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Trust inter vivos in funzione succcessoria e trust istituito a mezzo di testamento

18 Maggio 2021

Davide Davico, General Counsel Gruppo, Ersel, Direttore Generale, Simon Fiduciaria; Francesca Bruno di Clarafond, Wealth Plannig Specialist, Simon Fiduciaria

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. La legge regolatrice del trust e la compatibilità con i principi inderogabili di diritto successorio italiano. – 3. Il trust inter vivos in funzione successoria. – 4. Il trust istituito mediante testamento. – 4.1. Segue: il trust istituito mediante testamento e le modalità operative. – 5. La tutela dei diritti dei legittimari. – A. Il legittimario beneficiario del trust. – B. Le clausole di salvaguardia. – C. Il legittimario non beneficiario del trust. – 6. Conclusioni

 

1. Considerazioni introduttive

Il trust non è disciplinato da alcuna legge italiana, tuttavia l’ordinamento domestico ne riconosce validità ed efficacia, a determinate condizioni, in forza della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992 (“Convenzione”).

A prescindere dal riconoscimento astratto del trust effettuato mediante la ratifica della Convenzione, sono state numerose le difficoltà e diffidenze che l’istituto ha riscontrato prima di una sua effettiva metabolizzazione[1] da parte dell’ordinamento italiano.

Il ritardo nel concreto recepimento è stato determinato, da una parte, dalle perplessità teoriche avanzate dalla dottrina e legate alle origini di common law proprie dell’istitutoche mal si conciliano con i principi inderogabili dell’ordinamento domestico[2] e, dall’altra, da un uso “improprio” che per lungo tempo ne è stato fatto e che, tuttora, anche se in misura più ridotta, se ne fa.

In particolare, la creazione di un patrimonio “segregato”[3] rispetto al patrimonio del disponente[4], quale effetto automatico del conferimento dei beni nel fondo in trust, ne ha caratterizzato un uso fraudolento ad opera di un disponente italiano verosimilmente mal consigliato.

Come, infatti, dimostrano le numerose pronunce in tema di revocatoria, è stata proprio la realizzazione dell’effetto segregativo ad attrarre una minoranza di disponenti italiani, erroneamente convinti che l’istituto potesse essere impiegato, in frode ai creditori, al fine di sottrarsi ad obbligazioni legittimamente assunte.

Superate le citate diffidenze è pacifico che, ormai da qualche tempo, il trust si stia sempre più affermando, sia a livello di sentire comune che di riconoscimento giurisprudenziale e dottrinale, quale strumento duttile in grado di realizzare molteplici interessi meritevoli di tutela, tra cui la destinazione[5] generazionale del patrimonio.

Le note che seguono nascono, dunque, dall’esigenza di ricordare come il trust possa e necessariamente debba, nell’ipotesi in cui venga utilizzato per realizzare obiettivi di programmazione patrimoniale, conciliarsi con i principi inderogabili del diritto successorio italiano.

L’analisi che segue si soffermerà in particolare sulla distinzione tra trust inter vivos in funzione successoria[6] e trust testamentario e sulle conseguenze che la scelta di uno o dell’altro strumento può determinare in termini di lesione dei diritti dei legittimari, nonché sugli strumenti riconosciuti a tutela di tali diritti.

Il contributo prenderà in considerazione esclusivamente i trust liberali per beneficiari, istituiti dal disponente per soddisfare esigenze di destinazione patrimoniale.

2. La legge regolatrice del trust e la compatibilità con i principi inderogabili di diritto successorio italiano

La mancanza di una legge domestica che disciplini il trust, comporta necessariamente per il disponente italiano che voglia fare ricorso all’istituto, la scelta di una legge straniera che lo regolamenti.

È la stessa Convenzione, infatti, che oltre a indicare alcuni degli elementi essenziali per l’efficacia e validità di un trust, prevede che possa essere disciplinato dalla legge straniera espressamente indicata dal soggetto che lo istituisce[7].

La legge straniera individuata regolerà validità, interpretazione, effetti ed amministrazione del trust[8]. Contestualmente il trust dovrà passare al vaglio della legge italiana: alla luce della quale dovrà esserne valutata meritevolezza e liceità della causa concreta[9], nonché il rispetto dei principi inderogabili.

Ebbene, la coesistenza tra leggi appartenenti ad ordinamenti diversi non potrà che dare luogo a situazioni di attrito, che si accentueranno nell’eventualità in cui il trust proietti la sua vicenda effettuale dopo la vita del disponente[10].

Il trust è, infatti, un istituto che trae la sua origine in ordinamenti di common law caratterizzati dalla massima libertà del de cuius di disporre dei propri beni dopo la sua morte[11]. Al contrario, gli ordinamenti di civil law, come quello italiano,si contraddistinguono per il riconoscimento di diritti incomprimibili in favore di determinate categorie di parenti stretti del de cuius, i c.d. legittimari[12].

L’astratta incompatibilità in materia successoria tra i due ordinamenti dovrà, tuttavia, essere risolta in favore dell’ordinamento domestico. È quanto si deduce dal dettato di cui all’art. 15 della Convenzione, il quale stabilisce che, anche laddove la legge regolatrice prescelta lo permetta, un trust non potrà portare alla disapplicazione delle norme imperative dell’ordinamento designato secondo i principi vigenti in materia di lex fori[13]. Tra le norme imperative inderogabili l’art. 15 espressamente cita quelle in materia di testamenti, devoluzione ereditaria e successione necessaria[14].

Laddove, dunque, un trust non possa essere coordinato con le norme imperative, di applicazione necessaria e l’ordine pubblico interno, gli effetti incompatibili della legge straniera scelta a regolarlo dovranno essere contenuti o eliminati[15].

Ricordato, dunque, che l’ordinamento italiano sancisce il principio inderogabile di intangibilità della quota di legittima[16], ne deriva che il trust non potrà mai essere lo strumento impiegato per ledere i diritti dei legittimari.

