WEBINAR / 21 Novembre
Il pignoramento esattoriale dei rapporti bancari


Obblighi delle banche e problematiche operative

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 31/10


WEBINAR / 21 Novembre
Il pignoramento esattoriale dei rapporti bancari
www.dirittobancario.it
Attualità

Trust, la sorte dell’imposta sulle donazioni già pagata

9 Novembre 2022

Andrea Vasapolli, Vasapolli & Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema della sorte dell’imposta sulle donazioni assolta “all’ingresso” a fronte di trust istituiti prima del mutamento interpretativo adottato dall’Agenzia delle Entrate con Circolare 20 ottobre 2022 n. 34.

Di trust e imposta sulle donazioni parleremo nel webinar del prossimo 13 Dicembre sulla nuova fiscalità dei trust alla luce della Circolare n. 34.


Con l’emanazione della circolare 20 ottobre 2022 n. 34 l’Agenzia delle Entrate ha definitivamente abbandonato il precedente orientamento della c.d. “tassazione all’entrata”[1] dei trust e, prendendo atto dell’ormai consolidata interpretazione della Corte di Cassazione in materia ha aderito alla diversa interpretazione della c.d. “tassazione all’uscita”[2] degli atti gratuiti che sottostanno all’istituzione di un trust liberale.

Si pone quindi il problema degli atti di dotazione patrimoniale dei trust posti in essere prima del cambiamento di orientamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per i quali è stata assolta l’imposta sulle successioni e donazioni in ossequio alla interpretazione della c.d. “tassazione all’entrata” in passato sostenuta dall’Agenzia.

Si tratta, in particolare, di pagamenti:

  • effettuati dal trust[3] o dal trustee[4], quindi da soggetti diversi da coloro (i beneficiari) che saranno i futuri soggetti passivi dell’imposta;
  • in assenza del presupposto impositivo, in quanto il presupposto oggettivo dell’imposta si realizzerà solo con gli atti di trasferimento del fondo in trust dal trustee ai beneficiari.

La problematica relativa all’imposta sulle donazioni dei trust è stata affrontata in modo pragmatico, anche se non del tutto convincente, dall’Agenzia delle Entrate con la menzionata circ. n. 34/2022 (§ 4.4.5), con una interpretazione incentrata sul principio dell’affidamento volta a superare i limiti posti dalla normativa specificamente applicabile per il rimborso di pagamenti indebiti[5].

Secondo l’Agenzia, in particolare, “tenuto conto dell’affidamento dei contribuenti che, adeguandosi alla precedente prassi amministrativa, abbiano liquidato e versato imposte al momento della costituzione o del conferimento di beni o diritti al trust, si ritiene che i predetti versamenti possano essere considerati a titolo definitivo, senza necessità di effettuare ulteriori liquidazioni all’atto di successive attribuzioni a favore del beneficiario. Tale “esaurimento” della fattispecie vale a condizione che dette attribuzioni abbiano ad oggetto:

  1. i medesimi beneficiari;
  2. i medesimi beni e diritti sulla base dei quali è stata effettuata la liquidazione e il versamento delle relative imposte in sede di costituzione del trust o di dotazione dei beni o diritti allo stesso”.

Nel caso in cui l’imposta dovuta all’attribuzione al beneficiario fosse minore di quella assolta all’atto di trasferimento del bene al trustee (ad esempio perché si è ridotto il valore del bene) non è possibile richiedere il rimborso dell’eccedenza, in quanto non si procede alla riliquidazione dell’imposta.

Sempre secondo l’Agenzia, inoltre, “laddove l’attribuzione successiva avvenisse nei confronti di un beneficiario diverso ovvero avesse ad oggetto beni o diritti diversi da quelli conferiti e tassati, non si configurerebbe una fattispecie di “rapporto esaurito”. Resta tuttavia ferma, in tali casi, la possibilità di considerare le imposte già versate in sede di apporto al trust, a scomputo dell’eventuale imposta dovuta al momento della futura attribuzione”.

È il caso, ad esempio, in cui il trustee, che aveva ricevuto un certo immobile, lo abbia venduto per comprarne un altro che meglio rispondeva alle mutate esigenze abitative dei beneficiari, ovvero il caso in cui al trustee siano stati trasferiti titoli oggetto di successiva compra-vendita.

Nel caso del denaro invece, bene fungibile per eccellenza, ipotizzando il caso in cui lo stesso sia stato in origine apportato in trust dal disponente, poi sia stato investito dal trustee durante la gestione del trust e che infine venga attribuito ai beneficiari dopo il realizzo degli investimenti,  riteniamo che tale investimento del denaro nella fase intermedia non faccia venire meno l’invarianza dei beni conferiti (denaro) e poi attribuiti (sempre denaro) ai beneficiari, che è pretesa nell’interpretazione fornita dall’Agenzia per considerare il rapporto “esaurito”.

