Il presente contributo analizza la recente Risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 258/2024 in materia di qualificazione fiscale di trust interposti.
1. I fatti.
La risposta a interpello n. 258/2024 riguarda il trattamento tributario, ai fini delle imposte dirette, di tre trust istituiti negli Stati Uniti d’America da un cittadino americano (successivamente defunto), la cui beneficiaria è una cittadina americana fiscalmente residente in Italia.
I trust, individuati come Trust 1, Trust 2 e Trust 3, presentano le seguenti caratteristiche.
A) Trust 1
Disponente: il padre della beneficiaria (deceduto).
Trustee: una banca texana.
Beneficiaria: la cittadina americana fiscalmente residente in Italia.
Durata: 21 anni dopo la morte dell’ultimo disponente vivente, della di lui moglie, [dei] di lui figli, dei coniugi dei figli, e dei nipoti che siano ancora viventi al tempo della morte del Disponente.
Clausole rilevanti ai fini della risposta:
- la beneficiaria ha il potere di revocare il trustee e di nominarne uno nuovo; il trustee è gravato dall’obbligo di rendiconto periodico verso la beneficiaria.
B) Trust 2
Disponente: il padre della beneficiaria (deceduto).
Trustee: una banca texana.
Beneficiaria: la cittadina americana fiscalmente residente in Italia.
Durata: il compimento di 55 anni da parte della beneficiaria.
Clausole rilevanti ai fini della risposta:
a) il trustee è obbligato a distribuire tutto il reddito annuale prodotto dal trust alla beneficiaria.
b) sono previsti obblighi distributivi automatici del “capitale” del trust in favore della beneficiaria, precisamente:
- al compimento di 45 anni: 1/6 del capitale;
- al compimento di 50 anni: 1/5 del capitale residuo;
- al compimento di 55 anni: il capitale residuo
c) eventuali somme aggiuntive (fino a 5.000 dollari) possono essere distribuite a discrezione del trustee su richiesta della beneficiaria.
C) Trust 3
Disponente: il padre della beneficiaria (deceduto).
Trustee: una banca texana.
Beneficiaria: la cittadina americana fiscalmente residente in Italia.
Durata: 3 anni dopo la morte del Disponente.[1]
Clausole rilevanti ai fini della risposta:
a) il trustee è obbligato a consultare e ottenere il consenso scritto dei fratelli della beneficiaria prima di compiere atti rilevanti quali la locazione, il finanziamento o la vendita (Maggiori Decisioni) delle proprietà descritte nell’allegato A, o qualsiasi sostituzione di proprietà per ciascuno di loro. Il Trustee e i fratelli della beneficiaria dovranno essere tutti d’accordo e rilasciare il consenso scritto per compiere le Maggiori Decisioni.[2]
2. La richiesta di parere e la posizione dell’istante.
L’istante ha chiesto all’Agenzia di esprimere un parere in merito alla qualificazione fiscale dei tre trust e al conseguente trattamento, ai fini delle imposte dirette, delle distribuzioni di reddito fatte dal trustee in favore della beneficiaria nel periodo di imposta 2024 e di quelle che saranno fatte nei periodi di imposta successivi.
A parere dell’istante, i tre trust sono di natura non commerciale, fiscalmente residenti negli Stati Uniti e, ai fini delle imposte sui redditi, ‘‘opachi’’. Ciò in ragione dei poteri discrezionali del trustee in ordine alla distribuzione del reddito e alla conseguente inesistenza di un diritto della beneficiaria di pretendere che il trustee le distribuisca il reddito, ciò che la renderebbe beneficiaria “individuata” con conseguente qualificazione fiscale dei trust come “trasparenti”.
Tenuto conto che negli Stati Uniti d’America il livello nominale di tassazione dei redditi prodotti dai tre trust non è inferiore al 50 di quello applicabile in Italia, secondo l’istante non si applica la disposizione di cui alla lettera g-sexies) del comma 1 dell’articolo 44 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (Tuir).[3]
3. La risposta dell’Agenzia.
L’Agenzia, dopo alcune considerazioni preliminari relative all’ingresso del trust nell’ordinamento italiano richiama la Circolare n. 43 del 10 ottobre 2009 e la Circolare n. 61 del 27 dicembre 2010.