3. Il trust inter vivos in funzione successoria

Il trust è un negozio giuridico complesso, avente un’unica causa, che si compone di due negozi strutturalmente distinti[17]: un atto istitutivo, quale atto unilaterale avente natura programmatica per mezzo del quale il disponente detta le regole a cui il trustee dovrà attenersi nell’amministrazione dei beni e, uno o più negozi dispositivi, con i quali disponente trasferisce al trustee i beni e i diritti designati, affinché costui se ne avvalga per attuare il compito affidatogli.

Nella prassi si assiste sovente all’istituzione di trust inter vivos la cui dotazione è effettuata solo al momento della morte del disponente stesso, mediante disposizione testamentaria. Tale struttura trova conferma nell’art. 4 della Convenzione che espressamente ammette che i beni possano essere trasferiti al trustee anche mediante testamento[18]. Qualora, quindi, l’atto dispositivo sia contenuto in disposizioni testamentarie il trasferimento dei beni nel fondo in trust coinciderà con la morte del disponente.

In tale configurazione il disponente potrà, pertanto, rimanere nella titolarità dei beni fino al momento dell’apertura della successione e, conseguentemente, disporne liberamente fino a tale data. Il trust così articolato consente, fino all’ultimo, grande flessibilità di scelta al disponente in ordine ai beni da conferire: il testamento redatto e contenente le disposizioni di conferimento di beni in trust potrà infatti essere revocato dal de cuius, in tutto o in parte, fino al momento della sua morte[19].

Per contro, i beni, fintanto che resteranno nella titolarità del disponente, saranno soggetti alle vicende patrimoniali e personali di costui[20]. In tale ipotesi l’effetto segregativo[21] proprio del trust si realizzerà solo al momento del trasferimento dei beni nel fondo, coincidente, come detto, con la morte del disponente stesso.

Al momento dell’apertura della successione, sui beni destinati al fondo in trust non si aprirà la comunione ereditaria con le conseguenti problematiche in tema di divisione, ma tali beni saranno trasferiti automaticamente in trust, amministrati dal trustee e da questi trasferiti ai beneficiari del fondo solo decorso il termine finale individuato dal disponente nell’atto istitutivo[22]. La devoluzione dei beni nel fondo si propone, pertanto, come vera e propria alternativa alla devoluzione del patrimonio mediante le regole proprie della successione ereditaria, presentando, tuttavia, delle criticità sottese.

In merito alla compatibilità con i principi di diritto successorio vigenti nell’ordinamento italiano si è a lungo discusso in dottrina se tale struttura di trust possa entrare in tensione con il divieto di patti successori[23]. In particolare, ci si è chiesti se ricorra nell’ipotesi descritta un contratto successorio stipulato tra disponente e trustee (mandatario) al quale venga affidato il compito di effettuare un’attribuzione mortis causa.

Èormai opinione pacifica che non si possa in alcun modo parlare di contratto o di accordo, stante la natura unilaterale propria dell’atto istitutivo del trust, e che debba essere riconosciuta natura inter vivos sia al rapporto tra disponente e trustee, che al trasferimento dal trustee al beneficiario finale.

Nell’ipotesi in oggetto non ricorre, infatti, un patto successorio vietato in quanto il diritto alla prestazione del terzo sorge sin dal momento dell’istituzione del trust, per quanto l’attribuzione vada effettuata post mortem.

4. Il trust istituito mediante testamento

Il termine trust “testamentario” indica il trust istituito dal disponente attraverso il proprio atto mortis causa[24]. In questa fattispecie, a differenza di quanto accade con riferimento al trust inter vivos in funzione successoria di cui sopra, il testamento non è quindi solamente lo strumento con cui viene attuata la devoluzione dei beni in trust ma assume esso stesso le funzioni di atto istitutivo del trust.

La Convenzione all’art. 2[25] stabilisce espressamente l’ammissibilità dell’istituzione di un trust a mezzo di negozio testamentario; in tale ipotesi l’atto programmatico e l’atto dispositivo divengono parte integrante del negozio mortis causa e la morte del disponente coincide con il momento istitutivo del trust.

Ciò che caratterizza il trust testamentario, rispetto ad un trust inter vivos, è una maggiore flessibilità in merito ad eventuali modifiche o revoche dell’atto istitutivo. L’atto istitutivo, infatti, poiché contenuto in una disposizione mortis causa produrrà i suoi effetti solo al momento della morte del de cuius e sarà soggetto alle medesime regole che disciplinano la modifica e la revoca delle disposizioni testamentarie.

Secondo i principi vigenti in materia successoria, il disponente non potrà in alcun modo rinunciare al potere di revocare l’atto istitutivo[26] – testamento- fintanto che in vita[27].

Inoltre, sarà sufficiente un successivo testamento – anche nella semplice forma olografa[28]- per modificare o revocare il precedente negozio mortis causa e, quindi, l’atto istitutivo di trust in esso contenuto.

Al pari di quanto affermato in precedenza in merito al trust inter vivos in funzione successoria, anche in tale ipotesi il disponente rimarrà nella disponibilità dei beni fino al momento della sua morte, giacché l’effetto segregativo e destinatorio proprio del trust si produrranno esclusivamente al momento dell’apertura della successione del de cuius.

Nell’ipotesi al vaglio, i beni del de cuius non saranno direttamente trasferiti agli eredi, ma al trustee che sarà tenuto ad amministrarli nell’interesse dei beneficiari e secondo le regole dettate dal disponente nel medesimo testamento.

Il diritto successorio domestico regolerà, dunque, validità del testamento e tutela dei diritti dei legittimari e la legge straniera scelta disciplinerà, al contempo, validità, interpretazione dell’atto istitutivo, poteri e amministrazione del trustee.

Confrontandolo brevemente con l’istituto domestico dell’esecutore testamentario[29] si può affermare che, mentre l’esecutore potrà espletare il suo compito relativo all’amministrazione dei beni ereditari e conseguente possesso dei medesimi per una durata non superiore ad un anno[30], il trustee amministrerà i beni nel fondo in trust per l’intera durata del trust stabilita dal disponente.