È da accogliere favorevolmente il tentativo dell’Agenzia delle Entrate la quale, applicando in modo estensivo il principio del legittimo affidamento, cerca di non penalizzare coloro che avevano fatto assegnamento sui precedenti pronunciamenti di prassi o che comunque erano stati obbligati ad assolvere l’imposizione all’ “entrata” a seguito di accertamenti. Le modalità con le quali tale principio è stato declinato lasciano tuttavia perplessi e saranno foriere di un significativo contenzioso. Ad esempio, quella della invarianza del patrimonio in origine trasferito al trust e poi assegnato ai beneficiari è una condizione della quale non si comprendono le ragioni, anche considerando che nel previgente regime della “tassazione all’entrata” l’Agenzia delle Entrate chiaramente sosteneva che una volta assolto il gravame impositivo sul trasferimento del patrimonio al trustee erano fiscalmente irrilevanti le variazioni che fossero successivamente avvenute a detto patrimonio per effetto della sua gestione.

Particolarmente da apprezzare è anche il riconoscimento della facoltà di compensare dalle imposte in futuro dovute dai beneficiari quanto all’ “entrata” assolto da un soggetto diverso (il trust o il trustee a seconda dei casi), che in quel momento veniva considerato il debitore dell’imposta. Ciò anche in considerazione del fatto che se tale compensabilità non fosse stata riconosciuta (o meglio, concessa ultra legem) dall’Agenzia delle Entrate, per i pagamenti all’ “entrata” rivelatisi indebiti trovavano applicazione le disposizioni di cui all’art. 42, c. 2, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, secondo cui il rimborso “deve essere richiesto a pena di decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”.

Inoltre, sempre secondo l’Agenzia, “non si configura un fenomeno di “rapporto esaurito” nel caso in cui il contribuente decida di non avvalersi degli effetti derivanti dall’esaurimento del rapporto e presenti istanza di rimborso, in presenza dei presupposti, nei termini previsti dall’articolo 60 del d.lgs. n. 346 del 1990 decorrenti dal versamento”.

L’Agenzia delle Entrate non affronta il caso in cui in sede di “tassazione all’entrata” siano state rese dichiarazioni di utilizzo delle franchigie previste dall’art. 2, c. 47 e 49, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262. Riteniamo evidente che nei casi in cui tale rapporto non possa considerarsi “esaurito” e che quindi spetti solo il diritto di compensare dalle future imposte quanto già pagato all’ “entrata”, le dichiarazioni che siano state rese di utilizzo delle franchigie devono intendersi prive di ogni effetto. Poiché, infatti, non sussisteva il presupposto oggettivo che legittimasse l’imposizione, non sussistevano neanche le condizioni che legittimavano l’utilizzo (e quindi il consumo) delle franchigie. Per quanto riguarda l’operatività professionale, si ritiene che possa essere utile formalizzare un atto notarile rettificativo del precedente, dal quale fare risultare che, a fronte del definitivo riconoscimento della erroneità delle precedenti interpretazioni in merito all’individuazione del momento impositivo, le dichiarazioni di utilizzo delle franchigie precedentemente rese sono prive di ogni effetto.

Non si pone, con riferimento alla irrilevanza delle dichiarazioni rese in passato in merito all’utilizzo delle franchigie, un problema di decadenza dal diritto di fare constare che sono prive di effetto. Prive di effetto, analogamente, sono le dichiarazioni che siano state rese dal trustee ai sensi dell’art. 3, c. 4-ter, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, di impegno a detenere le partecipazioni ad esso trasferite per un periodo non inferiore a cinque anni.

L’Agenzia delle Entrate, infine, sempre nella circ. n. 34/2022, § 4.4.5, afferma che “qualora l’atto di attribuzione di beni al beneficiario dia luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta rispetto a quella assolta precedentemente, il trustee dovrà presentare apposita denuncia, come previsto dall’articolo 19 del d.P.R. n. 131 del 1986”. Tale art. 19, c. 1, prevede che “l’avveramento della condizione sospensiva apposta ad un atto, l’esecuzione di tale atto prima dell’avveramento della condizione e il verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano luogo ad ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro trenta giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all’ufficio che ha registrato l’atto al quale si riferiscono”.

Tale interpretazione sembra essere ispirata ad un solitario precedente giurisprudenziale rappresentato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 19310 del 18 luglio 2019, nella quale dopo avere richiamato il disposto dell’art. 58 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, secondo il quale “Per le donazioni soggette a condizione si applicano le disposizioni relative all’imposta di registro”, e il disposto del primo comma dell’art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prima citato, è stato affermato che “per quanto l’effetto traslativo in favore dei beneficiari non renda necessaria la stipula di un apposito atto (verificandosi il più delle volte automaticamente), gli stessi beneficiari sono tenuti a denunciare tempestivamente il verificarsi dell’evento indicato nel negozio costitutivo del trust all’ufficio che lo ha registrato. In quella sede l’Agenzia sarà posta nelle condizioni di sottoporre ad eventuale tassazione maggiorata la complessiva operazione posta in essere”.

