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Trusts esteri alla prova del nuovo quadro RW

25 Settembre 2014

Stefano Massarotto e Giovanni Barbagelata, Studio Tributario Associato Facchini Rossi & Soci

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Entro il prossimo 30 settembre, devono compilare il Quadro RW della dichiarazione dei redditi[1] non solo i contribuenti – prevalentemente persone fisiche – residenti in Italia che ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167 “detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria”, ma anche quelli che “pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano titolari effettivi dell’investimento” secondo i criteri dettati dalla normativa antiriciclaggio di cui al D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.

L’estensione degli obblighi di monitoraggio fiscale ai titolari effettivi è una novità introdotta dalla Legge Europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 97) particolarmente rilevante sul piano operativo, soprattutto con riferimento a trusts che possiedono assets fuori dai confini nazionali.

2. La nozione di titolare effettivo nel contesto di trusts ai fini antiriciclaggio

Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 18 dicembre 2013, prot. 2013/151663, richiamando la normativa antiriciclaggio, stabilisce che in caso di trusts, per titolare effettivo si intende:

  1. se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio del trust;
  2. se le persone che beneficiano del trust non sono ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituito o agisce il trust;
  3. la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio del trust.

La Circolare dell’Agenzia delle entrate del 23 dicembre 2013 n. 38/E ha innanzitutto precisato che i beneficiari di un trust sono tenuti a compilare il Quadro RW solo nella prima ipotesi; infatti:

  • con riferimento al criterio di cui al precedente numero 2),”Considerato … che la dizione “categoria di personenon consente di individuare puntualmente un soggetto tenuto all’obbligo di monitoraggio”, tali obblighi verranno assolti dal trust medesimo, ricorrendone i presupposti (e quindi, in primo luogo, se il trust è considerato residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi);
  • quanto all’ultimo criterio residuale del controllo, “Non si ritiene che la titolarità effettiva del trust possa essere attribuita al trustee posto che quest’ultimo amministra i beni segregati nel trust e ne dispone secondo il regolamento del trust o le norme di legge e non nel proprio interesse”[2].

Il primo criterio, che ai fini in parola è l’unico rilevante, è quello che, ancora oggi, suscita i maggiori dubbi ed incertezze interpretative e richiede uno specifico approfondimento.

2.1 I beneficiari determinati: diritto certo e attuale o semplice aspettativa?

Come detto, “se i futuri beneficiari sono già stati determinati” il primo criterio di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1 dell’allegato tecnico al D.Lgs. n. 231/2007, identifica il titolare effettivo, con “la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio di un’entità giuridica”.

È controverso se il beneficiario di un trust, per configurarsi quale titolare effettivo, ed essere quindi tenuto ai nuovi obblighi di monitoraggio fiscale:

  1. possa semplicemente vantare una mera aspettativa a percepire il patrimonio del trust (come lascerebbe intendere l’utilizzo dell’aggettivo “futuri”); oppure
  2. debba invece vantare un diritto certo, incondizionato ed attuale a pretendere la propria quota dei beni in trust (come parrebbe emergere dalle indicazioni ritraibili da altre legislazioni, quale la normativa antiriciclaggio inglese, secondo cui il titolare effettivo deve essere “vested… in possession” dei beni in trust).

Il tema è particolarmente delicato: l’interpretazione secondo cui gli obblighi di monitoraggio fiscale in capo al “titolare effettivo” (art. 4, primo comma, secondo periodo del D.L. n. 167/1990), debbano ricadere esclusivamente in capo a quei “beneficiari determinati” che vantino un diritto certo, incondizionato ed attuale a pretendere il “patrimonio” del trust, potrebbe restringere notevolmente la platea dei contribuenti chiamati ad adempiere l’obbligo dichiarativo in parola.

Infatti, se i beneficiari di un trust possono vantare un diritto attuale, pieno ed incondizionato, nei confronti del trustee, a pretendere il trust fund (c.d. bare trust)[3], tali situazioni potrebbero essere ricondotte, ai fini fiscali, a semplici rapporti fiduciari con l’effetto che gli obblighi di monitoraggio fiscale comunque ricadrebbero in capo ai beneficiari del trust (non già in qualità di titolari effettivi, ma bensì quali soggetti che “detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziariaex art. 4, comma 1, primo periodo del D.L. n. 167/1990).

Tuttavia, non bisogna dimenticare che la ratio delle modifiche introdotte dalla Legge Europea 2013 al monitoraggio fiscale è, tra l’altro quella di “rafforzare le attività di contrasto alle frodi internazionali attuate mediante l’illecito trasferimento e/o detenzione all’estero di attività produttive di reddito” (cfr. Circolare n. 38/E, cit.).

In questo senso, allora, potrebbe essere ragionevole un’interpretazione secondo cui gli obblighi di monitoraggio fiscale in capo al “titolare effettivo” trovino applicazione con riferimento (cfr. Circolare n. 38/E cit.):

  • a qualunque soggetto individuato (secondo una definizione più ampia di quella di “beneficiario individuato” del reddito dei trust trasparenti di cui all’art. 73 del T.U.I.R.) che possa beneficiare delle utilità del trust; e
  • non tanto alle ipotesi in cui il diritto sia attuale e certo (e dunque svincolato da qualsiasi condizione sospensiva o termine iniziale) ma a quelle ipotesi in cui tale diritto sia un semplice diritto in “potenza”[4], così da ricomprendere ipotesi che, fino ad oggi, potevano non essere soggette al presidio informativo del monitoraggio fiscale.