Inoltre, mentre la funzione gestoria è propria del trustee, questa non è elemento essenziale dell’attività dell’esecutore[31], il quale subirà il concorrente potere dispositivo degli eredi[32] e sconterà il preventivo controllo dell’autorità giudiziaria per il compimento di atti di straordinaria amministrazione[33].

Attraverso il trust, il de cuius potrà, pertanto, realizzare l’effetto destinatorio proprio dell’istituto, non perseguibile mediante la semplice nomina di un esecutore la cui funzione si esaurirà nel curare la corretta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà.

4.1 Segue: il trust istituito mediante testamento e le modalità operative

Il trust “testamentario” può assumere, in concreto, una duplice configurazione a seconda che sia direttamente istituito dal testatore, assumendo egli stesso il ruolo di disponente (c.d. costituzione diretta), ovvero incarichi un soggetto di farlo per lui, facendo onere ad eredi o legatari di costituire in trust i beni a loro devoluti (c.d. costituzione indiretta).

Sono numerose le criticità sottese che presentano entrambe le ipotesi in merito alla compatibilità con i principi di diritto successorio interno[34]. Il trust rimane, infatti, pur sempre un istituto giuridico estraneo all’ordinamento italiano e, i cui soggetti, risultano di difficile inserimento nelle categorie di diritto successorio domestico[35].

In particolare, nell’ipotesi di istituzione diretta da parte del testatore, è stato rilevato il duplice problema in ordine alla qualificazione giuridica del beneficiario finale e del trustee.

Quanto al beneficiario del fondo (c.d. beneficiario finale), egli riceverebbe i beni non direttamente dal de cuius[36], ma dal trustee che sarebbe invece il diretto destinatario dell’attribuzione mortis causa.

A ragione, dunque, il beneficiario finale non potrebbe considerarsi erede del de cuius, conseguendo la titolarità del fondo in trust solo mediante atto traslativo inter vivos posto in essere dal trustee[37].

Ciò posto, secondo la dottrina più attenta[38] la posizione del beneficiario finale del trust andrebbe pertanto ricondotta alla fattispecie del legato di comportamento negoziale[39]. Il beneficiario finale, infatti, alla scadenza del termine di durata del trust non conseguirebbe automaticamente la titolarità dei beni a lui destinati dal disponente, necessitando di un atto traslativo solutionis causa da parte del trustee.

Quanto al trustee, invece, si discute se costui sia erede cum onere del de cuius[40] ovvero si sia di fronte ad un tertium genus di disposizione testamentaria[41].

Con riguardo alla prima qualificazione giuridica deve essere osservato che il trustee, sebbene destinatario dell’attribuzione testamentaria, detiene i beni non per sé ma nell’interesse dei beneficiari e per un periodo di tempo determinato (coincidente con la durata del trust). L’impiego dei beni così come disposto dal de cuius non sarebbe disposizione modale accessoria, ma vero e proprio negozio principale incompatibile con la fattispecie di erede cum onere.

La disposizione testamentaria nei confronti del trustee avrebbe poi ad oggetto il conferimento di un incarico gestorio e non un’offerta di patrimonio ereditario, la cui titolarità spetterebbe a costui solo in quanto finalisticamente vincolata[42].

Per quanto attiene, invece, all’ipotesi di costituzione mortis causa indiretta, deve essere posto all’attenzione che non si potrebbe parlare propriamente di trust “testamentario”: il trust sorgerebbe infatti in un secondo momento, in virtù di un attointer vivos, ancorché in esecuzione di un’obbligazione testamentaria[43].

L’erede o il legatario assumerà egli stesso il ruolo di disponente al fine di vincolare i beni ricevuti ed assumendo l’ufficio di trustee. Il beneficiario del trust, dunque, non potrà in alcun modo qualificarsi quale avente causa a titolo di erede, ricevendo egli stesso i beni trasferitegli dal trustee su indicazione del testatore.

5. La tutela dei diritti dei legittimari

Ebbene, chiarito che non sarà possibile per il disponente italiano fare ricorso al trust per aggirare i principi inderogabili vigenti nell’ordinamento domestico in materia successoria, ai fini della nostra analisi si rende opportuno ricordare quali siano in concreto gli strumenti che l’ordinamento domestico riconosce a tutela di tali diritti.

Due sono, dunque, gli strumenti disciplinati dal legislatore italiano: il divieto di pesi e condizioni sulla legittima e l’azione di riduzione.

In particolare, l’art. 549 cod. civ. vieta al de cuius ogni disposizione testamentaria che possa diminuire vel in quantitate vel in tempore quanto spettante al legittimario. Mediante tale divieto si intende colpire qualsivoglia modalità che costituisca un limite alla disponibilità o al godimento della quota di legittima[44], con la conseguenza che l’eventuale peso sarà da considerarsi nullo e la condizione non apposta[45].

Al contrario, l’azione di riduzione in senso stretto si presenta come un’azione di impugnativa generale nei confronti di tutte le disposizioni liberali attributive di beni a terzi, nella misura in cui eccedano la disponibile[46].

Le considerazioni esposte in seguito, in merito alle azioni esperibili dai legittimari lesi[47], devono considerarsi valide per entrambe le ipotesi di trust fino ad ora esaminate: trust inter vivos in funzione successoria e trust testamentario.

Deve, infatti, essere assunto che in entrambe le fattispecie analizzate l’eventuale atto lesivo dei diritti dei legittimari è atto mortis causa, quale è l’atto dispositivo di beni in trust[48].

L’atto istitutivo, quale atto programmatico unilaterale privo di contenuto patrimoniale, è inidoneo a realizzare il presupposto oggettivo proprio di una fattispecie liberale quale l’impoverimento del donante e il contestuale arricchimento del donatario[49].

A. Il legittimario beneficiario del trust

In prima analisi si ritiene opportuno valutare la posizione del soggetto, legittimario del de cuius– disponente, che sia stato nominato beneficiario del trust[50].

