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Attualità

Trust equiparato alle società per la tutela delle libertà fondamentali in ambito comunitario

21 Novembre 2017

Elio Andrea Palmitessa, Dottore Commercialista in Milano

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sez. I, 14 settembre 2017, C-646/15 – Pres. de Lapuerta, Rel. Fernlund

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Nella causa C-646/15 del 14 settembre 2017[1], la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, anche la “Corte”) ha affermato il principio secondo cui un trust, residente in uno Stato membro, può beneficiare delle libertà fondamentali previste dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE, anche il “Trattato”), a condizione che la legislazione nazionale del paese di stabilimento preveda che i beni conferiti nel trust, istituito con fini di lucro, costituiscano patrimonio separato e distinto dal patrimonio personale del trustee, in forza del quale quest’ultimo è dotato di diritti e obblighi idonei a gestire tali beni e disporne in conformità alle disposizioni contenute nell’atto costitutivo del trust.

La pronuncia dei giudici comunitari è intervenuta a seguito di un ricorso promosso dai trustees di quattro trusts presso il Tribunale di primo grado del Regno Unito, con il quale si contestava la compatibilità tra la normativa inglese in materia di tassazione degli utili e le libertà fondamentali previste nell’ambito del Trattato.

Nel caso in commento, la CGUE analizza, per la prima volta, la relazione tra l’istituto del trust, in quanto organizzazione priva di personalità giuridica autonoma, e le libertà fondamentali in ambito comunitario, con specifico riguardo al presidio del diritto di stabilimento nel mercato dell’Unione.

Con il presente contributo si analizzano i fatti principali della sentenza annotata, così come interpretata dalla CGUE alla luce dei principi comunitari in materia di libertà fondamentali. Si introducono, altresì, brevi considerazioni in relazione alla possibile applicabilità dei principi enunciati dalla Corte a trusts interni, con un confronto interessante, quanto unico dal punto di vista giurisprudenziale, con una precedenza sentenza della Corte dell’Associazione Europea di Libero Scambio in relazione ad un caso speculare a quello ivi commentato.

2. I fatti

I fatti della sentenza commentata originano dalla costituzione di quattro trusts nel 1992 da parte di un cittadino cipriota, all’epoca residente nel Regno Unito insieme alla propria famiglia, a favore dei tre figli e di alcuni familiari. In sede di costituzione dei quattro trusts veniva conferito il 40% delle quote della società holding che deteneva l’impresa commerciale fondata dallo stesso cittadino cipriota, nominando quali trustees una trust company inglese oltre che lo stesso disponente (finanche guardiano del trust, con potere di nomina e revoca di altri amministratori fiduciari).

All’inizio del 2004 la famiglia decideva di lasciare il Regno Unito e fare ritorno a Cipro. Si procedeva pertanto ad un riassetto dell’organo di amministrazione fiduciaria, con le dimissioni del cittadino cipriota e di sua moglie (nel frattempo cooptata) ed il subentro, a partire dal 19 agosto 2004, di tre nuovi trustees residenti a Cipro. A seguito di tale nomina i quattro trusts cessavano di risiedere sul territorio inglese, considerato che la maggioranza dei trustees non era più residente nel Regno Unito (la trust company inglese avrebbe anche rimesso il proprio mandato il 14 dicembre 2005). A seguire, il 19 dicembre 2005 veniva formalizzata la cessione delle quote della società holding che erano state conferite all’interno dei quattro trusts, ed i relativi proventi (circa GBP 30 milioni) reinvestiti in altre attività.

I nuovi amministratori procedevano all’invio delle dichiarazioni fiscali nel Regno Unito per il periodo d’imposta 2004/2005, non fornendo alcuna evidenza, ai fini reddituali, del plusvalore latente sui beni conferiti.

L’amministrazione fiscale inglese, in base alla norma di cui dell’art. 80 del Taxation of Chargeable Gains Act (TCGA) contestava le dichiarazioni fiscali, ritenendo che il momento impositivo per la riscossione dell’imposta sugli utili coincidesse con il momento in cui la maggioranza dei trustees avesse assunto la residenza in un altro Stato membro (art. 69 TCGA). Dunque, riprendeva a tassazione già per il periodo d’imposta 2004/2005 l’ammontare corrispondente all’incremento di valore emergente sino al 19 agosto 2004 (sulla base del market value) rispetto al valore di carico nel fondo fiduciario dei quattro trusts, senza alcun differimento temporale del prelievo dell’imposta.