In particolare, richiama quella parte della Circolare 43/2010 (richiamo che, in definitiva, costituisce la ratio decidendi della risposta),[4] in cui si elencano diverse tipologie di trust che – secondo l’Agenzia – devono considerarsi (fiscalmente) inesistenti, tra cui quelle «dei trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso» e «ogni altra ipotesi in cui il potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari».[5]
L’Agenzia prosegue ricordando la distinzione tra beneficiari (di reddito) “individuati” (termine contenuto nell’art. 73, comma 2, del Tuir) e beneficiari (di reddito) “non individuati“.
Per beneficiario individuato, ci ricorda l’Agenzia, deve intendersi il soggetto che esprima, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale, vale a dire che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee il pagamento di quella parte di reddito che gli viene imputata. In tale ipotesi, l’imputazione dei redditi derivanti dai beni in trust avverrà direttamente in capo ai beneficiari, ovvero, in difetto, in parti uguali.
Poiché i tre trust hanno la residenza fiscale negli Stati Uniti (sono quindi “non residenti”), continua l’Agenzia, rilevano in Italia i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato, salvo il caso del beneficiario residente individuato e il caso del beneficiario residente di trust opaco stabilito in Paesi a fiscalità privilegiata (si richiama a tal fine la Circolare n. 34 del 20 ottobre 2022).
Tanto premesso l’Agenzia passa a analizzare i trust e osserva quanto segue.
A) Trust 1.
Il Trust 1 è considerato fiscalmente inesistente in quanto contiene le seguenti clausole:[6]
(a) Il Trustee «dovrà essere tenuto indenne per qualsiasi errore di giudizio o valutazione discrezionale nell’esecuzione di ogni trust, nell’investimento e gestione delle Proprietà del Trust, nella spesa di denaro, nella liquidazione di ogni Trust se nel rispetto di specifiche istruzioni scritte dal Disponente».
(b) «Il Beneficiario può in ogni tempo rimuovere il Trustee da questo Trust e designare un’altra persona o entità come successore o successori con atto scritto e firmato dal Beneficiario e consegnato al Trustee del Trust (…)».
L’Agenzia ritiene che queste clausole siano tali da rendere il trustee non totalmente autonomo rispetto alle volontà della beneficiaria. I redditi del trust, pertanto, devono essere imputati alla beneficiaria come se i beni fossero direttamente posseduti da quest’ultima, in applicazione dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
B) Trust 2.
Il trust contiene le seguenti clausole:
(a) «Il (…) Trustee dovrà distribuire tutto il reddito netto da questo Trust al Beneficiario, ogni anno. In aggiunta, il (…) Trustee può, a sua sola discrezione, distribuire al Beneficiario (…) [ndr. la parte di capitale] ritenuta necessaria o richiesta per la salute, l’educazione, il sostegno ed il mantenimento del Beneficiario. In aggiunta, il Beneficiario dovrà avere il diritto di domandare, e su domanda dovrà ricevere, fino a $ 5.000,00, in proprietà o denaro, dal Trust, (…). La decisione circa la distribuzione in denaro o in proprietà dovrà essere presa a sola discrezione del Trustee».
(b) «Con il raggiungimento da parte del Beneficiario dell’età di 45 anni, un sesto delle allora presenti Proprietà del Trust Le dovranno essere distribuite, libere da ogni (vincolo di) Trust. Con il raggiungimento da parte del Beneficiario dell’età di 50 anni, un quinto delle allora presenti proprietà del Trust, le dovranno essere distribuite, libere da ogni Trust. Con il raggiungimento dell’età di 55 anni, tutte le allora presenti proprietà del Trust le dovranno essere distribuite, libere da ogni trust».
L’Agenzia ritiene che il trust sia trasparente in quanto sussiste un diritto della beneficiaria a ricevere distribuzioni annuali da parte del trustee tali da renderla beneficiario individuato ai sensi dell’art. 73, comma 2, del Tuir.
C) Trust 3.
Il trust, dopo avere enumerato i poteri discrezionali del trustee nella gestione del fondo in trust, contiene la seguente clausola: «Nonostante quanto sopra, il Disponente ordina al Trustee di consultarsi con, ed assicurarsi il consenso (…) [ndr. dei fratelli della Beneficiaria] (…) in qualsiasi decisione riguardante la locazione, il finanziamento, o la vendita (le ‘‘Maggiori Decisioni’’) delle proprietà descritte nell’allegato A, o qualsiasi sostituzione di proprietà per ciascuno di loro. Il Trustee, (…) [ndr. e i fratelli della Beneficiaria], dovranno essere tutti d’accordo e rilasciare il loro consenso scritto per questo Trust per compiere le Maggiori Decisioni».