È opportuno chiarire che, nel caso in esame, potrà parlarsi di azioni esperibili dal legittimario solo ove i beni conferiti in trust rappresentino la quota di legittima. Laddove, al contrario, sia stata vincolata in trust la sola quota disponibile, la fattispecie non potrà configurare alcuna violazione dei principi di diritto successorio, avendo il legittimario già ricevuto quanto spettantegli per legge per mezzo di atti liberali inter vivos o altre disposizioni mortis causa.

Nell’ipotesi in cui il legittimario riceva, dunque, la quota di riserva, per mezzo della nomina a beneficiario di un trust, riceverà la quota vincolata [51].

Il vincolo in trust si configura, ai sensi dell’art. 549 cod. civ, come un peso sulla quota di legittima, poiché pregiudica, nella sostanza, il diritto del legittimario di disporre incondizionatamente della propria quota di riserva[52], configurando una lesione qualitativa della legittima[53].

Secondo la dottrina più attenta[54], la disposizione così configurata attribuirebbe al legittimario un diritto di credito a vedersi attribuiti, alla scadenza prevista, i beni destinati, verificandosi in tal modo la degradazione del diritto alla legittima in mero diritto obbligatorio.

Di conseguenza la relativa disposizione mortis causa attributiva della legittima, benché vincolata, sarebbe da considerarsi nulla[55] tout court limitatamente al solo vincolo in trust, in virtù del citato divieto. In applicazione dell’art. 549 del cod. civ., dunque, il legittimario leso riceverebbe tutela ottenendo i beni a lui destinati dal testatore liberi da qualsiasi vincolo in trust[56].

B. Le clausole di salvaguardia

Come chiarito, la disposizione mortis causa con la quale il de cuius vincoli in trust la quota di legittima spettante al beneficiario deve intendersi nulla, con riguardo al solo vincolo, a norma dell’art. 549 cod. civ.

Tale assunto subisce, tuttavia, delle limitazioni di operatività laddove siano previsti dei meccanismi che consentano, in ogni caso, al legittimario di ottenere la propria quota di riserva senza subire il vincolo qualitativo imposto dal disponente.

L’ipotesi ricorre qualora si applichino per previsione normativa della legge regolatrice o siano presenti per espressa volontà del disponente clausole che riconoscano al beneficiario finale il diritto di pretendere immediatamente dal trustee la trust property.

La prima ipotesi si configura nel caso in cui sia lo stesso trust a riconoscere, in applicazione della legge straniera scelta dal disponente a disciplinare l’istituto[57], il diritto del beneficiario finale, maggiorenne e capace, di porre fine anticipatamente al trust chiedendo al trustee una distribuzione anticipata dei beni nel fondo[58].

La seconda ipotesi ricorre, invece, qualora il disponente abbia espressamente inserito nell’atto istitutivo clausole che obblighino il trustee a liquidare al beneficiario finale, che intenda far valere la nullità della disposizione testamentaria, la quota di legittima libera da pesi e condizioni. In virtù di tale disposizione il legittimario vedrà, pertanto, attribuirsi quanto spettante libero da pesi e il trust continuerà per il resto della durata con riguardo a quanto eventualmente residui nel fondo.

Infine, merita un’attenzione particolare la clausola di decadenza totale o parziale da un lascito testamentario per il caso in cui il beneficiario agisca in riduzione.

La giurisprudenza ha ritenuto illecita[59] la clausola che miri ad impedire l’esercizio dell’azione di riduzione da parte del legittimario[60]. Qualora il divieto sia stato formulato in termini di condizione risolutiva, l’accertamento dell’illiceità comporterà nel caso di trust testamentario l’applicazione della regola sabiniana di cui all’art. 634 del codice civile in virtù della quale la nullità della disposizione accessoria (condizione) farà comunque salva la disposizione principale (lascito).

Per non incorrere in nullità la corretta formulazione della clausola dovrà prevedere che, in caso di esercizio dell’azione di riduzione, il trustee sia tenuto a trasferire al legittimario la sola quota di riserva a costui spettante libera dal vincolo in trust, con conseguente perdita della disponibile[61]

C. Il legittimario non beneficiario del trust

Infine, si vuole valutare la posizione del legittimario che non sia stato nominato beneficiario del trust e che sia stato pretermesso[62] o leso dalla successione. Nella fattispecie il legittimario è, dunque, soggetto estraneo rispetto al trust e l’attribuzione liberale patrimoniale in favore di terzi che trova titolo nell’atto di conferimento mortis causa lede quantitativamente i suoi diritti.

Il legittimario che si ritenga pretermesso o leso potrà esperire l’azione di riduzione a tutela dei propri diritti. L’atto dispositivo di beni in trust si configura, infatti, quale liberalità effettuata dal disponente nei confronti del beneficiario del fondo in trust[63]e, come tale, è soggetta ad azione di riduzione[64].

Si discute, tuttavia, su chi debba essere considerato legittimario passivo dell’azione di riduzione: l’erede-beneficiario o il trustee. L’inquadramento del trust quale disegno liberale rivolto finalisticamente al beneficiario ci induce a concludere che il trustee sia estraneo a qualsiasi pretesa del legittimario.

Legittimato passivo dell’azione di riduzione sarà, dunque, il beneficiario[65] del trust e, mediante l’esercizio dell’azione di riduzione sarà possibile per il legittimario leso rendere inefficace l’attribuzione in favore di costui consistente nel diritto di ottenere la trust property[66].

Il legislatore, infatti, stabilisce che gli atti di liberalità sono suscettibili di essere resi inoperanti, in tutto o in parte e nei limiti di quanto necessario per l’integrazione della quota di riserva, attraverso l’esercizio del diritto potestativo dell’erede legittimario di chiederne la riduzione.