La domanda pregiudiziale dinanzi al Tribunale di primo grado del Regno Unito, come poi rimesso alla valutazione della CGUE, verteva sulla compatibilità di una normativa, come quella del Regno Unito in tema di TCGA, con le libertà fondamentali nell’ambito del diritto dell’Unione Europea, e sul rispetto del principio di proporzionalità qualora detto assoggettamento ad imposta sugli utili non fosse giustificato da una logica di ripartizione equilibrata del potere impositivo tra Stati membri e dunque non fosse proporzionato al raggiungimento dello scopo perseguito dalla norma.

3. I principi annotati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La questione è stata risolta dalla Corte con una serie di passaggi, di seguito analizzati.

3.1 In quanto alla possibilità che un trust residente in uno Stato membro possa invocare le libertà fondamentali in ambito comunitario

L’art. 49 TFUE prevede che siano vietate restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro[2], identificando, tra i destinatari della norma, “le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato”[3].

Nel caso in esame, dunque, si trattava di determinare se un trust potesse essere qualificato tra le “altre persone giuridiche”: i giudici comunitari risolvono la questione stabilendo che, se in forza del diritto nazionale, i beni conferiti in un trust, oltre che rappresentare un patrimonio separato da quello dei trustees, attribuiscono diritti ed obblighi propri, e se il trust persegue scopi e finalità estranee ad una gestione di carattere caritativo o sociale (in altre parole, persegue uno scopo di lucro), allora questo può essere equiparato alle “altre persone giuridiche”ai sensi del TFUE.

3.2 In quanto allesistenza di diritti ed obblighi propriin capo ad un trust

Un primo orientamento viene fornito dalle conclusioni dell’Avvocato Generale, Juliane Kokott, che evidenzia come questa valutazione debba essere fatta in relazione alla capacità del trust di agire in modo autonomo, intendendo con ciò la capacità di pervenire ad una volontà unitaria distinta dalle persone che se ne servono[4].

Nel caso in esame, la disciplina inglese prevedeva che i trustees agissero quale unico e permanente organismo di persone, e che il trasferimento del luogo di residenza della maggioranza degli trustees avrebbe comportato anche il trasferimento della sede amministrativa del trust. In tal caso, i trustees sarebbero risultati debitori dell’imposta sugli utili delle società in relazione ad eventuali plusvalenze latenti sui beni conferiti nel trust, pur non ancora realizzate.

3.3 Sull’esistenza di un ostacolo alla libertà di stabilimento

Pregressa e costante giurisprudenza si è già domandata fino a che punto potesse spingersi una normativa nazionale volta a scoraggiare ed ostacolare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, affermando che solo la necessità di preservare la coerenza del sistema fiscale tra gli Stati membri può giustificare una norma che vada ad ostacolare il diritto fondamentale di stabilimento. In particolare, perché ciò avvenga e per garantire una equa ripartizione del potere impositivo tra Stati membri conformemente al principio di territorialità legato ad una componente temporale, le disposizioni nazionali devono soddisfare le seguenti condizioni: 1) applicarsi in modo non discriminatorio, 2) essere giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, 3) essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, 4) non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento del predetto scopo.

In quanto alla legislazione inglese di cui all’art. 80 TCGA (Migration of settlements, non-resident settlements and dual resident settlements), la norma dispone l’immediata tassazione degli utili non realizzati risultanti dal patrimonio appartenente ad un trust in caso di trasferimento della residenza fiscale al di fuori del Regno Unito.

Diversamente, nel caso di spostamento della residenza all’interno dei confini britannici, la tassazione degli utili viene rimandata al momento del realizzo. Una differenza di trattamento, come quella appena evidenziata, sarebbe ammissibile solo se giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico, e comunque se idonea a raggiungere lo scopo perseguito non andando oltre quanto necessario per raggiungerlo[5].