L’Agenzia ritiene che il trust sia fiscalmente inesistente in quanto la clausola sopra riportata induce a ritenere che la gestione del trustee non possa avvenire in totale autonomia rispetto alle volontà della beneficiaria stessa, che conserva un potere di ingerenza per il tramite dei fratelli.
Di conseguenza la beneficiaria è interponente ai fini fiscali in Italia e alla stessa sarà riferibile il reddito del Trust 3, ai sensi dell’articolo 37, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
4. Osservazioni critiche.
Le osservazioni che seguono risentono del fatto che le informazioni disponibili sono solo quelle ricavabili dal testo dell’istanza e della conseguente risposta. Commentare in modo compiuto la risposta a interpello richiederebbe un’attenta lettura del testo integrale dei trust in lingua originale, perché solo in questo modo si può avere una visione completa dell’operazione che il disponente intendeva realizzare attraverso l’istituzione dei tre trust, per poi trarre conclusioni in ordine al loro trattamento tributario.[7]
Tra l’altro i Trust 1 (e forse anche il Trust 3) era un grantor trust o forse un living trust (anch’esso, per definizione, grantor trust)[8] oggetto di specifiche disposizioni dell’Internal Revenue Code (IRC) statunitense del 1954, quindi la loro struttura andrebbe analizzata anche alla luce di tali disposizioni fiscali, perché non è da escludere che talune clausole (ivi inclusa quella che attribuisce il potere di revoca del trustee alla beneficiaria)[9] fossero state inserite al solo fine di evitare le conseguenze fiscali previste dall’IRC.[10]
La risposta fornita dall’Agenzia in merito ai Trust 1 e 3 presenta criticità metodologiche e giuridiche che meritano di essere evidenziate.
In primo luogo (non ci stancheremo mai di ripeterlo), le circolari non sono fonti del diritto, ma rappresentano esclusivamente l’interpretazione fornita dall’Agenzia, che non vincola né i contribuenti né i giudici tributari.
Argomentare sulla base delle proprie Circolari, come se fossero “fonti” del diritto è metodologicamente scorretto e ogni ulteriore osservazione sul punto è superflua.
Fatta questa doverosa premessa, passiamo ad analizzare in dettaglio la risposta fornita dall’Agenzia in merito ai Trust 1 e 3 sulla base delle clausole da essa ritenute rilevanti a fine di affermare che i trust sono interposti.[11]
A) Trust 1.
Il potere di revoca del trustee da parte della beneficiaria.
La risposta dell’Agenzia attribuisce grande rilevanza al potere della beneficiaria di revocare e sostituire il trustee per sostenere la tesi della “inesistenza fiscale” del trust.
La tesi è infondata.
In linea generale, nei trust internazionali (ma anche in quelli interni), il potere di revoca del trustee è una misura di protezione finalizzata a garantire una corretta gestione del fondo in trust da parte del trustee e non compromette in alcun modo la funzionalità del trust. Né l’esistenza di tale potere implica un controllo sostanziale del fondo da parte del beneficiario o consente al beneficiario di disporre del fondo in trust. Un conto è il controllo del trust altro il controllo del trustee.[12]
Il potere di revoca non è né più né meno che se stesso: il beneficiario esercita il potere di revoca o non lo esercita, altro non può fare.
È utile, a tal fine, riportare un paragrafo della motivazione di una sentenza inglese resa in un caso in cui si discuteva dell’esistenza di un potere dei beneficiari di influenzare o, addirittura collaborare con il trustee:[13]
«[56] Aggiungo un altro punto. Le testimonianze suggeriscono che i beneficiari in questo caso abbiano cercato, attraverso i loro legali, di ottenere quella che si potrebbe definire una “parità” con i trustees. Ad esempio, in una delle lettere dei loro legali si afferma che essi desiderano “lavorare in modo collaborativo con i trustees”. Se così fosse, a mio avviso, ci sarebbe il rischio di fraintendere la natura del rapporto. Il disponente di un trust affida la gestione dello stesso e dei suoi beni ai trustee e non ai beneficiari. Si tratta di una scelta deliberata. Pur non avendo un ruolo nella gestione del trust, i beneficiari hanno il diritto, in linea di principio, di sapere cosa hanno fatto i trustee. Ma non hanno il diritto di prendere le decisioni dei trustee al posto loro, né (fatti salvi i termini del trust o lo statuto) di essere consultati sulle decisioni proposte, né di essere presenti quando tali questioni vengono discusse e le decisioni prese. Le prove in questo caso suggeriscono che i beneficiari potrebbero essere stati incoraggiati a pensare di avere più diritti di quelli che in realtà hanno. La mia decisione in questo caso si basa semplicemente sulla valutazione che non sono state fornite loro informazioni sufficienti sulla gestione dei beni in trust e così via. I consulenti dei beneficiari farebbero bene a tenerlo a mente per il futuro».
