l’interesse alla cui tutela è stato imposto il vincolo formale, la sottoscrizione dell’intermediario, intesa come tratto autografo del delegato della banca da apporre sul contratto, finisce per perdere l’importanza che pure riveste in generale nell’ambito della disciplina della scrittura privata. Se, infatti, l’obbligo di forma è imposto non tanto al fine di soddisfare un interesse che attiene alla ponderazione della volontà espressa dall’autore dell’atto, quanto, piuttosto, all’interesse specifico dell’altro contraente (in posizione asimmetrica) a ricevere puntuali informazioni su aspetti della vicenda contrattuale [32], allora, per il raggiungimento dello scopo informativo cui la forma scritta è preordinata, la sottoscrizione del soggetto abilitato, la cui funzione è quella di imputare il documento a un determinato autore, può anche mancare, ben potendo desumersi la volontà dell’intermediario di concludere il contratto in atro modo.
5.2. Segue. Il ruolo della sottoscrizione del contratto di investimento.- È giunto il momento di soffermare l’attenzione sull’altro aspetto analizzato dalla Cassazione, ossia il ruolo da attribuirsi al requisito della sottoscrizione dell’intermediario al fine del soddisfacimento dei vincoli formali richiesti dall’art. 23 TUF.
Le Sezioni Unite, come si è anticipato, affermano il principio di diritto in base al quale, ai fini del valido perfezionamento del contratto quadro, la sottoscrizione da parte dell’intermediario «non è necessaria, potendo il consenso della banca desumersi anche alla stregua di comportamenti concludenti dalla stessa tenuti».
Il passaggio fondamentale nel ragionamento delle Sezioni Unite è la distinzione tra due specifici elementi che caratterizzano il documento contrattuale: il primo, che consente di dare certezza alla “regolamentazione del rapporto”, ossia il testo scritto e il secondo, che, invece, consente di dare certezza all’accordo, ossia la sottoscrizione, intesa come elemento che consente la riferibilità dell’atto al suo autore. Ebbene, a parere delle Sezioni Unite, il legislatore di settore, nella prescrizione di forma imposta dall’art. 23 TUF, ha avuto riguardo solo al primo dei suddetti profili, ossia al testo scritto, avendo articolato l’onere formale nei contratti del mercato finanziario in maniera “strutturalmente complessa”, ossia “associando” la redazione per iscritto del documento contrattuale alla consegna dello stesso al cliente.
Proprio la presenza di un tale obbligo composito di forma, all’interno della normativa di settore, consente alle Sezioni Unite di asserire che la sottoscrizione del documento contrattuale, da intendersi quale dichiarazione esplicita e diretta dell’intento negoziale da parte dell’intermediario, non sia necessaria, purché il consenso di quest’ultimo sia comunque implicitamente desumibile dall’atto scritto diretto alla controparte (i.e. da una dichiarazione formale) e che sia stato dalla stessa sottoscritto e alla stessa consegnato [33].
In altri termini, la Cassazione, si sofferma, preliminarmente, sui due peculiari obblighi di condotta, richiesti dal precetto normativo, a cui sono tenuti gli intermediari nella prestazione di servizi di investimento (il primo, identificato nella redazione per iscritto del contratto quadro, il secondo, nell’obbligo di consegna dell’esemplare al cliente-investitore). Da queste premesse trae la conclusione secondo cui al fine di negare il valido perfezionamento del contratto di investimento, non può essere sufficiente la semplice presa d’atto della mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte dell’intermediario finanziario, essendo, viceversa, necessario proseguire l’indagine, onde spingerla a quell’analisi funzionale che consente di verificare, da un lato, la realizzazione dell’interesse protetto dalla norma, dall’altro la manifestazione, sia pure implicita, del consenso da parte dell’intermediario alla conclusione del contratto [34], consenso che, all’evidenza, non può mancare, trattandosi pur sempre di fattispecie negoziale a struttura bilaterale [35].
Questo passaggio operato dalla Corte Cassazione si mostra particolarmente significativo, poiché introduce, in via pretoria, un’ipotesi di equipollente della sottoscrizione dell’intermediario, che viene individuato dal Supremo Collegio in una specifica sequenza comportamentale, cui è tenuto esclusivamente il soggetto abilitato [36], che ha inizio con la predisposizione unilaterale del documento da parte di quest’ultimo – che presuppone, pertanto, di per sé, la redazione per iscritto –, prosegue con la raccolta della firma dell’investitore e con la contestuale consegna a quest’ultimo del documento contrattuale e termina con la materiale esecuzione del contratto. L’esatto espletamento, nei termini suindicati, di questa sequenza procedimentale renderebbe superflua, a parere delle Sezioni Unite, la sottoscrizione da parte dell’intermediario, rendendo così immune da vizio di nullità il contratto recante la sola firma dell’investitore.
Il Supremo Collegio finisce, in altri termini, per negare che il rispetto del requisito della forma scritta imposta per finalità informative esiga sempre e comunque anche quello di una forma espressa [37] del consenso, tramite l’apposizione in calce al contratto della sottoscrizione del soggetto predisponente il documento contrattuale, poiché l’osservanza delle specifiche condotte richieste dalla norma da parte dell’intermediario, oltre a dimostrare in maniera inequivocabile che gli adempimenti informativi e di regolazione del contratto siano stati ottemperati, e, dunque, che l’interesse protetto dalla norma sia stato soddisfatto, consentono di desumere implicitamente il consenso all’intera operazione da parte del soggetto abilitato [38].
L’affermazione, intesa in questi termini, non può che essere condivisa, poiché nella suddetta sequenza procedimentale sono soddisfatte, sia pure in via mediata o indiretta, le tradizionali funzioni che la sottoscrizione è normalmente chiamata a svolgere e che sono in grado comunque di consentire l’imputazione del documento scritto all’intermediario. Ne consegue, pertanto, che laddove la volontà sia espressa in forma scritta e sia risolto il problema di imputazione, il formalismo imposto dall’art. 23 TUF può ritenersi comunque soddisfatto, anche se il consenso dell’intermediario non sia stato espresso attraverso la sottoscrizione del documento dallo stesso predisposto.