La posizione della giurisprudenza comunitaria su questo tema è molto chiara. Innanzitutto, dispone che una misura nazionale destinata a restringere la libertà di stabilimento è ammessa solo in presenza di costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere l’imposta sugli utili generati da attività economiche svolte sul territorio nazionale[6]. Quindi, con specifico focus sul tema della exit taxation[7], sostiene che, in caso di trasferimento della sede amministrativa effettiva di una società, lo Stato membro di provenienza non deve rinunciare al suo diritto di assoggettare ad imposta una plusvalenza generata nell’ambito della sua competenza fiscale prima di tale trasferimento[8]. Parimenti, “sarebbe meno contraria alla libertà di stabilimento una normativa nazionale che offra, alla società che trasferisce la propria sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro, la scelta tra, da un lato, il pagamento immediato dell’imposta, che crea uno svantaggio in termini finanziari per tale società ma la dispensa da oneri amministrativi successivi, e, dall’altro, il pagamento differito di tale imposta, se del caso corredato da interessi conformemente alla normativa nazionale applicabile”[9].

3.4 Le conclusioni della Corte

Le conclusioni della Corte riportano i termini della questione su questi principi, ritenendo che la normativa britannica in materia di tassazione degli utili sul patrimonio di un trust in uscita dal Regno Unitorappresenti un ostacolo alla libertà comunitaria di stabilimento, nonché una violazione del principio di proporzionalità andando oltre quanto necessario per raggiungere il suo scopo.

4. Possibili ricadute in ambito domestico

Riproporre queste considerazioni in ambito italiano, districandosi tra norme del codice civile e norme fiscali, non sarà tuttavia facile. Per vari motivi.

Primo, si deve tenere conto della natura dell’istituto del trust ai sensi della legislazione domestica. Secondo, si devono valutare i criteri sulla base dei quali si determina la localizzazione dell’istituto nel territorio (ad esempio, valutare se la residenza fiscale dei trustees sia suscettibile di influenzare anche la residenza fiscale del trust). Da ultimo, si deve tenere in considerazione che una specifica disciplina sulla tassazione degli utili relativi al patrimonio di un trust in uscita da un territorio è assente in molti paesi dell’Unione Europea (tra cui, appunto, l’Italia), i quali viceversa dispongono di una disciplina sulla exit taxation in materia di reddito d’impresa.

In quanto alla soggettività giuridica di un trust, costante giurisprudenza[10] ha riconosciuto il principio di diritto per cui il trust[11] sia un ente sprovvisto di personalità giuridica, che, nell’ambito di un vincolo fiduciario con il trustee, accoglie beni e/o diritti trasferiti da un disponente affinché il trustee ne disponga in conformità agli interessi e scopi indicati nell’atto costitutivo. Viene altresì riconosciuto che il trustee non agisce quale “rappresentante legale” del trust, quanto piuttosto come colui che dispone, pur nell’ambito del principio di segregazione patrimoniale di cui all’art. 11 della Convenzione de L’Aia[12], del diritto conferito nel trust dal disponente. Infine, viene ribadita l’irrilevanza, sotto il profilo civilistico, della disciplina fiscale di cui all’art. 73 del Dpr 917/86 (Tuir), in quanto all’inesistenza giuridica dell’istituto pur trattandosi di soggetti sottoposti all’imposta sul reddito delle società.

Cercando un punto di sintesi con la sentenza commentata, potremmo affermare che pare alquanto problematico poter sostenere, nel contesto italiano, che un trust interno possa essere qualificato secondo i canoni comunitari dell’art. 54 TFUE come una “altra persona giuridica”.

A conferma di questa affermazione concorre il tema della residenza fiscale di un trust. Ai sensi dell’art 73, comma 3 del Tuir si considerano residenti sul territorio dello Stato le società e gli enti (tra cui quelli ricompresi nel comma 1, lett. d) dello stesso articolo, ovvero i trusts) che per la maggior parte del periodo d’imposta abbiano sul territorio dello Stato, alternativamente: i) sede legale, ii) sede dell’amministrazione, iii) oggetto principale dell’attività svolta. Sulla scorta degli indirizzi espressi dalla citata giurisprudenza nonché degli orientamenti di prassi (v. Circ. Agenzia Entrate 6 agosto 2007, n. 48/E), l’applicabilità dei criteri per determinare la residenza sul territorio è dunque circoscritta alla sede dell’amministrazione (quindi, vincolata in qualche modo al luogo di residenza del trustee) e all’oggetto principale dell’attività svolta (patrimonio immobiliare piuttosto che bene mobile), ovvero sui criteri convenzionali per individuare la residenza fiscale di una “persona diversa da una persona fisica” di cui all’art. 4, paragrafo 3 del modello convenzionale OCSE. In altri termini, viene esclusa la sede legale, ad ulteriore conferma del consolidato orientamento che ribadisce la mancanza di personalità giuridica propria in capo al trust.