Applicando questo ragionamento al caso oggetto dell’interpello ne risulta che anche se il beneficiario ha il potere di revoca del trustee questo non implica che egli abbia più diritti di quelli che il potere stesso gli attribuisce. Pensare questo, come dice il giudice inglese, significa fraintendere l’istituto del trust e la relationship che da esso scaturisce.
Il fatto che il trustee possa essere “condizionato” nelle sue decisioni non è un’argomentazione giuridica ma di mero fatto.[14] Il possibile condizionamento del trustee è questione che ha rilievo meramente psicologico, non certo giuridico-normativo.[15] Nessuna norma prevede che il potere di revoca del trustee rende il trust interposto. L’argomento speso dall’Agenzia è, come al solito, autoreferenziale: che il potere di revoca del trustee (non del trust, si badi) renda il trust interposto lo affermano (immotivatamente) due circolari, ma le circolari, lo abbiamo già detto, non sono fonti del diritto. L’ipse dixit non ha cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano.
È utile anche fare riferimento a quanto prevede la legge regolatrice dei trust texani, la cui analisi è assente nella risposta a interpello (i trust sono regolati da una legge straniera e quindi è a questa che occorrerebbe prima di tutto fare riferimento).
Il Texas Trust Code (Chapters 111-117 del Texas Property Code) è il corpo normativo che disciplina i trust nel Texas. Il potere di revoca del trustee, così come il ruolo e le responsabilità di quest’ultimo, sono definiti con chiarezza all’interno di questo codice.
Il Texas Trust Code prevede che il trust possa includere clausole che consentano a determinati soggetti, come il disponente, i beneficiari, o soggetti terzi, di revocare o sostituire il trustee.
La sezione 113.082 prevede che:
«(a) Un trustee può essere revocato in conformità ai termini dell’atto istitutivo del trust oppure, su istanza di una persona interessata e previa udienza, un tribunale può, a sua discrezione, revocare un trustee e negargli una parte o l’intero compenso se:
(1) il trustee ha sostanzialmente violato o tentato di violare le clausole del trust e la violazione o il tentativo di violazione comporta una perdita finanziaria rilevante per il trust;
(2) il trustee diventa incapace o insolvente;
(3) il trustee non consegna il rendiconto richiesto dalla legge o dai termini del trust; o
(4) il tribunale ritiene che vi siano altri motivi per la revoca.
(b) Il beneficiario, il co-trustee o il trustee subentrante possono trattare una violazione che comporta la revoca come una violazione del trust.
(c) Un trustee di un trust caritatevole non può essere revocato per il solo fatto che il trustee ha esercitato il potere di distribuire il capitale e il reddito ai sensi della Sezione 113.0211».
Da questa disposizione si ricava che il potere di revoca del trustee non è un potere arbitrario ma esercitabile solo in presenza di determinati presupposti.
Ciò evoca la distinzione, propria del diritto dei trust, tra potere fiduciario e potere personale (distinzione che l’Agenzia non prende in considerazione).
Il potere personale è un potere esercitato nel proprio interesse esclusivo, senza alcun obbligo di considerare i benefici che l’esercizio del potere reca ai beneficiari o la compatibilità tra esercizio del potere e finalità del trust.
È, in sostanza, un potere egoistico, che il titolare può esercitare o meno, senza dovere giustificare la propria decisione.
Di contro il potere fiduciario deve essere esercitato nell’interesse altrui (di regola i beneficiari del trust) e, in ogni caso, con correttezza, lealtà, diligenza, trasparenza e imparzialità.[16] Si tratta inoltre di un potere il cui esercizio è “controllabile” dal giudice.