Tale ricostruzione, tuttavia, non tiene conto dell’ipotesi che si verificherebbe nel caso in cui, all’apertura della successione del disponente, i beneficiari del trust non fossero ancora individuati ovvero non fossero titolari di un diritto attuale[67]. Al riguardo taluna dottrina[68] ha ipotizzato che, nel caso di specie, soggetto passivo dell’azione di riduzione debba essere il trustee[69].

Al contrario, altra autorevole dottrina[70] ha ritenuto in passato che la tutela del legittimario non beneficiario del trust possa passare attraverso l’articolo 13[71] della Convezione e sia quindi soggetta a nullità (o inefficacia[72], secondo una più recente interpretazione della medesima norma), ogniqualvolta detto legittimario non fosse in grado di esperire l’azione di riduzione.

Diversi sarebbero, inoltre, gli effetti derivanti dall’esercizio di una o dell’altra azione da parte del legittimario. L’esercizio dell’azione di riduzione, infatti, determinerebbe esclusivamente l’inefficacia della singola disposizione lesiva nei confronti del legittimario, nei limiti necessari alla reintegrazione della quota, mentre al contrario l’azione di nullità ai sensi dell’art. 13 della Convenzione potrebbe incidere sull’intero atto dispositivo impugnato, compreso l’atto istitutivo, negandone il riconoscimento[73].

A sostegno della tesi dell’esperibilità dell’azione di riduzione attenta dottrina[74] ricorda che la nullità del trust, in applicazione dell’art. 13, comporterebbe il mancato rispetto del principio di salvaguardia della volontà testamentaria vigente nel nostro ordinamento, inteso come conservazione della disposizione testamentaria.

Inoltre, sempre a sostegno della tesi della riduzione deve essere ricordato che, secondo i principi generali vigenti nell’ordinamento italiano, una disposizione quantitativamente lesiva della quota di riserva non è invalida, ma diventa inefficace solo in seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione[75].

6. Conclusioni

In conclusione, il trust inter vivos con effetti post mortem e il trust testamentario rappresentano, con gli opportuni accorgimenti, validi strumenti di pianificazione patrimoniale, con la caratteristica di consentire al disponente massima libertà, fino al momento in cui venga a mancare, in ordine ai beni da destinarvi e, nel caso di trust testamentario, anche in ordine alla regolamentazione dell’istituto.



[1] Ne parla in tal senso M. Lupoi, La metabolizzazione del trust, in Corriere Giur., 2017, 6, p. 781.

[2] Sono noti, infatti, i dubbi che per lungo tempo sono stati avanzati dalla dottrina sulla natura giuridica della proprietà del trustee e le difficoltà legate all’eccezione al principio di universalità della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.

[3] Il fondo in trust realizza un’eccezione rispetto al principio generale di responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.

[4] Ed anche rispetto al patrimonio del trustee e dei beneficiari.

[5] Il trust viene infatti definito come strumento giuridico destinatorio che permette la realizzazione nel tempo di un progetto programmatico di pianificazione patrimoniale e che, in quanto tale, si distingue dai semplici strumenti di attribuzione/anticipazione del patrimonio, quali ad esempio donazione e testamento. Per una chiara analisi della classificazione: V. Cicconardi, Capitalismo familiare e sua pianificazione successoria, in Rivista del diritto dell’impresa, 2019,1, p.192.

[6] Così C. Romano, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 6, p. 593, per indicare il trust istituito con atto inter vivos i cui beni siano trasferiti nel fondo solo con disposizioni mortis causa.

[7] Cfr. art. 6 della Convenzione.

[8] Ai sensi dell’art. 8 della Convenzione.

[9] La giurisprudenza è concorde nell’affermare che i trust non si sottraggono ad una valutazione della causa, intesa quale causa concreta, alla luce dei principi dell’ordinamento italiano e sotto il profilo del perseguimento di interessi meritevoli di tutela. L’atto istitutivo di trust, quale atto unilaterale atipico, è dunque soggetto al giudizio di liceità e meritevolezza in applicazione di quanto disposto dall’art. 1324 cod. civ.

[10] Ipotesi che ricorre sia in caso di trust istituito direttamente a mezzo di testamento, sia in caso di trust istituito con atto inter vivos, ma il cui atto dispositivo sia effettuato a mezzo di testamento; in tal senso C. Romano, op. cit., pag. 593.

[11] Gli ordinamenti di common law, come l’Inghilterra, non disciplinano infatti l’istituto della legittima.

[12] I legittimari sono definiti dal legislatore italiano all’art. 536, comma 2, cod. civ.: “Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti.”.

[13] Si fa riferimento al c.d. principio della prevalenza della lex fori. La Convenzione stessa avrebbe, dunque, previsto un sistema di limiti al riconoscimento dei trust fondato su due differenti livelli applicativi, di cui il primo livello sarebbe rappresentato dagli artt. 15, 16 e 18 e implicherebbe una valutazione circa l’eventuale contrasto del trust con le regole imperative indicate dalla lex fori, le norme di applicazione necessaria e l’ordine pubblico; in tal senso A. Gallarati, L’articolo 13 della Convenzione de l’Aja sui trusts: competizione tra modelli e “inefficacia” dei trust ripugnanti, in Rivista di Diritto Civile, 6, 2015, p. 1491.

[14] È bene ricordare che la successione necessaria si apre solo in seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione; secondo la dottrina prevalente, infatti, se il de cuius istituisce un legittimario nella quota di riserva si avrà successione testamentaria e non legittima (necessaria), in tal senso G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Milano, 2009 p. 404.

[15] L’applicazione dell’art. 15 della Convenzione limita gli effetti della legge regolatrice scelta dal disponente in via indiretta, comportando l’applicazione di norme e sanzioni della lex fori, il Giudice dovrà dunque far riferimento alle norme interne inderogabili e disporre la sanzione dalle stesse previste in caso di violazione delle medesime. Deve essere ricordato che, in ogni caso, il comma 2 del medesimo articolo consente al Giudice di recuperare gli effetti eliminati dall’applicazione delle norme imperative della lex fori stabilendo che il potrà realizzare gli obiettivi del trust mediante l’utilizzo di altri mezzi giuridici.