La conclusione alla quale è giunta la Cassazione ha l’indubbio il pregio di tutelare adeguatamente l’interesse particolare del cliente, senza pregiudicare l’interesse generale al “dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari” e alla “efficienza dei mercati”, che sarebbe, viceversa, ostacolato dal “formalismo di struttura”. L’obiettivo perseguito dal Supremo Collegio, con la soluzione in esame, in atri termini, è stato quello di garantire, al tempo stesso, l’effettività del rimedio e la proporzionalità dello stesso rispetto all’interesse leso, impedendo, in questo modo, all’investitore la possibilità di fare valere, tramite comportamenti di tipo opportunistico, il difetto formale aldilà delle esigenze di protezione per cui il rimedio è posto [39].
[*] Il presente saggio è destinato al volume collettaneo degli studi in onore di Sabino Fortunato.
[1] S. Fortunato, Informazione e attività bancaria: l’evoluzione dei paradigmi, in Dir. banca merc. Fin., 4/2018, 85 ss.
[2] In generale, sui problemi evocati nel testo, cfr. A. Ravazzoni, La formazione del contratto, I (Le fasi del procedimento), Milano, 1974.
[3] La conclusione del contratto mediante scambio documentale è stata tralaticiamente ritenuta valida dalla giurisprudenza, la quale ha ripetutamente affermato che, ai fini della sussistenza del requisito della forma scritta ad substantiam, non occorre che la volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente e in un unico documento, dovendosi ritenere il contratto perfezionato anche qualora le sottoscrizioni siano contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora il secondo documento risulti inscindibilmente collegato al primo, in modo tale da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo. Cfr., ex multis: Cass., 29 gennaio 2014, n. 1980, in Guida dir., 2014, 15, 82; Cass., 21 agosto 2012, n. 14584 n. 14584, ivi, 2012, 44, 68; Cass., 13 febbraio 2007, n. 3088, in Mass. Giust. Civ., 2007, 2; Cass., 23 dicembre 2004, n. 23966, in Mass. Giust. Civ., 2005, 1; Cass., 18 luglio 1997, n. 6629, in Giust. civ., 1997, 1240; Cass., 13 luglio 1993, n. 7747; Cass., 18 luglio 1992, n. 12819, in Mass. Giust. Civ., 1992, 12. Anche la dottrina non ha mancato di riconoscere la non necessaria contestualità delle dichiarazioni negoziali: cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 1987, p. 293; G. Mirabelli, Del contratto in generale, in Commentario del codice civile, Torino, 1980, p. 93; D. Rubino, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu-F. Messineo, 1962, XXIII, p. 272 ss.; F. Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Le obbligazioni e i contratti, 1993, p. 218; M. Giorgianni, Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, p. 1005.
[4] La diffusione della prassi di concludere i contratti di investimento mediante corrispondenza risponde, com’è intuibile, a un’esigenza di dinamismo delle contrattazioni nel mercato finanziario, se si considera che la possibilità di garantire, su larga scala, la simultanea presenza delle parti al momento della sottoscrizione di ogni singolo contratto di investimento finirebbe per compromettere sensibilmente la speditezza dei traffici. Il problema che, semmai, in tali circostanze viene in rilievo è la necessità per l’intermediario di precostituirsi una prova (documentale) dell’avvenuta conclusione del contratto, nelle ipotesi in cui non si sia preoccupato di “cautelarsi” trattenendo una copia dell’esemplare consegnato al cliente.
[5] Nella giurisprudenza di merito il contrasto è apparso più evidente. Per l’orientamento meno formalista, che ammette la validità del contratto quadro sottoscritto dal solo investitore, cfr., ex multis, Trib. Modena 12 aprile 2017, n. 2017; Trib. Bergamo 11 gennaio, 2017, n. 26; App. Milano, 28 marzo 2017, n. 1288; Trib. Cuneo 19 agosto 2016, n. 782; Trib. Mantova 16 febbraio, 2016; Trib. Rimini 3 marzo 2016; App. Venezia, 15 giugno 2016, n. 1377, in Foro pad., 424 ss.; Trib. Catania 27 gennaio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, p. 17; Trib. Messina 8 maggio 2015; App. Venezia, 28 luglio 2015, tutte consultabili su www.ilcaso.it; Trib. Milano 12 novembre 2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 814 ss.; Trib. Milano 21 febbraio 2012, in www.ilcaso.it; App. Torino, 16 marzo 2012, ivi; Trib. Monza 13 maggio 2012, ivi; Trib. Novara 19 luglio 2012, ivi; Trib. Venezia 7 dicembre 2012, ivi; Trib. Roma 4 febbraio 2011, ivi; Trib. Novara 30 settembre 2011, in www.novaiuris.it; Trib. Milano 16 novembre 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Torino 23 novembre 2009, in Giur. it., 2010, c. 605; Trib. Novara 2 novembre 2010, ivi, 2010, 606) Trib. Milano 27 febbraio 2008, n. 2591; Trib. Biella, 13 gennaio 2010; Trib. Arezzo 23 dicembre 2010; Trib. Novara 2 novembre 2009, in Giur. it., 2010, p. 601 ss. Per l’orientamento più rigoroso, che considera il contratto quadro privo della sottoscrizione della banca nullo, cfr. App. Bologna, 13 gennaio 2017, n. 89, in www.ilcaso.it; Appello di Milano 19 aprile 2017, n. 1680, ivi; Trib. Napoli 24 febbraio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, p. 16; Trib. Napoli 22 gennaio 2015, ivi, p. 17; App. Bologna, 14 maggio 2015; Trib. Rimini ord. 2 febbraio 2012, ivi; Trib. Rimini 2 luglio 2012, in Contratti, 2012, p. 829; Trib. Parma 4 maggio 2011, in Giur. it., 2012, I, p. 315, con nota di M. Ticozzi, Il contratto con forma: la mancanza di sottoscrizione di una parte e la confessione dell’altra. Sentenze di merito contro un’inedita sentenza della Cassazione; App. Torino, 23 dicembre 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Torino 5 gennaio 2010, ivi; Trib. Trento 22 gennaio 2010, ivi; Trib. Torino 5 febbraio 2010, ivi; Trib. Padova 11 febbraio 2010, ivi; Trib. Rimini 4 marzo 2010, ivi; Trib. Modena, 27 aprile 2010, ivi; Trib. Rimini 12 ottobre 2010, in Corr. Merito, 2011, 2, 19; Trib. Rimini 27 ottobre 2010, in www.ilcaso.it; Trib. Alba 29 ottobre 2010, ivi; Trib. Mondovì 9 novembre 2010, ivi; Trib. Mantova 22 gennaio 2009, ivi; Trib. Vigevano 16 febbraio 2009, ivi; Trib. Mondovì 9 aprile 2009, ivi; Trib. Verona 17 aprile 2009, ivi; Trib. Modena 17 aprile 2009, ivi; Trib. Saluzzo 28 aprile 2009, ivi; Trib. Vigevano 8 maggio 2009, ivi; Trib. Torino 29 settembre 2009, ivi; Trib. Torino 18 dicembre 2009, ivi; Trib. Taranto 8 gennaio 2008, ivi; Trib. Taranto 25 ottobre 2008, ivi; Trib. Venezia 8 novembre 2007, in Giur. it., 2008, p. 2235; Trib. Mantova 13 marzo 2006, in Corr. mer., 2007, p. 2842; Trib. Milano 29 marzo 2006-7 aprile 2006, n. 4360, www.ilcaso.it; Trib. Genova, 18 aprile 2005, ivi; Trib. Taranto 6 maggio 2005, ivi.