La lettura della disposizione del Texas Trust Code consente di ritenere che il trustee non sia revocabile ad libitum e che la clausola contenuta nel Trust 1 non è tale da attribuire alla beneficiaria un potere personale ma fiduciario.[17]
Queste osservazioni non intendono negare che il potere di revoca del trustee possa, in certi casi, rendere il beneficiario titolare del controllo effettivo del trust. Ma si tratta di questione che deve essere oggetto di prova da parte dell’Agenzia. Non c’è alcun automatismo tra attribuzione al beneficiario del potere di revoca e controllo effettivo del trust da parte di costui, tanto più a fronte di una specifica disposizione normativa che preclude la revoca ad libitum del trustee.
Occorrono fatti, non interpretazioni, per dimostrare che il potere di revoca del trustee equivale ad avere il controllo effettivo del fondo in trust.
La posizione assunta dall’Agenzia si basa – in sostanza – su una logica fallace, ossia che la beneficiaria possa nominare un trustee dopo essersi accertata che questi seguirà le sue istruzioni e, qualora ciò non facesse, sulla possibilità di revocarlo nominandone un altro (e così via) finché le sue richieste non sono soddisfatte. Questa posizione ignora una regola base del diritto dei trust: il trustee non è un mandatario o un fiduciario “mero” ma è titolare di un ufficio che comporta obblighi fiduciari nei confronti di tutti i beneficiari.
L’obbligo di rendiconto a carico del trustee.
L’Agenzia, apparentemente, include anche l’esistenza dell’obbligo di rendiconto a carico del trustee tra gli elementi che consentono di ritenere il trust interposto.
Nella risposta, tuttavia, l’Agenzia fa perno solo sull’esistenza del potere di revoca, senza spendere alcuna ulteriore parola sull’obbligo di rendiconto.
Qualche osservazione sul punto è comunque doverosa.
Nel diritto dei trust il rendiconto è un obbligo fiduciario fondamentale che richiede al trustee di documentare e comunicare ai beneficiari (o ad altri soggetti individuati nell’atto istitutivo) l’amministrazione del fondo in trust e i risultati ottenuti.
Quest’obbligo garantisce trasparenza nella gestione del fondo e tutela dei beneficiari, che possono verificare il rispetto delle finalità del trust.
L’art. 8 della Convenzione dell’Aja, inoltre, dopo avere previsto che la legge specificata agli articoli 6 e 7 regola la validità del trust, la sua interpretazione, i suoi effetti e l’amministrazione del trust dispone che in particolare, la legge dovrà regolamentare «j) l’obbligo del trustee di render conto della sua gestione».
La sezione 113.151 del Texas Trust Code prevede l’obbligo di consegnare il rendiconto al beneficiario su sua richiesta.[18]
Sarebbe tesi apodittica e totalmente infondata quella di ritenere che poiché il trust prevede l’obbligo di rendiconto a carico del trustee ciò ne determina l’inesistenza fiscale.
Le istruzioni del disponente.
L’Agenzia, ancora, ritiene che nell’atto istitutivo del Trust 1 la discrezionalità del trustee sia limitata dall’obbligo di rispettare le specifiche istruzioni scritte del Disponente.
Questa affermazione è infondata in quanto si basa su una disattenta lettura della clausola in questione.
In primo luogo, si osserva che, a volere rimanere fedeli alle affermazioni della Circolare 43 del 2009, laddove il trustee sia eterodiretto dal disponente il trust sarebbe interposto rispetto al disponente e non al beneficiario.[19]
In secondo luogo, come risulta dalla risposta stessa, poiché il disponente è deceduto e quindi la clausola è divenuta irrilevante.
Infine, ciò che maggiormente rileva è che la clausola in questione non concerne i poteri del trustee ma la sua responsabilità, che sarà esclusa «se» egli avrà agito «nel rispetto di specifiche istruzioni scritte dal Disponente».[20]
Fermo restando, quindi, che la clausola è irrilevante ai fini della qualificazione del trust come interposto, tanto più che, come detto, il disponente è deceduto e quindi non può più fornire istruzioni al trustee, è scorretto affermare, come fa l’Agenzia, che il trustee “deve” sempre agire solo nel rispetto di specifiche istruzioni scritte dal disponente. I poteri del trustee, salvo questi “specifici” casi, erano e rimangono discrezionali.