3. Trusts fiscalmente residenti in Italia

Con riferimento all’ipotesi di un trust fiscalmente residente in Italia, che possiede investimenti all’estero o attività estere di natura finanziaria, l’Amministrazione finanziaria[5] ha precisato che occorre sempre applicare il c.d. approccio look through con una (potenziale) duplicazione degli obblighi di monitoraggio fiscale, sia in capo al trust residente (quale ente non commerciale), sia in capo ai contribuenti residenti che si qualificano “titolari effettivi” degli assets esteri detenuti dal trust medesimo. Peraltro, proprio nel tentativo di mitigare tali adempimenti dichiarativi, è stato chiarito che gli stessi debbano essere assolti congiuntamente dal trust e dal titolare effettivo ma ciascuno per la quota di propria spettanza.

4. Trusts fiscalmente residenti fuori dall’Italia

Nel caso di trusts fiscalmente residenti fuori dal territorio italiano, che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria, gli obblighi di monitoraggio fiscale previsti per i beneficiari di trust residenti in Italia valgono per i beneficiari che si qualificano titolari effettivi.

Merita particolare attenzione, invece, la precisazione della circolare n. 38/E del 2013, secondo cui “Il beneficiario di un trust estero che non è “titolare effettivo” deve indicare nel quadro RW il valore della quota di patrimonio del trust ad esso riferibile”.

Secondo l’Agenzia delle entratevi potrebbero essere ipotesi di beneficiari di trusts esteri tenuti agli obblighi di monitoraggio fiscale non in quanto “titolari effettivi” (ex art. 4, comma 1, secondo periodo del D.L. n. 167/1990), ma bensì in qualità di soggetti residenti che “detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria”, ai sensi del primo periodo del citato art. 4.

Non è del tutto chiaro a cosa si riferisca in concreto il passaggio della Circolare, atteso che, in passato, si riteneva fossero tenuti agli obblighi di monitoraggio fiscale ex art. 4, comma 1, primo periodo del D.L. n.167/1990, esclusivamente:

  1. per i trusts trasparenti, i beneficiari individuati di reddito residenti in Italia, con riferimento all’investimento estero rappresentato dal diritto di credito (il diritto al reddito) vantato nei confronti del trust;
  2. relativamente ai trusts opachi, i beneficiari del trust, con riferimento alla disponibilità dei beni esteri presenti nel trust fund dal momento in cui tali beni fossero a lui attribuiti dal trust stesso.

In quest’ambito, ci pare che l’estensione degli obblighi di monitoraggio fiscale ai beneficiari del trust che non si configurino quali titolari effettivi ex D.Lgs. n. 231/2007, debba essere interpretata alla luce della più volte espressa ratio della norma volta alla più ampia disclosure delle disponibilità estere dei contribuenti italiani anche qualora le stesse siano detenute da trust esteri[6], potenziando, di fatto, il contrasto agli illeciti fiscali internazionali. In questo senso è auspicabile che l’Amministrazione finanziaria chiarisca che l’obbligo di compilazione del quadro RW per i beneficiari di trusts esteri non poteva – salvo i casi di cui ai sopracitati punti i) e ii) – considerarsi sussistente per i periodi di imposta antecedenti al 2013.


[1] Si ricorda brevemente che nel caso in cui il Quadro RW sia presentato entro novanta giorni dal termine ordinario per la presentazione della dichiarazione dei redditi, si applica la sanzione fissa di euro 258 (cfr. art. 5, comma 2, D.L. n. 167/1990). Oltre tale ultimo termine, la violazione è punita con la sanzione amministrativa proporzionale di cui all’art. 5, comma 1, del D.L. n. 167/1990 (dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato, dal 6% al 30% se gli investimenti sono detenuti in Stati “black list”).

[2] Se il “controllo” di un trust fosse invece riconducibile a soggetti diversi dal trustee (advisor, protector, etc…), ci si troverebbe presumibilmente innanzi a situazioni di “interposizione fittizia” del trust (con obblighi di monitoraggio fiscale direttamente in capo all’interponente).

[3] Si pensi, ad esempio, alla c.d. regola Saunders v. Vautier del diritto dei trusts inglesi (codificata in diverse leggi internazionali), in base alla quale i beneficiari di un trust, se tutti in vita e capaci, ove “absolutely entitled”, possono disporre dei beni come desiderano (a prescindere dalle restrizioni dell’atto istitutivo).

[4] Occorrerebbe comunque approfondire l’operatività di una disposizione che impone, ad un soggetto che vanti una mera aspettativa (e potrebbe non conoscere la propria posizione giuridica) di ricevere un reddito o un patrimonio dal trustee, di dover assolvere degli obblighi di monitoraggio fiscale (anche alla luce del principio generale della “relatività del contratto” e della non applicabilità di eventuali sanzioni per le cause di non punibilità previste dall’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ovvero per quelle in tema di “errore di diritto” previste dagli artt. 6, comma 2 del D.Lgs. n. 472/1997).

[5] Cfr. il Provvedimento prot. n. 2013/151663, cit..

[6] La tematica dei trusts esteri, che in taluni casi potrebbero prestarsi a utilizzi impropri, è già stata affrontata in passato dall’Amministrazione finanziaria nella circolare 61/E del 27 dicembre 2010 che ha esteso – in taluni casi oltre il dettato normativo – gli obblighi tributari, proprio nell’intento di evitare impropri risparmi d’imposta attraverso l’utilizzo di trust esteri.

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