[6] Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilcaso.it.; Cass., 7 settembre 2015, n. 17740, in www.dejure.it.
[7] Cfr. U. Breccia, La forma, in C. Granelli (a cura di), Formazione, in Tratt. Roppo, Milano, 2006, p. 687, che fa risalire agli anni 20 del secolo scorso il diffuso orientamento secondo il quale l’esibizione in giudizio di una scrittura privata, che riveste il contenuto di un contratto formale che risulti tuttavia sottoscritto soltanto dalla parte convenuta, integra, anche in difetto della sottoscrizione della parte attrice, gli estremi della forma prescritta dalla legge sotto pena di nullità, con due limiti soltanto: che chi ha sottoscritto la dichiarazione contrattuale prodotta in giudizio non l’abbia nel frattempo espressamente revocata; che costui sia ancora in vita (la dichiarazione unilaterale sottoscritta non è opponibile agli eredi del firmatario defunto).
[8] Così testualmente Cass., 7 settembre 2015, n. 17740, cit.
[9] È questa, del resto, la principale obiezione che la dottrina ha sollevato in merito alla ammissibilità del principio della formazione giudiziale del contratto. A tal proposito non si è mancato di evidenziare che il suddetto principio mal si concili con la funzione tipica del processo, che è quella di accertare e tutelare diritti legittimamente sorti in precedenza, non consentendo, invece, la creazione di nuovi diritti. Cfr., sul punto, G. Stolfi, nota a Cass., 26 febbraio 1937, n. 560, in Foro it., 1937, c. 844; D. Barbero, Sulla produzione in giudizio di scrittura privata non sottoscritta, in Foro pad., 1951, p. 1251 ss.; D. Rubino, La compravendita, in A. Cicu-F. Messineo (diretto da), in Tratt. Dir. civ. comm., 1962, p. 273; U. Soddu, Forma e formazione del contratto, in particolare della vendita immobiliare, in Riv. dir. civ., 1969, I, p. 585 e V. Colesanti, Sulla formazione giudiziale dei contratti solenni, in Riv. dir. proc., 1964, p. 637 ss., il quale sottolinea che la tesi sostenuta dalla giurisprudenza rischia di trasformare il processo in una sorta di «malcelata e forse anche collusiva contrattazione».
[10] Anche l’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 10447/2017, come si vedrà, concorda sul fatto che i requisiti di forma imposti dall’art. 23 TUF e dal 117 TUB siano forme necessariamente preventive e che la regola curiale che ammette l’equipollenza tra sottoscrizione preventiva e successiva produzione in giudizio sia da escludersi recisamente, poiché la produzione in giudizio, quando viene a realizzare un equivalente della sottoscrizione, comporta il perfezionamento del contratto ex nunc e non ex tunc. Questo aspetto era stato evidenziato, ancor prima che il dibattito approdasse alle Sezioni Unite, da G. Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari. Un quadro ben delineato: con qualche novità e corollario, Giur.it, 2010, p. 608.
[11] Il filone interpretativo che ritiene nullo il contratto quadro non sottoscritto della banca è stato inaugurato da Cass., 24 marzo 2016, n. 5919, in Corr. giur., 2016, p. 1114 ss., con nota di A. Tucci, Conclusione del contratto e formalismo di protezione nei servizi di investimento; in Contratti, 2016, p. 1089 ss., con nota di S. Giuliani, Nullità del contratto quadro di investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario e abuso del diritto; in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 1168 ss., con nota di P. Gaggero, Dalla nullità relativa alla forma dimidiata?, in Nuova giur. civ. comm., II, 2018, p. 1220 ss.; Cass., 11 aprile 2016, n. 7068, in Corriere Giur., 2016, 1113; Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, in Corr. giur., 2016, 1110; Cass., 19 maggio 2016, n. 10331, in Guida dir., 2016, fasc. 40, 62; Cass., 14 marzo 2017, n. 6559, in www.ilsocietario.it; Cass., 3 aprile 2017, n. 8624, in Contratti, 2017, 509 ss., con nota di R. Lombardi, L’essenzialità della forma scritta nel contratto di investimento. Ma, precedentemente, v. anche, Cass., 22 marzo 2013, n. 7283, in www.ilcaso.it; Cass. 19 febbraio 2014, n. 3889, in Rep. Foro it., 2014, voce Intermediazione e consulenza finanziaria, n. 148;
[12] Esprime apprezzamento per la soluzione adottata, A. Tucci, Conclusione del contratto e formalismo di protezione nei servizi di investimento, in Corr. giur., 2016, p. 1118.; P. Gaggero, Dalla nullità relativa alla forma dimidiata?, cit., 1120; Id., Neoformalismo negoziale di “protezione” e struttura della fattispecie contrattuale, in Contr. impr., 2016, p. 1463 ss. Viene espressa indirettamente adesione alla soluzione prospettata dalla giurisprudenza in esame, seppur attraverso un commento critico all’ordinanza 27 aprile 2017, n. 10447, anche M. Girolami, Contratti di investimento non sottoscritti dall’intermediari: la parola alle Sezioni Unite, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, p. 554; Id., Doppia firma e doppio esemplare nei contratti finanziari, in Ilcaso.it., 30 giugno 2017; D. Maffeis, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca, in Contratti, 2017, p. 393 ss.; G. La Rocca, La forma informativa ed il potere dell’impresa di comandare il mercato: a margine di Cass., ord., 27 aprile 2017 n. 10447 sul c.d. contratto monofirma, in ilcaso.it.; G. Afferni, Rimessa alle Sezioni Unite la questione della nullità del contratto di investimento firmato dal solo cliente, in Società, 2017, 11, p. 1243.