B) Trust 3.
Nel caso del Trust 3 l’Agenzia enfatizza la portata della clausola che prevede l’obbligo del trustee di ottenere autorizzazioni preventive da terzi (in questo caso, i fratelli della beneficiaria) per alcune decisioni fondamentali (Maggiori Decisioni) e attribuisce ai medesimi fratelli il potere di nomina del trustee. Ritiene che la clausola, prevedendo limiti all’autonomia gestionale del trustee, renderebbe il trust fiscalmente inesistente.
Questa affermazione si fonda su una presunzione (assoluta): poiché i terzi sono i fratelli della beneficiaria quest’ultima li può influenzare nelle loro decisioni e quindi, in sostanza, è lei che controlla il trust.
Ciò che invece deve essere provato (e non presunto) è se la beneficiaria, direttamente, abbia un potere decisionale o di veto su talune decisioni del trustee.[21]
Considerazioni analoghe possono farsi in merito al potere di nomina del trustee.
In caso di dimissioni del trustee il potere di nomina spetta al disponente o, se deceduto, ai fratelli della beneficiaria. La beneficiaria, quindi, non ha poteri diretti di nomina.
Si giunge, così, al paradosso interpretativo dell’Agenzia, secondo cui questo sistema di autorizzazioni, unito alla mera possibilità che i fratelli della beneficiaria siano da questa in qualche modo influenzati, limita l’autonomia del trustee e ciò giustifica la qualificazione del trust come fiscalmente inesistente.
Questa interpretazione solleva due punti critici fondamentali.
Primo. Il potere di autorizzazione è attribuito ai fratelli della beneficiaria, non alla beneficiaria.
Secondo. Non c’è prova alcuna che la beneficiaria possa influenzare i fratelli o intervenire nelle decisioni. La beneficiaria è esclusivamente la destinataria passiva dei vantaggi derivanti dal trust.
È vero che, per taluni atti, l’autonomia del trustee è limitata, ma questo non significa che il potere decisionale sia stato trasferito alla beneficiaria.
L’autorizzazione preventiva dei fratelli non equivale a un trasferimento del controllo del fondo in trust alla beneficiaria.
L’eterodirezione del trustee, in questo caso, dipende dai fratelli e non dalla beneficiaria, che rimane estranea alla catena decisionale.
Per altro, si osserva, la presenza di un organo di supervisione o controllo esterno al trustee è spesso presente in molti trust, senza che per ciò solo se ne comprometta l’esistenza fiscale.
Anche sotto questo profilo la posizione dell’Agenzia pecca di scarso approfondimento, dovendosi distinguere, nel diritto dei trust, tra “supervisione” e “controllo sostanziale”.
Clausole che prevedano autorizzazioni o obblighi di consultazione sono spesso previste per garantire una gestione del trustee che sia prudente e conforme alle finalità del trust. In questa prospettiva la supervisione di terzi non implica affatto un loro controllo diretto sul fondo in trust o l’indebolimento della posizione del trustee.
Diverso il caso del controllo sostanziale. Affinché un trust sia considerato fiscalmente inesistente, deve emergere un controllo sostanziale del beneficiario sul fondo in trust o sulle decisioni del trustee. Il beneficiario deve avere un potere “diretto” di influenzare o condizionare il trustee, il che non si verifica certo nel Trust 3.
Non vi è alcuna prova che la beneficiaria possa determinare o influenzare le decisioni dei fratelli. La loro autonomia decisionale separa formalmente e sostanzialmente la beneficiaria dal processo decisionale del trustee.
La beneficiaria non ha potere di veto, revoca del trustee o influenza diretta sulle decisioni gestionali. Non può richiedere distribuzioni né bloccare o condizionare gli atti del trustee.
Al contrario, la supervisione del trustee da parte dei fratelli (voluta dal disponente) rientra nella logica di una prudente governance del trust, che viene rafforzata dall’obbligo del trustee di ottenere l’autorizzazione al compimento di taluni atti.
In conclusione, l’Agenzia non dimostra il controllo del trust da parte della beneficiaria ma lo presume sulla base di elementi che sono tutt’altro che gravi, precisi e concordanti. Tali non possono certo essere le relazioni familiari in quanto tali.[22]
Come nel caso del Trust 1 mancano i fatti da cui desumere che la beneficiaria ha il controllo effettivo del fondo in trust.