[16] Tale principio è disciplinato dall’art. 457, comma 3, cod. civ. in forza del quale le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari.

[17] Si deve parlare di due negozi distinti anche nel caso in cui atto istitutivo e atto dispositivo siano contenuti nel medesimo documento.

[18] L’art. 4 della Convezione dispone che: “La Convenzione non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee”.

[19] L’art. 679 cod. civ. dispone infatti che: “Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie: ogni clausola o condizione contraria non ha effetto.

[20] Ciò comporta ad esempio che, qualora il disponente sia coniugato in regime di comunione i beni, e salvo i beni non siano beni personali ai sensi dell’art. 179 cod. civ., gli acquisti compiuti anche separatamente durante il matrimonio cadano in comunione.

[21] Per effetto segregativo si intende quel fenomeno in forza del quale posizioni giuridiche attive, pur appartenendo ad un soggetto (trustee), rimangono distinte dal residuo patrimonio e non sono esposte alle vicende obbligatorie generali di quel soggetto; le posizioni giuridiche oggetto di trust costituiscono una massa separata rispetto al restante patrimonio del trustee, così C. Romano, op. cit.

[22] È da notare come lo strumento, così congegnato, sia idoneo a scongiurare i rischi di un eventuale passaggio generazionale di ricchezza produttiva. In tal senso C. Romano, op. cit., il quale sottolinea come tale trust consenta ad esempio di scongiurare il rischio che, con la morte del disponente, si crei una vacatio nella gestione aziendale e una frammentazione proprietaria tra gli eredi.

[23] Il riferimento è al divieto di cui all’art. 458 cod. civ.

[24] Sul tema D. Zanchi, Trust testamentario, in Petrelli (cur.), Formulario notarile commentato, diretto da G. Bonilini, VII, I, Milano, 2011, p. 56 e ss.

[25] L’art. 2 dispone che: “Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente –con atto tra vivi o mortis causa- qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.”

[26] Il riferimento è all’art. 679 cod. civ. Tale effetto, invece, non si produce nell’ipotesi di trust istituito inter vivos che presenti il carattere dell’irrevocabilità ovvero in cui il disponente si sia riservato solo il potere di modificare alcune disposizioni.

[27] Non si esclude, inoltre, la previsione della modificabilità dell’atto istitutivo da parte di un soggetto diverso dal disponente dopo la morte di costui, come ad es. il trustee, ipotesi che prescinde dalla costituzione di un trust inter vivos o mortis causa.

[28] Stante il principio di uguaglianza delle forme testamentarie che vige nel nostro ordinamento, un testamento pubblico può essere revocato o modificato anche per mezzo di un successivo testamento olografo.

[29] Il riferimento è all’art. 700 e ss. cod. civ. La ragione del confronto nasce dal fatto che per entrambi gli istituti si può parlare di ufficio di diritto privato con connotazioni fiduciarie nato per volontà del testatore. Vi è poi dottrina che sottolinea la molteplicità di elementi di contatto tra i due istituti, in tal senso M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2016, p. 334.

[30] Prorogabile, per motivi di evidente necessità, per un altro anno, ex art. 703, comma 3 cod. civ.

[31] A norma dell’art. 703, comma 2 cod. civ. il testatore può, infatti, escluderla.

[32] Spetta, infatti, agli eredi il possesso di diritto dei beni e il potere di disposizione, mentre l’esecutore ha il solo potere di amministrazione finalizzato all’esecuzione delle disposizioni testamentarie attraverso il possesso di fatto. Sul punto vedi G. Capozzi, Successioni e donazioni, II, op. cit., p. 1082.

[33] Fatti salvi gli atti di straordinaria amministrazione espressamente previsti dal testatore. L’autorizzazione al compimento degli atti di straordinaria amministrazione sarà richiesta al giudice delle successioni di cui all’art. 747 del cod. proc. civ.

[34] Parte della dottrina sostiene che il trust testamentario possa entrare in conflitto con il divieto di patti successori nell’ipotesi in cui l’accettazione del trustee intervenga già durante la vita del disponente, prima dell’istituzione stessa del trust.

[35] Nei Paesi di common law come l’Inghilterra la successione ereditaria non è mai diretta, ma i beni vengono trasferiti ad un personal representative il quale provvede a liquidare le passività dell’eredità e a trasferire poi all’erede l’eventuale residuo attivo; il fenomeno si qualifica come una fattispecie di titolarità strumentale di diritti del tutto simile al trust.

[36] Secondo parte della dottrina la delazione sospesa al beneficiario finale configurerebbe una fattispecie obbligatoria e per la precisione un legato avente ad oggetto un’attività negoziale unilaterale.

[37] Diverso è, invece, il profilo tributario della fattispecie. Applicando, infatti, quanto sancito dall’Amministrazione Tributaria (vedi AE circolare n. 48/E del 2007) nell’ipotesi di beneficiari finali determinati si applicherebbe l’imposta di successione avuto riguardo al rapporto intercorrente tra disponente e singolo beneficiario finale al momento del trasferimento dei beni nel fondo in trust; contra AE risposta ad interpello n. 106/2021 e, tra le altre, Cass. n. 19319 del 18.07.2019; e Cass. n. 15468 del 26.10.2018. L’agenzia delle Entrate ha confermato il proprio orientamento recentemente (risp. n. 371 del 10 settembre 2019) in merito a un trust testamentario australiano, in cui l’unico collegamento con l’Italia era dato dai beni ivi esistenti, ovvero un appartamento e dei titoli, ritenendo tali beni imponibili ai fini dell’imposta di successione al momento della morte del de cuius.

[38] Così C. Romano, op.cit.