[13] Cass., 27 maggio 2017, n. 10447, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, p. 535, con note di A. Tucci, Una pura formalità Dalla struttura alla funzione del neo-formalismo contrattuale e M. Girolami, Contratti di investimento non sottoscritti dall’intermediario: la parola alle Sezioni Unite, cit. Cfr., anche, Cass. 17 maggio 2017, 12390, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, p. 828 ss., con nota di U. Malvagna, Nullità di protezione e nullità “selettive”. A proposito dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite n. 12390/2017, attraverso la quale la stessa Prima Sezione ha sollevato l’ulteriore questione relativa alla possibilità di opporre, da parte dell’intermediario, l’exceptio doli per paralizzare la domanda di accertamento “selettivo” della nullità di singole operazioni di investimento dedotta dall’investitore (v., infra, cap. III).
[14] L’ordinanza rinvia alle Sezioni Unite ex art. 374, comma 2, c.p.c, non per dirimere un contrasto tra le sezioni semplici o all’interno della stessa sezione, ma perché è intervenuto un mero mutamento di giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine a una questione ritenuta particolarmente delicata. In proposito non si è mancato di rilevare che la questione rimessa alle SU con l’ordinanza di rimessione in esame è indubbiamente di particolare importanza, poiché la Corte di Cassazione si mostra consapevole della delicatezza del tema in discussione e soprattutto dell’impatto impressionante che la soluzione della nullità del contratto monofirma avrebbe sul contenzioso presente e futuro. Cfr., per tali rilievi, D. Maffeis, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca, cit., p. 400, il quale osserva che «Non sfugge, evidentemente, alla Corte di Cassazione, che il contenzioso tra banca e cliente, ove si desse continuità o le Sezioni Unite confermassero la soluzione della nullità già diffusa a sezioni semplici, potrebbe ulteriormente ampliarsi, sia nel senso che il cliente potrebbe recarsi dall’avvocato per impugnare un contratto soltanto perché esso non è sottoscritto dalla banca, sia nel senso che il cliente che si sia recato dall’avvocato per chiedere assistenza, anche giudiziale, per sollevare pretese nei confronti della banca, per un profilo diverso dalla forma (anatocismo, soglia di usura, ecc.), verrebbe a disporre, con il rimedio della nullità per difetto di forma, di un jolly formidabile, che potrebbe usare lui stesso, non consegnando all’avvocato la copia sottoscritta dalla banca. Un jolly che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, dimostra di non essere persuasa di voler distribuire al tavolo da gioco».
[15] Secondo i giudici della Prima Sezione, l’art. 23 TUF impone all’intermediario l’adozione di una «forma di protezione, la quale, al pari della c.d. nullità di protezione, cui la violazione della stessa conduce, è volta specificamente a portare all’attenzione dell’investitore – la parte “debole” del rapporto (non per ragioni socio-economiche, ma) in quanto sprovvisto delle informazioni professionali sul titolo e, più in generale, sugli andamenti del mercato finanziario – l’importanza del negozio che si accinge a compiere e tutte le clausole del medesimo. La prescrizione formale trova la sua ratio nel fine di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell’obiettivo della raccolta di un consenso consapevole alla stipula del contratto (il consenso informato). Per tale ragione, la nullità di protezione può essere fatta valere solo dal cliente, oltre che rilevata d’ufficio dal giudice, sempre nell’esclusivo interesse e vantaggio del primo». Non condivide questa impostazione, R. Amagliani, La forma del contratto quadro di investimento: la parola alle Sezioni Unite, cit., 10, p. 1363 ss. che evidenzia che occorrerebbe quantomeno provare che la sottoscrizione del solo cliente sia sufficiente al superamento dell’asimmetria informativa. Parimenti critico, D. Maffeis, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca, cit., p. 401, il quale, richiamando la tesi di N. Irti, La nullità come sanzione civile, in Contr. impr., 1987, p. 541 ss., ritiene che la nullità sancita dagli artt. 23 TUF e 117 TUB sia ascrivibile alla categoria delle sanzioni civili, da intendersi quale sanzione espressamente comminata alla banca per non avere sottoscritto il contratto, attribuendo alla stessa una qualificazione in termini di forma responsabile volta ad imporre a banche ed intermediari finanziari prassi organizzative improntate a professionalità e efficienza, e in grado di consentire – tra l’altro – di individuare chi, all’interno della struttura organizzativa, abbia consentito il compimento di quella data operazione (nella specie, il perfezionamento del contratto quadro). Le riferite considerazioni non consentono, quindi, all’A. di condividere appieno la premessa argomentativa da cui muove la Corte di Cassazione, poiché l’ordine pubblico sotteso alle norme imperative dettate in ambito bancario e finanziario, di condotta e di struttura, non sarebbe un ordine pubblico di protezione dell’investitore o del cliente, ma un ordine pubblico di direzione, che dovrà applicarsi e interpretarsi alla luce della superiore esigenza di garantire la fiducia ed integrità dei mercati, e che solo mediatamente, e non sempre, conduce alla protezione dell’investitore. Conseguentemente, secondo la riferita ricostruzione esegetica, non si può considerare la sottoscrizione dei contratti bancari e finanziari esclusivamente come una questione di forma informativa, ma anche e innanzitutto come «una questione di organizzazione e di professionalità degli intermediari il cui ovvio corollario è la sanzione della nullità relativa per il difetto di organizzazione e di professionalità che è consistito nel vincolare se stessa ed il cliente ad un contratto senza sottoscriverlo». Tale impostazione dell’a. è menzionata espressamente anche nella sentenza delle sezioni unite, foglio 15 della motivazione, che la disattende sulla base della considerazione che «pur muovendo dall’esigenza di modificare in melius prassi organizzative non del tutto commendevoli, oltre a non trovare un solido fondamento nella normativa che qui si esamina, sembrando una sorta di giustificazione a posteriori della nullità, si muove in un’ottica esasperatamente sanzionatoria, e perviene ad un risultato manifestamente sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è qui preordinata». Per una critica, in dottrina, v. C. Colombo, La forma dei contratti quadro di investimento: il responso delle Sezioni Unite, in Giur. it., 2018, p. 575, il quale, invece, osserva che se la finalità della norma fosse quella di conformare l’attività d’impresa per finalità di carattere generale – sarebbe stata assai più coerente la previsione di una nullità assoluta e rilevabile d’ufficio senza alcun limite, in luogo di quanto viceversa stabilito dal legislatore.