[1] L’atto prevede che cessato il trust il fondo sia trasferito non alla beneficiaria bensì al trustee del Trust 1.
[2] La frase «o qualsiasi sostituzione di proprietà per ciascuno di loro» è ripresa letteralmente dall’interpello, ma è di significato oscuro e certamente il frutto di un’errata traduzione.
[3] L’art. 44, comma 1, lettera g-sexies) del Tuir prevede che sono redditi di capitale i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti, nonché i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’articolo 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possano essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’articolo 73.
[4] L’uso dell’espressione ratio decidendi in relazione a una risposta a interpello mette un po’ a disagio, essendo utilizzata in relazione alle pronunce giudiziali. Ma tant’è. D’altro canto, l’Agenzia delle entrate si pregia persino di fissare “Principi di diritto”.
[5] L’uso del termine “tipologie” è scorretto. Si tratta semplicemente di “clausole” che possono essere inserite in un trust.
[6] Le clausole sono riportate in lingua italiana nella risposta a interpello, sarebbe stato però opportuno riportare anche il testo originale inglese per verificare la correttezza della traduzione.
[7] Essendo i trust residenti negli Stati Uniti essi saranno anche sottoposti al trattamento fiscale ivi previsto, la cui individuazione in questa sede non ha rilevanza. Tra Italia e Stati Uniti esiste una convenzione contro le doppie imposizioni, ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 20.
[8] Su cui cfr. M, Lupoi Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine in Italia, Wolters Kluwer Cedam, 2024, §§ 93 e 38. Si tratta, in sintesi, di trust in cui il disponente trattiene numerosi e rilevanti poteri, incluso quello di revoca del trust, e che sono stipulati al solo fine di evitare la procedura di probate, che negli Stati Uniti è molto time-consuming, oltre che costosa.
[9] Se il potere di revoca fosse stato attribuito al beneficiario iniziale, ossia al disponente ora deceduto lo scenario muterebbe completamente. I grantor trust, inoltre, sono definiti tali perché inizialmente a beneficio del solo disponente e liberamente modificabili e revocabili dal medesimo.
[10] I grantor trust sono disciplinati nei §§ 671-679 dell’IRC (Grantors and Others Treated as Substantial Owners). Altre disposizioni rilevanti sono quelle dei §§ 2031-2046 (Gross Estate). Si tratta di disposizioni che, a certe condizioni, considerano il fondo di un trust istituito con atto tra vivi, beninteso ai soli fini fiscali, come appartenente all’estate (asse ereditario) del disponente defunto. I trust potrebbero (meglio: dovrebbero) essere stati strutturati in modo tale da evitare tale conseguenza.
[11] In merito al Trust 2 non vi sono particolari osservazioni da svolgere, perché esso è chiaramente un trust trasparente. Tuttavia, è utile ricordare che le attribuzioni di capitale previste dalla clausola sopra riportata non saranno soggette a imposta di donazione per carenza del presupposto di territorialità di cui all’art. 2 del d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. Il disponente, al momento dell’istituzione del trust era residente all’estero e, pur se il beneficiario è residente in Italia, le future attribuzioni di capitale avranno a oggetto beni o diritti che non si trovano né si considerano esistenti in Italia.
[12] Sul tema del controllo e dell’influenza sul trustee cfr. M. Lupoi, Può il disponente influenzare il trustee? Sì, e può fare di più, Trusts, 2023, 797; M. Lupoi, Il “controllo” in materia di trust, auto-dichiarato e non, Trusts, 2020, 121.
[13] Lewis v Tamplin [2018] EWHC 777 (Ch). I beneficiari, in questo caso, intendevano avvalersi della regola giurisprudenziale nota come rule in Saunders v Vautier, che a certe condizioni consente ai beneficiari di porre fine al trust e ottenere il trasferimento del fondo in loro favore. Il passaggio della sentenza sopra citato è rilevante ai nostri fini perché chiarisce l’ambito di esercizio di un potere.
[14] Per altro il trustee dei Trust 1 e 3 è una banca, che opera attraversi i suoi dipendenti. Escluso che la banca in sé sia condizionabile lo sarebbero tutti i suoi dipendenti che si occupano dei Trust 1 e 3?
[15] A meno che si pretenda, affinché un trust non sia considerato interposto, che il beneficiario e il trustee non si debbano mai né vedere né sentire né scriversi.