[39] In tema di dichiarazione di successione, sembrerebbe verosimile che la dichiarazione, il cui fine è quello di assolvimento dell’imposta, debba essere presentata dai beneficiari del fondo in trust quali legatari del de cuius. Infatti, ai sensi dell’art. 5 e 28 del D.lgs. 346/1990, il trustee non rientra tra i soggetti passivi dell’imposta, né nel novero dei soggetti tenuti a presentare la dichiarazione, salvo includerlo lato sensu fra gli amministratori di eredità. Tuttavia, le istruzioni al modello di dichiarazione dell’AE menzionano esplicitamente il trustee fra i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione, con la conseguenza che dovranno essere inseriti i dati dei beneficiari finali, indicando il grado di parentela con il de cuius. In tal senso, si è espressa anche la commissione tributaria provinciale di Treviso del 22 febbraio 2016 affermando che “il trustee di un trust testamentario non può essere considerato erede del disponente defunto, ma solo amministratore del patrimonio segregato in trust che è una massa distinta”.

[40] In tal senso E. Corso, Il caso di un trust testamentario e le implicazioni di diritto tavolare, in Trust e attività fiduciarie, 2000, p. 277, dalla tesi ne conseguirebbe che il dante causa del beneficiario finale non è il de cuius, mediante atto mortis causa, bensì il trustee per atto inter vivos. Ne discenderebbe, inoltre, che legittimato passivo dell’azione di riduzione del legittimario sarebbe il trustee in quanto erede. La tesi non è molto discussa in dottrina ritenendosi che mai il trustee, che non si arricchisce a seguito della disposizione testamentaria, possa assumere la qualifica di erede che dovrebbe pertanto competere unicamente ai beneficiari.

[41] Così S. Bartoli, La natura dell’attribuzione mortis causa al trustee di un trust testamentario. I Parte, in Trust e attività fiduciarie, 2004, p.58 3 ss.

[42] Così C. Romano, op. cit.

[43] Così U. Stefini, Destinazione patrimoniale e testamento, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2019, 4, p. 832.

[44] Si dirà meglio in seguito, così G. Capozzi, op. cit., p. 477.

[45] I pesi e le condizioni apposti sulla legittima sono nulli di diritto e, quindi, il legittimario può semplicemente limitarsi a non tenerne conto, salvo rifiutare la richiesta di esecuzione dell’obbligazione impostagli dal de cuius, G. Capozzi, op. cit., p. 480. La nullità dei pesi e delle condizioni non importa, poi, nullità dell’intera disposizione a favore del legittimario, applicandosi in via analogica la c.d. regula sabiniana prevista dall’art. 634 cod. civ. in virtù della quale la nullità della disposizione accessoria non comporta nullità della disposizione principale.

[46] In seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, poi, tramite l’azione di restituzione, il legittimario potrà agire, ove necessario, contro coloro che avevano beneficiato delle disposizioni ridotte, al fine di ottenere la restituzione dei beni che essi avevano ricevuto dal donante.

[47] Con il termine si intende sia una lesione qualitativa, che una lesione quantitativa della quota di legittima.

[48] In tal senso anche M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, op. cit., p. 309 il quale sostiene che, quando il compito affidato al trustee comporta il verificarsi di una liberalità (indiretta) verso i beneficiari del trust, un legittimario leso può esperire l’azione di riduzione avverso i negozi dispositivi. Trib. Lucca 23 settembre 1997; App. Firenze 9 agosto 2001; Trib. Venezia 4 gennaio 2005.

[49] Deve essere sottolineato, tuttavia, che l’arricchimento del beneficiario potrà prodursi solo in un momento successivo, coincidente con il diritto del beneficiario di ottenere in concreto determinati vantaggi sul fondo in trust.

[50] Deve essere riferito sia all’ipotesi in cui il legittimario sia beneficiario nel corso della durata del trust, di reddito o di capitale, ovvero sia beneficiario del fondo in trust al termine finale della durata.

[51] Salvo siano previsti, nell’atto istitutivo, poteri di anticipazioni o il potere del trustee di porre fine anticipatamente al trust su richiesta del beneficiario.

[52] Alcuna dottrina notarile (C. Romano, op. cit.) sottolinea, inoltre, che tale divieto sarebbe superabile nella misura in cui il trust avesse una funzione divisionale del patrimonio. Infatti, l’art. 549 cod. civ. fa salva l’ipotesi in cui i pesi o le condizioni siano volti ad una divisione dell’eredità (art. 713 cod. civ. e ss.). Il divieto sarebbe arginato, inoltre, nell’ipotesi in cui il disponente avesse attribuito i beni vincolati in trust al beneficiario a titolo di legato in sostituzione di legittima ex art. 551 cod. civ.

[53] Nel caso di specie si deve parlare di lesione qualitativa e non quantitativa della legittima. Il vincolo in trust rappresenta, infatti, un peso sulla quota di riserva, non incidendo sul quantum della stessa.

[54] Così C. Romano, op. cit.

[55] Secondo R. Franco, Trust testamentario e liberalità non donative: spiragli sistematici per una vicenda delicata, in Riv. Notariato, 2009, 6, p.1449 e ss., in tale ipotesi ricorrerebbe la sanzione dell’inefficacia e non della nullità della disposizione lesiva. Secondo invece M. Lupoi, Lettera ad un notaio conoscitore di trust, in Riv. Notariato, 2001, p. 1163, il ricorso all’art. 549 cod. civ., come all’azione di riduzione, costituirebbe strumento poco adeguato ad apprestare tutela al legittimario. Propone, invece, che debba essere applicato quanto dettato dall’art. 13 della Convenzione in forza del quale il trust che viola i diritti dei legittimari non dovrà essere riconosciuto nell’ordinamento italiano e, più precisamente, la disposizione in favore del trustee sarà da considerarsi nulla per mancanza di causa.

[56] Contra Trib. Lucca, 23 settembre 1997, confermato App. Firenze 9 agosto 2001, che dichiara la validità di un trust testamentario lesivo della quota di legittima affermando che la lesione si impugna con l’azione di riduzione e non con l’azione di nullità. Il Tribunale sostiene che in tali casi non sia ravvisabile una nullità della disposizione per contrarietà all’ordine pubblico, in quanto l’applicazione dell’art. 15 della Convenzione consentirebbe esclusivamente il ricorso alle norme dell’ordinamento interno strumentali alla tutela dei diritti dei legittimari. Deve essere chiarito però che l’art. 549 cod. civ. è considerato quale strumento a tutela dei diritti dei legittimari, a differenza della nullità generica per contrarietà all’ordine pubblico che intende far valere nel caso esaminato dal tribunale parte attrice.