[16] Cfr., per tale impostazione, L. Modica, Formalismo negoziale e nullità. Le aperture delle corti di merito, in A. Bellavista-A. Plaia, Le invalidità nel diritto privato, Milano, 2011, p. 480.
[17] Non vi è dubbio, infatti, che il formalismo informativo nel tutelare gli interessi della parte debole del rapporto, garantendo uniformità e certezza del regolamento contrattuale, indirettamente soddisfi l’interesse generale, garantendo concorrenzialità e, dunque, efficienza del mercato.
[18] Non condivise l’ermeneutica assiologicamente orientata della Cassazione, S. Pagliantini, Usi (e abusi) di una concezione teleologica della forma, in I Contratti, 2027, p. 684, il quale osserva che, così argomentando, si finisce per postulare un duplice significato di forma ad substantiam, forte nei contratti negoziati e debole in quelli di massa, nonostante per la legge la qualifica di scrittura privata si esaurisca nella sottoscrizione, senza che gli equipollenti, pur in astratto configurabili, possano essere rimessi alla disponibilità delle parti. Secondo l’a., dalla lettura dell’art. 23 TUF non è possibile ipotizzare una deroga espressa al disposto dell’art. 2702 c.c., cosicché sarebbe quest’ultima a dover trovare una puntuale applicazione. In caso contrario, la finalità di protezione dell’investitore, sancita dall’art. 23 TUF, ne esce alquanto ridimensionata. Per una diversa opinione, v. R. Natoli, Una decisione non formalistica sulla forma: per le Sezioni Unite il contratto quadro scritto, ma non sottoscritto da entrambe le parti è valido, in Società, 2018, p. 487 ss., il quale si sofferma sulla diversa ratio del formalismo negoziale imposto nel settore bancario e dell’intermediazione finanziaria, rispetto a quella desumibile dalle regole generali: nella legislazione speciale la scrittura è imposta come veicolo di informazioni e non come presidio di certezza in ordine all’imputazione della volontà, pertanto «ogni qual volta la scrittura raggiunge il suo scopo a prescindere dalla sottoscrizione, mediante equipollenti legislativamente dati, la riconduzione dell’atto al suo autore è comunque compiuta».
[19] Per una valutazione critica di questo orientamento, cfr. A. Tucci, Una pura formalità. Dalla struttura alla funzione del neo-formalismo contrattuale, cit., p. 543 ss., il quale non condivide l’affermazione secondo cui, ai fini della realizzazione dell’assetto di interessi previsto dal legislatore, è sufficiente che il cliente riceva le informazioni prescritte dalla disciplina di rango primario e secondario e che questa circostanza risulti dalla sottoscrizione del testo contrattuale, ritenendola «in contrasto con il chiaro tenore dell’art. 23 t.u.f., che, per contro, impone la conclusione di un contratto, nell’accezione di cui all’art. 1321 c.c., evidentemente, non ritenendo sufficiente la mera consegna di un documento informativo.»; da D. Maffeis, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca, cit., p. 401, il quale non ritiene che «l’ordine pubblico sotteso alle norme imperative, di condotta e di struttura, sia un ordine pubblico di protezione dell’investitore o del cliente, ma […] sia un ordine pubblico di direzione e cosıì sia ispirato, e debba interpretarsi ed applicarsi, alla luce della superiore esigenza di garantire la fiducia ed integrità dei mercati, ciò che solo mediatamente, e non sempre, conduce, con riguardo all’applicazione di questa o quella specifica regola, a proteggere gli investitori». In termini analoghi anche V. Cusumano, Forma e formalismo nell’intermediazione finanziaria: come tutelare in concreto l’investitore?, in Nuova Giur. Comm., 2017, 7-8, p. 933, il quale mette in evidenza che «tali nullità sono quindi poste nell’interesse individuale e per la protezione del contraente la cui scelta sia ad alto rischio di irrazionalità, ma anche e soprattutto nell’interesse generale e per l’efficienza del mercato. Ciò realizza nell’immediato l’interesse privato. Ma mediatamente realizza l’interesse generale». In termini analoghi anche R. Amagliani, La forma del contratto quadro di investimento: la parola alle Sezioni Unite, cit., p. 1363 ss., secondo il quale le previsioni in esame non tutelerebbero il solo cliente e che, inoltre, occorrerebbe quantomeno provare che la sottoscrizione del solo cliente sia sufficiente al superamento dell’asimmetria informativa. Per M. Girolami, Contratti di investimento non sottoscritti dall’intermediario: la parola alle Sezioni Unite, cit., p. 558, la quale non riesce a comprendere come si riesca anche solo ad insinuarsi il dubbio «che una disciplina volta a tutelare specificatamente e al massimo il contraente debole possa venire interpretata nel senso che la prescrizione di forma contenuta nell’art. 23 TUF possa risultare di consistenza ridotta rispetto a quella che il codice civile prevede per la contrattazione inter pares.». In argomento v. anche G. Romano, La nullità del contratto quadro d’investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario tra vestimentum negotii, “forma informativa” e uso selettivo del rimedio di protezione. Aspettando le Sezioni Unite, in Dir. Banca, 2017, p. 592 ss., che, invece, sostiene che la funzione informativa si aggiungerebbe a quella strutturale, senza sostituirla. Infine, R. Lombardi, L’essenzialità della forma nel contratto di investimento, cit., p. 509 ss., il quale evidenzia che «se la forma scritta ad substantiam rappresenta il massimo requisito formale, tale deve rimanere e non si può eludere la disciplina invocando comportamenti concludenti, benché sufficienti a dimostrare la volontà dei contraenti».
