SOMMARIO: Il contributo si occupa del problema della sottoponibilità del disponente di un patrimonio in un trust con funzione di garanzia di un debito altrui agli obblighi di segnalazione nella Centrale Rischi istituita presso la Banca d’Italia. L’Autore ritiene che la separazione patrimoniale e il collegato vincolo di destinazione impresso ai beni conferiti in trust, configurando una dismissione patrimoniale, non costituisca un evento che la normativa di settore considera una ‘posizione di rischio’ da segnalare.
ABSTRACT: The contribution deals with the problem of the subjection of the settlor of an asset in a trust with the function of guaranteeing another person’s debt to the reporting obligations in the Central Risk Office established at the Bank of Italy. The author believes that the separation of assets and the associated destination constraint placed on the assets placed in trust, configuring an asset disposal, does not constitute an event that industry regulations consider a ‘risk position’ to be reportable.
1. Il quesito
Si è ricevuto incarico di esprimere un parere pro veritate in relazione alla seguente questione giuridica: se il disponente di un patrimonio in fund trust avente funzione di garanzia di un debito altrui sia soggetto agli obblighi di segnalazione nella Centrale Rischi istituita presso la Banca d’Italia, al pari di quanto accade al terzo datore di ipoteca.
2. Considerazioni in diritto.
2.1. Il trust quale patrimonio separato senza soggetto, vincolato alla realizzazione di un effetto di destinazione.
La risposta al quesito trova la sua necessaria premessa nell’indagine sia sulla natura dell’atto di ‘dotazione’ patrimoniale del trust fund che sulla ricorrenza o meno di una nuova soggettività giuridica, al pari di quanto accade, per rimanere nell’ambito delle separazioni patrimoniali, all’ipotesi di costituzione di una fondazione.
Le sensibili differenze con quest’ultimo istituto sono di deciso ausilio per l’interprete.
Mentre, infatti, con l’atto istitutivo della fondazione si ‘crea’ un nuovo soggetto giuridico, con il c.d. atto istitutivo del trust il disponente non crea una nuova soggettività, ma un vincolo di destinazione.
Quanto invece alla ‘dotazione patrimoniale’, nel trust non si assiste ad alcun negozio con effetti traslativi, come invece accade nella fondazione, laddove il ‘fondatore’ dota quel nuovo soggetto giuridico di un patrimonio con un atto di trasferimento reale[1].
Quello che pertanto viene impropriamente chiamato «atto di dotazione del trust» è invece un atto di separazione patrimoniale, in relazione al quale non si produce quel medesimo effetto reale che caratterizza la dotazione patrimoniale di una fondazione[2].
Il potere che spetta al trustee sui beni separati e destinati non ha natura sostanzialmente reale. Si tratta di una ‘intestazione’ finalizzata alla mera opponibilità del vincolo di destinazione, di natura temporanea e priva dei poteri dominicali ex artt. 832 ss. c.c.[3]
Si è rilevato da attenta dottrina che l’atto di destinazione produce «un effetto non riguardabile in termini di diretta costituzione, modificazione e estinzione di rapporti giuridici attuali bensì di programmazione di regole inerenti ad un numero indefinito di rapporti futuri»[4]. Secondo questa prospettiva gli effetti degli atti di destinazione «non si inquadrano nella categoria dell’attribuzione bensì in quelli dell’organizzazione»[5]. Per tale motivo appare più corretto discorrere di trust fund, traducendolo impropriamente fondo in trust, piuttosto che ‘fondo del trust’ o anche solo ‘trust’. Anche in un trust autodichiarato si produce sia l’effetto di destinazione di un patrimonio che l’effetto di separazione dello stesso senza che si proceda ad alcuna ‘intestazione’ ad un soggetto diverso dal disponente[6].
La questione sulla c.d. ‘soggettività’ del trust fund, si diceva, non sembra aver creato contrasti significativi in dottrina né in giurisprudenza che negano al trust la qualità di soggetto di diritto al quale possono essere imputate titolarità di situazioni giuridiche soggettive[7]. La giurisprudenza ha chiarito, anche di recente, che si tratta, non già di un soggetto giuridico, ma di una «insieme di beni e rapporti con effetto di segregazione patrimoniale»[8]. L’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi – ma non già quale legale rappresentante – è il trustee, al quale vengono peraltro formalmente ‘intestate’ le situazioni giuridiche trasferite con l’atto di separazione patrimoniale.
Funzione del regolamento del trust non è la costituzione di un nuovo soggetto di diritto, ma la destinazione di un patrimonio a uno scopo identificato dal disponente.