Ricordiamo che talune legislazioni (soprattutto di matrice anglosassone) vincolano la residenza del trust alla residenza dei trustees (come nel caso qui esaminato), e dunque non è facilmente equiparabile una situazione in cui l’istituto deriva la propria residenza da criteri soggettivi (residenza dei trustees) piuttosto che oggettivi (v. art. 73 Tuir).

Infine, un ultimo elemento da tenere in considerazione è la mancanza di una legislazione in materia di exit taxation dei trusts. Pertanto, in caso di trasferimento all’estero di un trust interno, questo sarà soggetto alle sole imposte sui redditi prodotti in Italia (una volta trasferito) ai sensi dell’art. 23 Tuir.

5. La Giurisprudenza della corte dell’Associazione Europea di Libero Scambio

Come già evidenziato, la sentenza commentata si propone di fornire una visione innovativa dello strumento del trust, con meno vincoli ed una maggiore mobilità a livello internazionale, utilizzando argomenti ben più specifici rispetto a quelli già adoperati dalla Corte dell’Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA[13]) nelle sentenze riunite E-3/13 e E-20/13[14].

In quel caso, infatti, i giudici avevano stabilito che un trust può invocare le libertà fondamentali previste nell’ambito dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (Accordo SEE) fintanto che il trust consegua un’attività economica reale, non finalizzata ad eludere l’imposta sugli utili generati da attività economiche svolte sul territorio nazionale.

Il caso in questione coinvolgeva un trust discrezionale costituito in Liechtenstein, cui venivano conferite le quote azionarie in una BV olandese a favore di beneficiari residenti in Norvegia. Il fisco norvegese contestava la mancata applicazione della disciplina domestica sulle CFC, con ripresa a tassazione in capo ai beneficiari dei redditi conseguiti (per trasparenza) dal trust, in quanto strumento localizzato in un territorio a fiscalità privilegiata.

Tra le questioni pregiudiziali sollevate dai ricorrenti vi era la compatibilità della normativa norvegese con le disposizioni in materia di libertà di stabilimento[15] (o, in subordine, di libera circolazione dei capitali[16]) di cui all’Accordo SEE.

Nel risolvere il caso, la Corte dell’EFTA afferma che il significato di “stabilimento”, nell’ambito dell’Accordo CEE, è molto ampio, e deve essere interpretato in maniera tale da permettere a tutti i cittadini ivi residenti di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato aderente all’Accordo SEE diverso dal proprio Stato di origine, e per una durata di tempo indeterminato. Per questa ragione, ogni persona o entità, ivi compreso il trust[17], che persegue un’attività economica reale, ha il diritto di beneficiare della libertà di stabilimento o libera circolazione dei capitali nell’ambito degli Stati aderenti.

Dunque, affermano i giudici, una restrizione alle libertà fondamentali potrebbe essere giustificata solo da ragioni imperative di interesse generale o in presenza di costruzioni di puro artificio. Nel primo caso[18], il rischio di perdita del gettito fiscale per lo Stato aderente non può essere argomento sufficiente per giustificare una restrizione all’esercizio di una libertà garantita nell’ambito dell’Accordo EEA. Nel secondo caso[19], affinché una restrizione sia giustificata da motivi di lotta a pratiche elusive, deve avere lo scopo di ostacolare comportamenti consistenti nel voler creare costruzioni di puro artificio prive di effettività economica e finalizzate ad eludere l’imposta sugli utili generati da attività economiche svolte sul territorio nazionale.

I giudici dell’EFTA, nell’accogliere il ricorso presentato dai trustees, hanno dunque risolto la questione di merito con una modalità che ha fatto leva su argomenti differenti da quelli poi utilizzati dai giudici della CGUE nella recente sentenza C-646/15. Argomenti che, è bene ribadirlo, hanno comunque attinto dai principi comunitari in materia di libertà di stabilimento in ambito societario.