[20] Per una critica serrata delle esigenze sostanziali valorizzate dall’ordinanza, G. La Rocca, La forma informativa ed il potere dell’impresa di comandare il mercato: a margine di Cass., ord., 27 aprile 2017 n. 10447 sul c.d. contratto monofirma, cit., il quale osserva che nei mercati finanziari un’esigenza di «dinamismo nella conclusione dei contratti» sicuramente si pone nella «negoziazione algoritmica ad alta frequenza», che, tuttavia, non è il tema sottoposto all’esame delle Sezioni Unite. Pertanto, secondo l’a., una «tale ansia per contrattazioni rapide e seriali è assolutamente estranea all’attività d’intermediazione mobiliare ora in discorso. Quest’ultima non consiste nel piazzare un qualsiasi bene di consumo, che, avendo di regola un prezzo relativamente basso, di per sé disincentiva dall’utilizzare particolari oneri formali che ne incrementerebbero i costi di negoziazione». Infatti, «l’attività di intermediazione mobiliare consiste nell’assistere il singolo risparmiatore nei suoi investimenti e con ciò cooperare nell’indirizzare il risparmio verso gli investimenti produttivi». A parere dell’a., alla Cassazione sarebbe sfuggita questa funzione essenziale svolta dall’attività di intermediazione mobiliare e dai servizi di investimento – tanto per il singolo risparmiatore che per il sistema economico nel suo complesso – nel contesto della quale, lungi dall’essere apprezzabile un atteggiamento di dinamismo dell’intermediario, si imporrebbe invece, da parte di questi, un’indagine attenta delle caratteristiche sia dell’investitore, sia dell’investimento.
[21] Cfr. Cass., 27 aprile 2017, n. 10447, cit. Non condivide la conclusione G. La Rocca, op. loc. ul. cit.,
[22] Dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, si sono pronunciate in senso conforme, ex multis: Cass., 23 gennaio 2018, n. 1653, in www.dirittobancario.it; Cass., 4 giugno 2018, n. 14243, ivi; Cass., 22 giugno 2018, n. 16362, ivi; Cass., 16 luglio 2018, n. 18828, ivi; Cass., 29 novembre 2018, n. 30885, ivi; Cass., 1 luglio 2019, n. 17650, ivi; Cass., 27 agosto 2019, n. 21750, ivi; Cass., 10 settembre 2019, n. 22640, ivi.
[23] Una parte della dottrina aveva auspicato che il Supremo Collegio analizzasse con maggiore ponderazione le argomentazioni, ritenute poco convincenti, propugnate nell’ordinanza di rimessione n. 10447/2017, confidando in una interpretazione più fedele al dato letterale dell’art. 23 TUF. In particolare, cfr. S. Pagliantini, Usi (e abusi) di una concezione teleologica della forma, cit., p. 683 ss.; D. Maffeis, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca, cit., p. 406; R. Amagliani, La forma del contratto quadro di investimento: la parola alle Sezioni Unite, in Nuova giur. Civ. comm., 2017, p. 1363. La delusione per la soluzione accolta dalle Sezioni Unite si coglie, pertanto, chiaramente nella successive note di commento degli stessi autori: S. Pagliantini, Forma o modalità di informazione materializzata? Le Sezioni Unite ed una interpretazione normalizzatrice dell’art. 23 T.U.F., in Contratti, 2, 2018, p. 148 ss.; R. Amagliani, Nota breve a margine delle Sezioni Unite 16 gennaio 2018, n. 898, ivi, p. 149 ss.
[24] Le sezioni semplici, infatti, si erano ripetutamente pronunciate nel corso del 2016 per la nullità del contratto sottoscritto da solo investitore, tanto è vero che la questione in esame è stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite come questione di particolare importanza, ex art. 374, comma 2, c.p.c., e non per dirimere un contrasto tra sezioni semplici o all’interno della stessa sezione.
[25] L’obbligo di consegna al contraente non predisponente di un esemplare del testo contrattuale risponde un’analoga finalità di informazione e trasparenza, perché, attraverso tale obbligo, il legislatore si propone di consentire al contraente debole di verificare la conformità del successivo svolgimento del rapporto contrattuale ai patti inizialmente assunti, e, quindi, l’adempimento degli obblighi di buona fede in executivis gravanti sulla controparte contrattuale.
[26] Osserva M. Putti, La nullità parziale. Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, 306, sia pur con riferimento al disposto dell’art. 117 TUB, che la norma si iscrive nell’ambito di quell’ampia produzione legislativa dettata in materia di difesa del consumatore nei contratti con questo conclusi, che tende a far oggetto di disciplina non tanto l’atto in sé (e, quindi, nemmeno la sua forma), ma il comportamento delle parti sia nella fase di esecuzione che di formazione dello stesso. Lo scopo è quello di far conoscere al contraente debole sia la sua posizione di svantaggio, sia gli oneri che gli derivano dal contratto, sia, infine, i diritti che la legge gli riconosce. In questa direzione, ancora più incisivamente, R. Lener, Dalla formazione alla forma dei contratti sui valori mobiliari (prime note sul «neoformalismo» negoziale), in Banca, borsa, tit. cred., 1990, p. 780; Id., Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Milano, 1996, p. 4 ss.
[27] Sul problema della disponibilità delle nullità di protezione alla luce del contegno processuale del contraente protetto, cfr. G. Perlingieri, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Napoli, 2011, p. 13 ss. Cfr. anche S. Monticelli, Autonomia privata e limiti alla disponibilità della nullità contrattuale, in Contr. Impr., 2018, p. 1036.
[28] Una implicita conferma che la forma prescritta ex art. 23 del TUF abbia i connotati tipici di una “forma di protezione” a favore del cliente, si avrebbe anche dal contenuto testuale della suddetta norma che non impone che i contratti siano “conclusi” per iscritto, ma prevede che gli stessi siano “redatti” per iscritto. Ciò confermerebbe l’idea che l’art. 23 del TUF abbia introdotto nel nostro ordinamento una “forma di protezione” con la finalità di rendere edotto e consapevole il cliente delle caratteristiche dei servizi di investimento prestati dall’intermediario e dei diritti e obblighi connessi ai contratti relativi agli stessi servizi di investimento.