Ciò che invece accomuna il profilo dispositivo sul patrimonio del disponente nelle due vicende è che quanto oggetto dell’atto di disposizione cessa di essere nel potere dominicale del disponente: nella fondazione si assiste a un effetto traslativo in favore dell’ente, nel trust, invece, ad una separazione patrimoniale con ‘gestione’ affidata ad un trustee, che può essere lo stesso disponente (c.d. trust autodichiarato).
I beni separati nel trust fund non fanno più parte del patrimonio del disponente e non costituiscono più la sua garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.
Accedendo a questa chiave ricostruttiva, appare corretto ritenere che il trust sia un centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, la gestione delle quali spetta al trustee, il quale le amministra non già nel proprio interesse bensì secondo le regole del trust stesso portate nell’atto istitutivo, nella governing law e nell’ordinamento nazionale.
Si tratta di un complesso di beni che, come suggerito da attenta dottrina, trova «il suo elemento unificante non nel momento terminale (comune) dell’imputazione al soggetto secondo il criterio proprietario, bensì nel momento antecedente dell’emersione dell’interesse, che in quanto tale, prescinde dalla necessaria imputazione ad un soggetto»[9].
L’interesse del trust costituisce il fondamento giustificativo della situazione giuridica soggettiva.
Il trust è un patrimonio ‘separato’ senza soggetto vincolato alla realizzazione di un effetto di destinazione[10].
La valutazione di un patrimonio deve prescindere sia dal collegamento con un soggetto, sia dal regime della responsabilità patrimoniale. È la funzionalizzazione di un patrimonio alla realizzazione di un interesse che deve guidare l’interprete[11].
Si è correttamente ritenuto che il conferimento di immobili in trust rappresenti un’attribuzione patrimoniale «meramente strumentale», scontando le imposte di successione, di registro e ipotecarie in misura fissa; ciò «in quanto non determina effetti traslativi, poiché non comporta l’attribuzione definitiva dei beni al trustee, il quale è tenuto solo ad amministrarli ed a custodirli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del loro trasferimento ai beneficiari del trust»[12].
Anche l’amministrazione finanziaria – che per molto tempo ha ritenuto invece che fosse da tassare in misura proporzionale l’atto di conferimento in trust, detassando invece il trasferimento finale[13] – ha di recente ritenuto di seguire l’orientamento della citata giurisprudenza[14]. Sì che, sia l’atto istitutivo del trust che l’atto di dotazione (rectius atto di separazione patrimoniale) dei beni in trust, sono assoggettati all’imposta di registro in misura fissa. Gli atti con i quali vengono attribuiti i beni vincolati in trust ai beneficiari realizzano, invece, il presupposto impositivo dell’imposta sulle successioni e donazioni. L’amministrazione finanziaria, facendo propria – a denti stretti – l’interpretazione giurisprudenziale, ritiene che la mera costituzione del vincolo di destinazione non integri un autonomo presupposto ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, «ma è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale»[15].
2.2. Il trust con funzione di garanzia. Vantaggi rispetto alle garanzie tradizionali. Il problema della segnalazione nella centrale rischi della Banca d’Italia: carenza dei presupposti.
La segregazione di un patrimonio in un trust fund costituisce senza dubbio uno strumento agile per la realizzazione di uno scopo di garanzia patrimoniale, per le ipotesi nelle quali gli strumenti tradizionali appaiano poco idonei. Si immagini l’ipotesi nella quale si intenda apprestare la garanzia per un tempo molto breve che, da un lato rende il ricorso all’ipoteca troppo complesso e costoso, dall’altro può rendere il pegno non idoneo a realizzare gli interessi delle parti.
In questi casi, il trustee può essere anche lo stesso creditore.
I limiti che l’ordinamento impone al creditore nella gestione e amministrazione dei beni concessi in pegno rendono maggiormente utile il ricorso al trust mediante separazione dei medesimi beni. Il trustee, infatti, può investire e disinvestire il trust fund in modo decisamente più efficiente di quanto potrebbe fare il creditore pignoratizio, anche laddove di tratti di pegno rotativo. L’effetto surrogativo reale sul ricavato dalla vendita dei beni separati in trust segna altresì la maggiore utilità del ricorso a questo strumento in presenza di beni per loro natura non suscettibili di pegno[16].