6. Conclusioni

Dagli scenari analizzati si può constatare come l’istituto del trust, ancorché oggetto di un considerevole numero di pronunce della giurisprudenza italiana, rappresenti ancora una fattispecie non adeguatamente esplorata dalla giurisprudenza dell’Unione Europea. In tale ottica, assume ancor maggior rilievo la pronuncia (la prima, nel contesto) della Corte sulla equiparabilità di un trust alle società per il diritto comunitario.

Sarà interessante, a questo punto, valutare se e come i principi emersi avranno una ricaduta anche sugli orientamenti delle commissioni tributarie italiane (anche in considerazione del ruolo del trust quale strumento di protezione di interessi meritevoli di tutela, e delle previsioni poste dagli articoli 15 e 18 della Convenzione de l’Aia), tenuto conto delle differenze strutturali e normative che connotano l’istituto del trust rispetto ad uno scenario di common law, entro cui, è bene ricordare, sono inquadrati i quattro trusts della vicenda su cui è intervenuta la CGUE.

 


[1] Corte di Giustizia UE, Sentenza C-646/15, 14 settembre 2017, Trustees of the P Panayi Accumulation & Maintenance Settlements contro Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs.

[2] Per un approfondimento dei principi comunitari in materia di libertà di stabilimento in ambito societario si rimanda, fra gli altri, a: Cadbury Schweppes plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd contro Commissioners of Inland Revenue, Sentenza C-196/04, 12 settembre 2006.

[3] Art. 54, paragrafo 2 del TFUE.

[4] Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, Corte di Giustizia UE, Sentenza C-646/15, para. 38: “L’amministrazione di un patrimonio altrui mediante un trust o i suoi amministratori fiduciari è anch’essa un’attività autonoma. Sussiste anche la necessaria attiva partecipazione alla vita economica posto che, a tal fine, è sufficiente un’amministrazione attiva del patrimonio”.

[5] Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, cit. supra nota 4, paragrafo 47.

[6] Corte di Giustizia dell’unione Europea, Sentenza C-196/04, 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd contro Commissioners of Inland Revenue, paragrafo 51.

[7] Corte di Giustizia UE, Sentenza C-371/10, 29 novembre 2011, National Grid Indus BV contro Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam.

[8] Cit. supra nota 7, paragrafo 46.

[9] Cit. supra nota 7, paragrafo 73.

[10] Si vedano, tra gli altri, Cass. Trib. 7 gennaio 2017, n. 2043; Trib. Modena, 22 novembre 2016; Cass. Civ. 22 dicembre 2015, n. 25800; Cass. Trib. 18 dicembre 2015, n. 25478; Cass. Trib. 20 febbraio 2015, n. 3456; Comm. Trib. Reg. Campania 3 novembre 2014, n. 9487; Cass. Pen. 24 giugno 2014, n. 46137; Cass. Civ. 9 maggio 2014, n. 10105; Comm. Trib. Reg. Toscana 8 luglio 2013, n. 112; Trib. Reggio Emilia 10 giugno 2013; Cass. Civ. 22 dicembre 2011, n. 28363.

[11] Definito come “un rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell’interesse del beneficiario, raggiungimento dello scopo” (Circolare n. 3/E, 22 gennaio 2008).

[12] Ricordiamo che l’istituto del trust è stato introdotto in Italia con la ratifica della Convenzione de l’Aia del 1 luglio 1985, da parte della legge n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1 gennaio 1992.

[13] European Free Trade Association.

[14] Corte dell’Associazione Europea di Libero Scambio, sentenze riunite E-3/13 e E-20/13, 9 luglio 2014, Fred. Olsen and Others and Petter Olsen and Others contro The Norwegian State, represented by the Central Tax Office for Large Enterprises and the Directorate of Taxes.

[15] Accordo sullo Spazio economico europeo, articoli 31-35.

[16] Cit. supra nota 15, articoli 40-45.

[17] Sentenze riunite C-3/13 e C-20/13, cit. supra, paragrafo 96.

[18] Cit. supra nota 17, paragrafo 162.

[19] Cit. supra nota 17, paragrafo 166.

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