[29] Attraverso il combinato disposto dell’art. 1350 e 1418, comma 2, c.c. e, dunque, con l’imposizione dell’onere formale a pena di nullità, l’ordinamento limita l’autonomia privata, imponendo l’adozione di una determinata forma, per lo più la forma scritta, che assurge al rango di requisito costitutivo del contratto solo «quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità». In questi casi si parla di forma scritta ad substantiam per significare che la sua osservanza è indispensabile ai fini della validità stessa del contratto. Altra cosa è la forma scritta ad probationem, richiesta cioè ai fini della prova dell’esistenza e del contenuto del contratto. Per un inquadramento generale dei problemi inerenti al formalismo giuridico si rinvia a G. Gorla, Il contratto, I, Milano, 1954; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1969, p. 126.; M. Giorgianni, Forma degli atti, cit., p. 989 ss.; G. Cian, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, p. 9 ss. Nel caso in cui la legge impone la forma scritta ad substantiam, l’elemento formale investe entrambe le dichiarazioni di volontà, le quali per assumere rilevanza giuridica devono essere espresse in forma scritta, non essendo ammissibile una manifestazione per fatti concludenti, giacché questi ultimi possono certo far ritenere che una volontà sia stata in effetti manifestata, ma non nella forma richiesta dalla legge.
[30] Cfr., in questo senso, Cass., 4 novembre 2019, n. 23314, in www.Ilcaso.it.
[31] Del resto, non può non tenersi in debito conto la circostanza che il cliente, nel caso sottoposto all’esame del Supremo Collegio, non si doleva di non aver prestato un consenso informato alla conclusione del contratto, né aveva addotto che fosse carente un documento contrattuale che rappresentasse puntualmente la sua volontà negoziale e neppure aveva potuto sostenere che il rapporto non si fosse svolto regolarmente e che la banca non avesse dato corso all’esecuzione di esso, ma si era avvalso della legittimazione di cui al terzo comma dell’art. 23 TUF unicamente per dedurre ed eccepire la mancanza della sottoscrizione in calce a quel contratto da parte della banca. «Ponendosi nella prospettiva della funzione assegnata alla previsione di forma dal legislatore, l’eccezione del cliente circa la mancanza di sottoscrizione della banca non poteva che risultare del tutto priva di fondamento, siccome non pertinente all’esigenza che quella prescrizione formale è volta ad assicurare, finendo per trasformare un presidio posto a tutela della informata e consapevole partecipazione dei clienti in un formalistico strumento per conseguire risultati del tutto al di fuori delle previsioni e dello scopo della norma». Cfr., sul punto, C. Scognamiglio, Contratti monofirma nei servizi di investimento e scopo di protezione della forma, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 747, il quale sostiene, inoltre, che «affermare la nullità del contratto quadro in presenza di ipotesi di fatto del genere di quelle qui in esame significherebbe accreditare una tesi che va oltre lo scopo di protezione (del consumatore) della norma che ha introdotto il requisito di forma. Pertanto, la tesi condivisa dalle sezioni unite non dovrebbe essere considerata tale da accreditare l’esito ermeneutico paventato di una lettura del requisito di forma che rappresenti un arretramento della tutela del cliente rispetto a quella spettante invece alla parte di un contratto non asimmetrico: la tutela del cliente sarebbe comunque assicurata proprio dalla circostanza che il contratto sia redatto per iscritto e che la copia di esso gli sia stata consegnata, per di più proprio con sottoscrizione del rappresentante dell’impresa».
[32] Una parte della giurisprudenza di merito, prendendo le mosse dalla funzione informativa svolta dalla forma nei codici di settore e svalutando conseguentemente l’importanza della sottoscrizione dell’intermediario ai fini del valido perfezionamento del contratto di investimento, si è spinta fino a ipotizzare, in capo al cliente, una carenza di interesse ad agire allorché, pur sussistendo la violazione della disciplina contenuta nell’art. 23 TUF, non sia ravvisabile “una violazione dell’interesse protetto”. Cfr., in tal senso, Cfr. Trib. Torino 20 gennaio 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Catania 27 gennaio 2015, cit., p. 19. In dottrina, cfr., A. Perrone, Regole di comportamento e tutele degli investitori. Less is more, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, spec. p. 540 ss. Una variante di questo approccio giurisprudenziale, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, finisce per ritenere inammissibile, nel processo, la domanda di nullità/restituzione, ove risulti palese lo “sfruttamento abusivo” di un istituto di protezione del contraente debole. Così, laddove l’investitore deduca la nullità del contratto quadro (e delle operazioni di investimento “a valle”) per ottenere la restituzione dei soli investimenti non remunerativi, pone in essere una “opportunistica disarticolazione di un rapporto unitario”. In questi termini: Trib. Torino 7 marzo 2011, in Corr. mer., 2011, p. 699, che ha ravvisato nella condotta dell’investitore un ipotesi di abuso del diritto alla domanda, che urta contro i principi del giusto processo e della correttezza, rendendo inammissibili tanto la domanda di nullità, quanto la consequenziale domanda restitutoria diretta a selezionare solo alcuni degli effetti suoi propri. Senza voler anticipare quanto si dettaglierà nel prosieguo, è sufficiente in questa sede ricordare che la Corte di cassazione, nella sentenza n. 8395/2016, ha disatteso questo approccio, osservando che l’investitore può “selezionare” il rilievo della nullità e rivolgerlo ai soli contratti (attuativi del contratto quadro) che ritiene pregiudizievoli. A seguito del contrasto interpretativo creatosi all’interno della prima sezione, la questione della ammissibilità della nullità selettiva è stata rimessa al primo presidente per l’assegnazione alle sezioni Unite.