Per venire alla risposta al quesito di cui al presente parere, può già anticiparsi che un significativo vantaggio della separazione di un patrimonio in trust con funzione di garanzia di un debito altrui può rinvenirsi nella carenza dei presupposti per la segnalazione del disponente nella centrale dei rischi istituita presso la Banca d’Italia; segnalazione invece obbligatoria in caso di prestazione di garanzia ipotecaria.
La ragione della conformità alla disciplina normativa e regolamentare della mancata segnalazione si rinviene proprio nell’effetto separativo/segregativo del trust rispetto a quanto invece accade per le garanzie tradizionali, prima fra tutte l’ipoteca.
Nella prospettiva del «contenimento del rischio», per come indicato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385), la circolare 11 febbraio 1991, n. 139 della Banca d’Italia indica, al par. 2 della Sez. I del cap. I, le finalità della Centrale dei rischi come segue: «contribuire a: migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti, offrendo uno strumento di ausilio per il contenimento del rischio di credito nelle sue diverse configurazioni; accrescere la stabilità del sistema finanziario; favorire l’accesso al credito; contenere il sovra-indebitamento». La Centrale dei rischi, prosegue la circolare, fornisce agli intermediari partecipanti uno strumento informativo in grado di accrescere la capacità di valutazione del merito di credito della clientela e di gestione del rischio di credito. Gli intermediari possono utilizzare le informazioni disponibili in Centrale dei rischi sia nella fase di monitoraggio dell’esposizione nei confronti della propria clientela, sia nella fase di erogazione di finanziamenti o concessione di garanzie.
Con riferimento alla «Natura dei rischi censiti», il par. 1 della I sez. del Cap. II prevede la raccolta delle c.dd. “posizioni di rischio”, intese quali «informazioni nominative concernenti i rapporti di credito e di garanzia che il sistema finanziario intrattiene con la propria clientela», con specificazione che sono oggetto di segnalazione mensile «le garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari in favore di soggetti dagli stessi affidati».
Nella II sez. del medesimo capitolo, la circolare, al par. 3, prevede che siano comprese nella categoria di censimento garanzie ricevute «le garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari allo scopo di rafforzare l’aspettativa di adempimento delle obbligazioni assunte dalla clientela nei loro confronti». In particolare, devono essere segnalate le «garanzie reali esterne, cioè le garanzie reali rilasciate da soggetti diversi dall’affidato (ad es. terzo datore di ipoteca); le garanzie personali di “prima istanza”; le garanzie personali di “seconda istanza”, la cui efficacia è condizionata all’accertamento dell’inadempimento del debitore principale e degli eventuali garanti di prima istanza»[17].
La segnalazione, viene infine precisato, «deve essere effettuata a nome del soggetto che ha prestato la garanzia».
Orbene, la circostanza che la separazione in trust non sia indicata espressamente dalla circolare non è di per sé idonea a suffragare la tesi della carenza dei presupposti per la segnalazione della stessa.
Il rigore che deve muovere il metodo di indagine dell’interprete, come più volte sottolineato da attenta dottrina, deve portare questi a non limitarsi al significato letterale delle parole e tantomeno a ricorrere a inconferenti brocardi latini quale, ad esempio, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit[18]. L’interpretazione deve essere sistematica e deve tenere nel dovuto conto i valori che la normativa ha inteso tutelare con la segnalazione delle “posizioni di rischio”.
Per le modalità con le quali si realizza un’operazione di trust, mercè la separazione patrimoniale, può sostenersi che quest’ultima e il collegato vincolo di destinazione hanno la funzione di garantire l’adempimento di un’obbligazione, senza tuttavia che ci sia un garante la cui posizione possa essere considerata di rischio per il mercato.
Sul piano della valutazione del rischio, la natura di patrimonio di destinazione senza soggetto attribuita ad un trust rileva al pari di un ordinario atto di dismissione patrimoniale. Il patrimonio del settlor, una volta realizzata la separazione patrimoniale, non sarà più composto dai beni separati in trust, al pari di quanto accadrebbe se quel soggetto avesse venduto o donato quel medesimo patrimonio. La dismissione di un patrimonio non è un evento che la normativa di settore considera una “posizione di rischio” da segnalare. Si tratta, all’evidenza, di un atto dispositivo che riduce la garanzia patrimoniale, suscettibile, ove ne ricorrano i presupposti ad essere vagliato da un’actio pauliana.
Il settlor non presta una garanzia in senso stretto sul suo patrimonio, così come accade nel caso di iscrizione di ipoteca, ma separa un patrimonio dal proprio, al quale viene impresso un vincolo di garanzia. Il patrimonio separato in trust non è più patrimonio del settlor: non ricorrono pertanto i presupposti, sia strutturali che funzionali, per la segnalazione dell’operazione in Centrale dei rischi a carico del settlor.