[57] Si tratta della cd. clausola Sanders v Vautier, che prende il nome da un caso giurisprudenziale inglese del 1841, applicabile ad esempio ad un trust che sia retto dalla Trust Jersey Law.

[58] Cfr. sul punto S. Bartoli, in S. Bartoli – D. Mauritano – C. Romano, Trust e atto di destinazione nelle successioni e donazioni, Milano, 2014, p. 261.

[59] Si tende ad affermare che la clausola è illecita o meno a seconda che essa miri ad impedire, rispettivamente, azioni giudiziarie a contenuto pubblicistico ovvero a contenuto privatistico.

[60] Cfr. Cass. 29 aprile 1931; Trib. Reggio Calabria 30 maggio 1977. Appare opportuno evidenziare che in casi del genere la clausola che vieta l’impugnazione è illecita anche perché, avendo natura di peso o di condizione sulla quota di legittima, viola l’art. 549 cod. civ.

[61] Cfr. Cass. 2 gennaio 1997, n. 1 che ha ritenuto lecita la condizione risolutiva che vieti al legittimario l’impugnazione del testamento o di una parte di esso a pena della perdita della sola disponibile.

[62] Ovvero non abbia ricevuto la quota di legittima neanche mediante altra disposizione mortis causa ovvero mediante atto a titolo liberale inter vivos.

[63] L’intento liberale del trust deve essere assunto alla luce delle clausole dell’atto istitutivo del trust e, in particolare, delle finalità per cui è stato istituito. Quanto affermato è ormai pacifico nell’ipotesi di atto dispositivo inter vivos, nel caso di atto dispositivo mortis causa la difficoltà di inquadramento nasce dal fatto che l’attribuzione al beneficiario finale viene effettuata dal trustee che non è il de cuius. Il beneficiario finale sembrerebbe, dunque, essere avente causa dal trustee.

[64] In tal senso Trib. Venezia, Sez. pen., 4 gennaio 2005, dichiara la legittimità dei trust interni, precisando che il legittimario che si affermi leso dal trust deve agire con l’azione di riduzione e soggetto passivo dell’azione è il beneficiario del trust. Il caso sottoposto alla corte fa riferimento ad un’ipotesi in cui il beneficiario aveva già maturato il diritto alla distribuzione.

[65] Così M. Romano, op. cit.; contra G. De Nova, I trust, la collazione e la tutela dei legittimari, Relazione al Congresso Nazionale dell’Associazione “Il Trust in Italia” tenutosi a Milano nel 2002, §2.

[66] Deve, inoltre, essere valutato quale sia l’oggetto della riduzione, laddove in virtù dell’effetto surrogatorio, non vi sia coincidenza tra i beni conferiti nel fondo in trust dal disponente e quanto effettivamente attribuito al beneficiario.

[67] Ipotesi che ricorre nel caso di trust discrezionale.

[68] G. De Nova, I trust, la collazione e la tutela dei legittimari, Relazione al congresso nazionale dell’associazione «Il trust in Italia», reperibile sul sito www.il-trust-in-Italia.it.

[69] Deve essere chiarito che il trustee non può in ogni caso essere considerato donatario, ma è l’unico soggetto nei cui confronti si è prodotto un incremento patrimoniale in conseguenza del trust, anche se a termine.

[70] M. Lupoi, Lettera a un notaio conoscitore di trusts, op. cit.

[71] Per riconoscimento si intende l’applicazione nel foro della legge straniera che regola il trust; così M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, op. cit., p. 261. L’art. 13 della Convenzione attribuirebbe ai Giudici il potere di disconoscere un trust interno i cui effetti, pur sfuggendo alle previsioni degli artt. 15, 16 e 18 della Convenzione, siano in ogni caso valutati come ripugnanti; per una chiara disamina della materia A. Gallarati, op. cit. Secondo l’autore la possibilità di ricorrere alla tutela apprestata dall’art. 13 della Convenzione è giustificata soltanto laddove il trust sia impiegato per sottrarre alle regole di conflitto del foro la situazione che governa, in modo tale da creare effetti ripugnanti per l’ordinamento in cui deve essere riconosciuto. Questi effetti si concretizzerebbero in un pregiudizio allocato a terzi, i cui diritti risultano sacrificati in virtù di meccanismi innescati dal trust, senza che dal punto di vista tecnico possano essere invocate limitazioni alla legge applicabile.

[72] Secondo A. Gallarati, op. cit., sul punto non si dovrebbe parlare di nullità del trust ma più propriamente di inefficacia e inesistenza. L’autore si sofferma sulle diverse conseguenze derivanti dalla sanzione della nullità ovvero da quella dell’inefficacia dell’atto istitutivo e dispositivo del trust notando come, tra gli altri, nel caso di inefficacia sarebbe applicabile il regime della convalidata mediante il quale il disponente potrebbe ravvedersi del contenuto dell’atto istitutivo, rimuovendo gli effetti ripugnanti e rendendo lo strumento riconoscibile.

[73] Inoltre, deve essere osservato che l’azione di nullità, a differenza dell’azione di riduzione esperibile solo dal legittimario e dai suoi eredi e soggetta a prescrizione, può essere esperita da chiunque vi abbia interesse e non è soggetta a prescrizione.

[74] M. Romano, op. cit.

[75] Secondo C. Romano, op. cit., la sanzione della nullità, anticipando la reazione dell’ordinamento, sembrerebbe non in linea con il sistema successorio. Non appare, inoltre, congruo che il legittimario leso da un trust abbia tutela diversa e maggiore rispetto ad un legittimario leso da qualsiasi altra disposizione.

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