[33] Sulla forma “scritta priva di sottoscrizione”, come tipo a sé stante nell’ambito del panorama delle forme degli atti giuridici, si rinvia alle pagine di L.V. Moscarini, Commento dell’articolo 4 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, in Diritto privato e interessi pubblici, scritti minori di Lucio V. Moscarini, Milano, 2001, pp. 332-333, secondo cui «la nostra tradizione culturale ci ha assuefatto a considerare la nozione di scrittura come un modello essenzialmente unitario che però, nel quadro della disciplina generale della prova dei fatti giuridici, si articolata nelle due sub figure dell’atto pubblico e della scrittura privata». L’autore, continua osservando che «si è abitualmente indotti a credere che, ove la legge preveda genericamente uno scritto, e non richieda espressamente l’atto pubblico ovvero non trovino applicazione le regole concernenti le figure “speciali” di scritture, per scritto debba intendersi la scrittura privata così come delineata e regolata dall’articolo 2702, ossia la scrittura privata sottoscritta». Ma vedi anche Id., Formalismo negoziale e documento informatico, in Studi in onore di Pietro Rescigno, V, Responsabilità civile e tutela dei diritti, Milano, 1998, p. 1045 ss., in cui l’a. osserva che «I due elementi, della scrittura e della sottoscrizione, non sono certamente gli unici schemi formali al cui impiego la legge subordina la validità dell’esternazione della volontà privata, non mancando ipotesi in cui si prevede, […] genericamente la forma scritta, senza la previsione di una vera e propria scrittura privata, e quindi senza necessità della sottoscrizione».
[34] Tale ultimo arresto della Cassazione contraddice l’orientamento ricorrente nella stessa giurisprudenza di legittimità, secondo cui nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta a pena di nullità, l’atto scritto costituisce lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà negoziale delle parti; il requisito formale può dirsi soddisfatto solo quando l’atto scritto contenga l’estrinsecazione formale e diretta della volontà di concludere quel determinato contratto e sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà. Cfr., ex multis, Cass., 28 maggio 1997, n. 4709, in Foro it. Rep., 1997, voce Contratto in genere, n. 381; Cass., 29 ottobre 1994, n. 8937, ibidem, 1994, voce cit., n. 305; Cass., 30 agosto 1994, n. 7590, in Giur. it., 1995, I, 1029; Cass., 14 maggio 1993, n. 5486, in Riv. giur. edil., 1994, I, 37; Cass., 21 marzo 1990, n. 2349, in Foro it. Rep., 1990, voce Contratto in genere, n. 248; Cass., 4 maggio 1989, n. 2065, ibidem, 1989, voce cit., n. 275.
[35] Così G. D’amico, La forma del contratto-quadro non è prescritta ad substantiam actus, in Contratti, 2018, p. 138 ss.
[36] Osserva criticamente S. Pagliantini, Usi (ed abusi) di una concezione teleologica della forma: a proposito dei contratti bancari c.d. monofirma (tra legalità del caso e creatività giurisprudenziale), cit., p. 742, che la formulazione contenuta nelle due ordinanze di rimessione nn. 10447/2017 e 12390/2017 rappresenta un caso quasi paradigmatico di “autentica creatività giurisprudenziale”.
[37] Osserva V. Timpano, La produzione in giudizio come equipollente della sottoscrizione, in Contratti, 12/2000, p. 1098, che la prescrizione della forma scritta impone unicamente che la manifestazione del consenso venga resa per iscritto. Altra cosa è richiedere che il consenso sia espresso in modo esplicito. Secondo l’a. questa conclusione trova positivo riscontro in molte disposizioni del codice che mostrano di considerare la forma scritta e la forma espressa come due requisiti formali distinti, ciascuno dotato di propria autonomia. Si pensi all’art. 2879 c.c., a norma del quale la rinunzia del creditore all’ipoteca deve essere espressa e deve risultare da atto scritto, sotto pena di nullità. Distingue forma scritta e forma espressa anche l’art. 466 c.c., che per la riabilitazione dell’indegno a succedere prescrive la manifestazione scritta della volontà mediante atto pubblico o testamento, richiedendo altresì che la stessa assuma carattere espresso. «Nello stesso senso dispongono altri articoli del codice civile, quali gli artt. 1456, 1937, e l’elenco potrebbe continuare. Ebbene le citate disposizioni non avrebbero senso se il requisito della forma scritta implicasse necessariamente la manifestazione espressa della volontà di concludere il contratto».
[38] In proposito non può farsi a meno di notare che anche in ambito più strettamente codicistico, soprattutto in relazione a problematiche di nullità ad substantiam attinenti, per lo più, a contratti aventi per oggetto beni immobili, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha introdotto significativi “vulnera” al “totem” della sottoscrizione, non solo affermando che la parte non firmataria possa esprimere il proprio consenso mediante manifestazione tacita di volontà, purché si tratti di manifestazioni scritta ed attuale, come l’intimazione scritta ad eseguire il contratto (cfr. Cass., 10 maggio 1996, n. 4400, ined., in cui si stabilisce che nei contratti per i quali è prescritta la forma scritta, a pena di nullità, l’accettazione non deve essere necessariamente manifestata in modo esplicito, ma è sufficiente che la volontà di accettare la proposta sia desumibile, per implicito, da una dichiarazione redatta per iscritto, diretta alla controparte da colui cui la proposta è indirizzata), ma, come si è già detto, ammettendo, con un indirizzo risalente che può dirsi consolidato, che la mancata sottoscrizione del documento è supplita dalla sua produzione in giudizio da parte del cliente non firmatario che intende avvalersi del documento stesso (Cfr. Cass., 8 marzo 2006, n. 4921; Cass 10 maggio 2006, n. 11409; Cass., 12 giugno 2006, n. 13548; Cass. 17 ottobre 2006, n. 2223; Cass. 29 novembre 2001, n. 15164; Cass., 11 marzo 2000, n. 2826. In epoca meno recente, le medesime conclusioni sono raggiunte da Cass. 19 febbraio 1999, n. 1414; Cass., 7 maggio 1997, n. 3970; Cass., 17 giugno 1994, n. 5868; Cass., 5 luglio 1963, n. 1807, in Giust. civ., 1963, I, 2033; Cass., 6 giugno 1962, n. 1371) e che la stessa evenienza si può prospettare anche in caso di apocrificità della sottoscrizione, con l’avvertenza, tuttavia, che, in siffatte ipotesi, il contratto si concluderebbe ex nunc, in quanto quella produzione potrebbe attestare la manifestazione di volontà della parte di far proprio il contratto (cfr. Cass., 10 aprile 2004, n. 2223).
[39] In questi termini U. Salanitro, Nullità per mancanza di forma e “contratti mediante corrispondenza”, in Nuova giur. Civ. comm., 5/2018, p. 737.