La prassi conosce numerose ipotesi di conferimento in trust di immobili del debitore, con incarico al trustee di provvedere alla vendita degli stessi nell’ipotesi di inadempimento nei confronti di uno o più creditori, con destinazione del ricavato a questi, detratte le spese e versamento del residuo al debitore[19].
Si tratta, in ogni caso, di operazioni la cui liceità e meritevolezza deve essere valutata in concreto, così come non deve escludersi l’esigenza di tutela degli eventuali altri creditori, che possono ravvisare nella costituzione di un siffatto trust un atto di disposizione revocabile ex art. 2901 c.c.
Deve, in ogni caso, prestarsi molta attenzione, in sede istitutiva-dispositiva a non incorrere in pattuizioni che possano violare il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.[20]
3. Conclusioni
Nell’ipotesi di costituzione di un trust fund con funzione di garanzia di un debito altrui risultano carenti i presupposti per la segnalazione del disponente nella centrale dei rischi istituita presso la Banca d’Italia.
[1] Sul punto, cfr., ex multis, A. Busani, Il trust. Istituzione, gestione, cessazione, Milano, 2020, p. 173 ss. Sia consentito il rinvio a T.V. Russo, Il trust, in Tratt. dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2023, passim, spec. p. 85 ss. e p. 165 ss.
[2] La dottrina più attenta preferisce parlare di «negozio base» e «negozio dispositivo», così, M. Lupoi, Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, Milano, 2010, p. 35, con la dovuta precisazione che il negozio dispositivo necessariamente richiama il negozio base.
[3] Cfr. R. Di Raimo, Persona giuridica, destinazione e segregazione, in Corti Pugliesi, 2008, p. 23, il quale osserva che «il trust come pure il negozio fiduciario risolvono o intendono risolvere, nella loro essenza, un problema […] di opponibilità di rapporti relativi». V., altresì, A. Gambaro, Trust, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., XIX, Torino, 1999, p. 454 il quale rileva che «nella law of Trusts la nozione di property subisce una certa metamorfosi, non solo perché essa sul lato del beneficiario si presenta del tutto spoglia dei connotati della signoria, ma anche perché essa assume ad oggetto più la ricchezza che non le cose»; rileva altresì che i giudici dell’Equity «non pensavano in termini di rapporto obbligatorio perché la relativa categoria era pressoché vuota nel diritto inglese dell’epoca […]; essi piuttosto ragionavano in termini di law of property», ma la proprietà in Equity del beneficiario rilevava essenzialmente «sotto il profilo rimediale e non già sotto quello volontaristico», attraverso appunto l’esercizio del tracing».
[4] R. Di Raimo, Persona giuridica, cit., p. 28, il quale ritiene che la riconduzione degli effetti alle tradizionali categorie della realità e obbligatorietà costituisca retaggio di schemi propri del «diritto privato borghese, imperniati essenzialmente sullo scambio».
[5] R. Di Raimo, Persona giuridica, loc. cit.
[6] Cfr. T.V. Russo, Il trust, cit., p. 62 ss.
[7] Isolata rimane la posizione di A. De Donato, V. De Donato e M. D’Errico, Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e pratica, Roma, 1999, p. 129 s.; con riferimento al trust anglosassone, v. M. Buonincontro, Trust e civil law, in Riv. dir. civ., 1959, p. 687. La dottrina straniera più attenta non ha mai avuto dubbi nel negare soggettività al trust: cfr., ex multis, W.F. Fratcher, Trusts, in International Encyclopedia of Comparative Law, I, 1973, p. 77.