[16] Si veda a tale proposito la decisione del giudice del Nevada relativa al trust istituito da Rupert Murdoch, in cui l’esercizio del potere di modifica del trust è stato ritenuto dal giudice esercitato in difformità dal “best interest” dei beneficiari. Un articolo che sintetizza il caso (il provvedimento è secretato) può leggersi a questo link: www.nytimes.com/2024/12/09/business/media/rupert-lachlanmurdoch-family-trust.html
[17] Re The Bird Charitable Trust and the Bird Purpose Trust. Basel. Trust Corporation v Ghirlandina Anstalt (2008) JRC 013, 11 ITELR 157 (Jersey); Re The Circle Trust. HSBC International Trustee Limited v Wong and others (2006) 9 ITELR 676 (Cayman Islands), tutte citate in M. Lupoi, Il diritto del trustee di restare trustee, T&AF, 2016, 474-475.
[18] «(a) Un beneficiario può chiedere per iscritto al trustee di consegnare a ciascun beneficiario del trust un estratto conto scritto che copra tutte le transazioni avvenute dopo l’ultimo rendiconto o dopo l’istituzione del trust, a seconda di quale sia la data successiva. Se il trustee non consegna o rifiuta di consegnare il rendiconto entro il novantesimo giorno dalla data in cui il trustee riceve la richiesta o dopo un periodo più lungo ordinato da un tribunale, qualsiasi beneficiario del trust può agire in giudizio per costringere il trustee a consegnare la dichiarazione a tutti i beneficiari del trust.
Il tribunale può imporre al trustee di consegnare un rendiconto scritto a tutti i beneficiari se constata che la natura dell’interesse del beneficiario o l’effetto dell’amministrazione del trust sugli interessi del beneficiario sia sufficiente a richiedere un rendiconto da parte del trustee. Tuttavia, il trustee non è obbligato o richiesto di rendere il conto ai beneficiari di un trust più frequentemente di una volta ogni 12 mesi a meno che il tribunale non ordini una rendicontazione più frequente. Se un beneficiario vince la causa per obbligare il trustee a rendere il conto ai sensi di questa sezione, l’autorità giudiziaria può, a sua discrezione, condannare il trustee a pagere tutte o parte delle spese processuali e tutte le spese legali ragionevoli e necessarie del beneficiario in proprio o in qualità di trustee.
(b) Una persona interessata può agire in giudizio per costringere il trustee a rendere il conto alla persona interessata. Il tribunale può richiedere al trustee di consegnare un rendiconto scritto alla persona interessata qualora ritenga che la natura dell’interesse nel trust, il credito vantato nei confronti del trust o l’effetto dell’amministrazione del trust sulla persona interessata è sufficiente per richiedere un rendiconto al trustee».
[19] Un trust siffatto probabilmente non sarebbe apprezzabile neppure come trust.
[20] La possibilità di inserire clausole di esonero da responsabilità del trustee è consentita, entro certi limiti, dalla sezione 113.059 del Texas Trust Code.
[21] Per altro, si osserva, anche se la beneficiaria si fosse riservata il potere di vietare il compimento di uno o più atti da parte del trustee, ciò di per sé non significherebbe che il controllo del trust sia nelle sue mani.
[22] In merito alla “qualità” delle presunzioni cfr. Cass. 29 luglio 2016, n. 15830, 13 luglio 2021, n. 19878, 13 aprile 2023, n. 9890. Cass. 17 febbraio 2022, n. 5276, in un caso riguardante una società interposta ha precisato che l’interponente deve disporre delle risorse come soggetto interposto “uti dominus” e che la prova deve essere alquanto rigorosa che dimostri il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale da dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto imprenditoriale interposto. In materia di trust la giurisprudenza è oscillante. Corte di giustizia di II grado Lombardia, 20 settembre 2023, n. 2786 e 3 febbraio 2023, n. 437, nonché Comm. trib. reg. Piemonte, 22 aprile 2022, nn. 500 e 501 confermano l’interposizione del trust rispetto al disponente. In senso contrario Corte di giustizia di II grado Lombardia, 7 marzo 2023, n. 909, Comm. trib. prov. Udine, 28 marzo 2022 n. 78, Comm. trib. reg. Lazio, 28 settembre 2021, n. 4321, Comm. trib. prov. Novara, 21 maggio 2013. n. 73.