Si ritiene tale interpretazione non condivisibile. Come è stato osservato[6], “il beneficiario di un trust non ha un diritto di conseguire il bene neanche nel caso della massima spettanza equitativa, quella del beneficiario di un bare trust”. Prendendo poi in esame, dopo la massima, “la minima spettanza equitativa, quella del beneficiario di un trust totalmente discrezionale, (…) il beneficiario è titolare solo di diritti equitativi strumentali: non è certo possibile aggiungere ad essi, in totale contraddizione della struttura dei trust discrezionali, un diritto «reale»”.

Quello dei beneficiari è quindi un diritto di natura obbligatoria e non reale[7], la posizione giuridica dei beneficiari, proprietari equitativi del fondo in trust, è quella di creditori del trustee[8] e “non appare possibile congegnare la proprietà del trustee o del gestore in carica alla cessazione del trust o dell’atto di destinazione come sottoposta a termine finale o a condizione risolutiva: ciò infatti postula, correlativamente, la ricostruzione del diritto dei beneficiari finali come proprietà sottoposta a termine iniziale o condizione sospensiva, in aperto conflitto con l’assunto che il diritto di costoro abbia, in realtà, natura obbligatoria”[9].

Si ritiene, quindi, che le attribuzioni dal trustee ai beneficiari non siano inquadrabili nella fattispecie dell’avveramento della condizione sospensiva, per il che non trova applicazione il disposto dell’art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e nessun obbligo grava in tal senso in capo al trustee o ai beneficiari.

 

[1] Secondo il precedente, ed oramai superato, orientamento dell’Agenzia delle Entrate (Circ. 6 agosto 2007, n. 48/E e circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E) gli atti dispositivi con i quali il disponente vincolava i beni in trust dovevano essere considerati atti gratuiti che rientravano tra i vincoli di destinazione nell’interesse dei beneficiari, per cui dovevano essere assoggettati a imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale avendo riguardo al rapporto intercorrente tra il disponente ed i beneficiari al momento della costituzione del vincolo. Secondo tale precedente orientamento la costituzione del vincolo di destinazione accompagnata dal trasferimento di beni rappresentava quindi una fattispecie impositiva autonoma ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Il successivo trasferimento del fondo in trust ai beneficiari non realizzava, ai fini dell’imposta sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore, anche se il fondo in trust si era nel frattempo incrementato per effetto della sua gestione.

[2] Secondo la quale il fatto che manchi nel disponente lo spirito di liberalità (animus donandi) nei confronti del trustee, nonché il fatto che il trustee non si arricchisce per il trasferimento di beni a suo favore in tale funzione (tale trasferimento, quindi, non esprime alcuna capacità contributiva), impedisce che l’atto di trasferimento di beni dal disponente al trustee (con beneficiari non vested) possa essere assoggettato ad imposta sulle successioni e donazioni, avendo invece rilievo a tal fine i successivi atti di disposizione patrimoniale del trustee a favore dei beneficiari. Ne consegue che l’atto segregativo dei beni in trust, in quanto atto fiscalmente neutro, deve essere assoggettato solo ad imposta di registro in misura fissa.

[3] Coerentemente con quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate in merito alla soggettività passiva del trust ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.

[4] Secondo una diffusa prassi professionale.

[5] Per un approfondimento del quadro normativo di riferimento, si rinvia a A. Vasapolli, B. Valas, Trust liberali e tassazione all’uscita: brevi note sui profili fiscali, in Norme e tributi mese, settembre 2019, p. 77.

[6] M. Lupoi, Trusts, Giuffrè Editore, 2001, pp. 298-299.

[7] M. Lupoi, Trusts, cit, pp. 291 e ss.

[8] M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, terza edizione, Cedam, p. 131.

[9] S. Bartoli, D. Mauritano, Dal trust all’atto di destinazione patrimoniale. il lungo cammino di un’idea, a cura di Mirzia Bianza e Alessandro de Donato (N. II/2013), cap. XVII, Le clausole di attuazione del vincolo, Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, e-library.

Di cosa si parla in questo articolo
Vuoi leggere la versione PDF?

WEBINAR / 21 Novembre
Il pignoramento esattoriale dei rapporti bancari


Obblighi delle banche e problematiche operative

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 31/10

La Newsletter professionale DB
Giornaliera e personalizzabile
Iscriviti alla nostra Newsletter