[8] V. le recenti riflessioni portate da Cass., 20 gennaio 2022, n. 1826, in Dejure, che nega soggettività giuridica autonoma al trust, «pur nella consapevolezza: a) della difficoltà dell’ordinamento interno ad ammettere la dissociazione tra proprietà formale e sostanziale dei patrimoni autonomi, difficoltà derivante dal tentativo di inquadrare la proprietà fiduciaria nella tradizionale concezione “monolitica” della proprietà; b) dell’incertezza dell’impianto normativo posto dalla Convenzione dell’Aia 1 luglio 1985, art. 2, non chiarisce univocamente chi sia il “proprietario” dei beni costituiti in Trust, limitandosi unicamente a prevedere che il governo degli stessi sia affidato al Trustee». V. già Cass. 22 dicembre 2011, n. 28363, in Contratti, 2012, p. 693, con nota di G.M. Tancredi, In tema di soggettività giuridica del trust; a commento della stessa sentenza, v. anche A. Tonelli, Sulla soggettività giuridica del trust e responsabilità del trustee, in Trusts, 2013, p. 260 ss.; nel caso di specie, parte ricorrente proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento della violazione del codice della strada, deducendo che l’autovettura di cui era alla guida faceva parte del patrimonio di un trust di diritto australiano del quale essa era trustee, sì che non poteva essere ritenuta responsabile in proprio per il pagamento della sanzione amministrativa. Il Giudice di Pace respingeva l’opposizione argomentando che l’opponente, poiché era trustee e quindi proprietaria dell’autovettura, doveva rispondere della violazione accertata. La Corte rigettava il ricorso con il quale veniva impugnata la sentenza del Giudice di Pace; v. pure Cass., 27 gennaio 2017, n. 2043, in Corr. giur., 2017, con nota di M. Lupoi, La metabolizzazione del “trust”; Cass., 10 febbraio 2020, n. 3128, in Società, 2020, p. 1089.
[9] E. Migliaccio, La responsabilità patrimoniale. Profili di sistema, Napoli, 2012, p. 53.
[10] Cfr. T.V. Russo, Il trust, cit., p. 30 ss.
[11] Cfr., sul punto, G. Ferri jr., Patrimonio e gestione. Spunti per una ricostruzione sistematica dei fondi comuni di investimento, in Riv. dir. comm., 1992, I, p. 28 ss., il quale condivisibilmente ritiene che «l’individuabilità di un complesso di beni definibile come patrimonio unitario, dipende […] dalla rilevanza giuridica (dell’autonomia e dell’unitarietà) della “funzione”, cioè dell’interesse cui tali beni sono nel loro complesso finalizzati». “i fondi comuni di investimento (nella specie un fondo immobiliare chiuso) costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio che li ha istituiti, con la conseguenza che, in caso di acquisto immobiliare operato nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato legalmente alla suindicata società di gestione». Cfr., sul punto, le ulteriori riflessioni di R. Di Raimo, Le associazioni non riconosciute. Funzione, disciplina, attività, Napoli, 1996, p. 197 ss., spec. nota 370. Sulla natura di patrimoni autonomi non dotati di soggettività giuridica dei fondi comuni di investimento, v., ex multis, R. Costi, Profili organizzativi dei fondi, in I fondi comuni di investimento, a cura di P.G. Jaeger e P. Casella, Milano, 1984, p. 119 s.; F. Guerrera, Contratto d’investimento e rapporto di gestione (Riflessioni sulla proprietà delegata), in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 741, il quale sottolinea che «il fondo non costituisce oggetto unitario di un diritto di proprietà, né da parte della società di gestione, né da parte della collettività degli investitori, né da parte di esso stesso fondo, dovendosi nettamente ripudiare qualsiasi ipotesi ricostruttiva che arieggi lo schema del comitato, della fondazione o del “patrimonio titolare di se stesso”»; v., altresì, L Ardizzone, L’esercizio dell’attività di impresa nel private equity, Milano, 2018, p. 52, il quale, con riferimento ai fondi comuni sottolinea che lo sforzo di ricondurre a schemi contrattuali conosciuti la proprietà dei beni facenti parte del fondo in capo al gestore conduca inevitabilmente ad esisti insoddisfacenti. Occorre, prosegue l’A. «prendere atto del fatto che non vi sia necessità di individuare un soggetto titolare ai fini di ciò che più interessa in questa sede, ossia della imputazione degli effetti dell’attività di investimento realizzata tramite il fondo in capo al fondo stesso»; v., pure, D. Scano, Fondi comuni immobiliari e imputazione degli effetti dell’attività di investimento (nota a Cass. 15 luglio 2010, n. 16605), in Giur. comm., 2011, II, p. 1134 ss., il quale ricostruisce il fondo comune come «un ammasso di risorse non dotato di intelletto, volontà e espressione». Nella appena citata pronuncia la Suprema Corte ha ritenuto che «i fondi comuni di investimento (nella specie un fondo immobiliare chiuso) costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio che li ha istituiti, con la conseguenza che, in caso di acquisto immobiliare operato nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestate legalmente alla suindicata società di gestione».
[12] Cfr., da ultimo, Cass., 9 settembre 2022, n. 26606, in www.il-trust-in-italia.it, in tal senso, già Cass., Cass., (ord.) 14 marzo 2022, n. 8149, in DeJure; Cass., 12 settembre 2019, n. 22754, in Corr. giur., con nota di R. Baboro, Il trust e la Corte di cassazione; quali sicurezze per la tassazione indiretta? Sui profili fiscali, v. infra, Cap. VI.
[13] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008, in Corr. trih., 2008, p. 645.
[14] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022, spec. p. 30 ss. Per un primo commento, v. S. Loconte e S. Mattia, La differenza tra trust commerciali e non commerciali, in Fisco, 2022, p. 4442 ss.
[15] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022, cit., p. 32.
[16] Lo sottolineano G. Tucci e M. Tatarano Trust e affidamento fiduciario a scopo di garanzia, in Contratti bancari, a cura di E. Capobianco, Milano, 2021, p. 2340. I quali, altresì, rilevano che nei trust con funzione di garanzia, «la distribuzione finale non presenta le difficoltà proprie della realizzazione delle garanzie in senso proprio, trattandosi di attribuire beni agli aventi diritto in base ad una disciplina contrattuale ben definita senza il ricorso al processo esecutivo».
[17] La circolare precisa altresì che «confluiscono nella categoria di censimento: i contratti autonomi di garanzia; gli impegni assunti da consorzi o cooperative di garanzia nei confronti degli intermediari convenzionati a fronte dei finanziamenti concessi da questi ultimi alle imprese consorziate; le garanzie che assistono finanziamenti concessi da una filiale estera dell’intermediario a soggetti non residenti; – le posizioni di pertinenza degli accollati, nei casi in cui il contratto di accollo di mutuo non preveda la loro contestuale liberazione; i patti di riacquisto stipulati nell’ambito di operazioni di locazione finanziaria qualora abbiano contenuto fideiussorio, cioè prevedano l’assunzione, da parte del fornitore del bene locato, del rischio di inadempimento dell’utilizzatore, indipendentemente dalla riconsegna e dalla stessa esistenza del bene locato; le garanzie ricevute dai “Fondi di garanzia” (ad es. “Fondo di garanzia per le PMI” istituito con legge 23.12.1996, n. 662 e “Fondo di credito per i nuovi nati”, istituito con d.l. 29.11.2008, n. 185), quando la garanzia è rilasciata a seguito di una valutazione del merito creditizio del cliente; le controgaranzie a prima richiesta; le garanzie reali rilasciate dai soci in favore delle società (di persone o di capitali) e da uno o più cointestatari a favore della cointestazione; le garanzie personali rilasciate dai soci in favore della società (di persone o di capitali); impegni rilasciati da terzi anche se costituiti su quote o azioni della società garantita. Non formano invece oggetto di rilevazione: le garanzie rilasciate ex lege, ossia quelle pubbliche concesse in base a leggi, decreti e provvedimenti normativi rilasciate automaticamente, al ricorrere di presupposti predeterminati (come, ad esempio, le garanzie che assistono i finanziamenti a sostegno dell’erogazione del TFR in busta paga previste dalla l. 190/2014 e le garanzie rilasciate nell’ambito delle misure connesse all’emergenza Covid-19 come quelle concesse dal Fondo di garanzia per le PMI (istituito con legge 23.12.1996, n. 662) ai sensi del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 e successive modifiche e dalla Sezione Speciale del medesimo Fondo ai sensi dell’art. 56 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 e successive modifiche); le garanzie che assistono operazioni diverse da quelle comprese nell’area di censimento della Centrale dei rischi; i contratti di assicurazione del credito».
[18] Cfr., per tutti, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, IV ed., II, Fonti e interpretazione, Napoli, 2020, p. 277 ss.
[19] In dottrina, questa ipotesi è stata ricondotta ad un’ipotesi di bare trust, «in quanto l’attività del trustee è meramente esecutiva, tanto da far sfumare il concetto di trust verso quello di semplice mandato»; in tal senso, v. V. de Donato, Il trust a scopo di garanzia, in Materiali sul trust, Quaderno n. 12, Federnotizie, 2000/2001, p. 29, la quale suggerisce un diverso adattamento della fattispecie: «il debitore costituisce uno o più beni in trust configurando come scopo di quest’ultimo il rafforzamento della posizione di uno o più creditori designati, i cui diritti in caso di inadempimento, saranno soddisfatti dal trustee mediante la sua attività di amministrazione».
[20] Cfr., ex multis, l’indagine di N. Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, passim, spec. p. 238 ss. sul ricorso al trust in funzione di garanzia.