Il presente contributo analizza le implicazioni per le ipoteche gravanti su immobili abusivi della recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di confisca edilizia e tenuta dell’ipoteca sul bene immobile confiscato.
1. Premessa
Il presente contributo si pone l’obiettivo di esaminare, senza pretese di esaustività, l’esito del giudizio di legittimità costituzionale promosso dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con ordinanza 8 gennaio 2024 e definito con la sentenza della Corte Costituzionale n. 160 pubblicata il 3 ottobre 2024 [1], approfondendo, in particolare, il percorso argomentativo seguito dal Collegio giudicante [2] per arrivare alla pronuncia di incostituzionalità di cui si discute e i parametri su cui ha fatto leva, anche al fine di meglio comprendere le ragioni che giustificano la tutela del diritto di ipoteca rispetto a provvedimenti quali la confisca edilizia, nonché, in ottica anche comparativa, rispetto ai provvedimenti ablativi di natura penale.
2. La fattispecie concreta e la promozione dell’incidente di costituzionalità
Prima di procedere con l’analisi della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale e le relative implicazioni, pare utile rappresentare brevemente la fattispecie da cui deriva la decisione della Corte di Cassazione di promuovere l’incidente di costituzionalità che ha dato il via al giudizio definito dalla pronuncia in commento.
La controversia origina da un decreto ingiuntivo ottenuto da una società dinanzi al Tribunale di Palermo nel lontano 1993 nei confronti di due debitori persone fisiche (per l’importo di Lire 222.420.647), in virtù del quale la creditrice iscriveva ipoteca giudiziale su un fondo di proprietà dei debitori e cedeva il proprio credito che, dopo vari passaggi, giungeva ad altra società di capitali.
Sul fondo ipotecato veniva edificato (da parte di soggetti estranei al creditore ipotecario) un immobile abusivo e nel 1994 il Comune di Agrigento, accertata tale circostanza, trascriveva ex art. 7 L. 47/1985, provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del fabbricato, dell’area di sedime e quella pertinenziale circostante.
Nel 2013 la società cessionaria del credito avviava l’esecuzione forzata sul terreno (nei confronti degli originari debitori) e sul fabbricato (nei confronti del Comune di Agrigento) e rinnovava l’ipoteca giudiziaria iscritta sul fondo. Nel 2017 il Giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza di vendita e dichiarava non proseguibile l’esecuzione forzata in virtù dell’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio comunale, che, secondo il Tribunale, aveva comportato l’estinzione dell’ipoteca iscritta sul fondo sul quale l’immobile era stato edificato.
Veniva quindi proposta opposizione agli atti esecutivi, rigettata dal Tribunale di Agrigento nel 2019, avverso la quale veniva presentato ricorso per Cassazione. La Sezione della Corte investita della questione riteneva che la decisione della causa implicasse la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza e rimetteva gli atti al Primo Presidente perché disponesse l’assegnazione alle Sezioni Unite [3]. Nell’ordinanza interlocutoria la Cassazione riconosceva la conformità della decisione di merito all’indirizzo ermeneutico della stessa Suprema Corte, secondo cui l’acquisizione al patrimonio comunale determina l’estinzione degli eventuali diritti di garanzia iscritti in precedenza sul bene. Tuttavia, evidenziava anche che il caso sottoposto al suo esame differisse da quelli precedenti in quanto l’ipoteca era stata iscritta sul fondo prima dell’edificazione dell’immobile abusivo e vi era, quindi, l’esigenza di tutelare il creditore ipotecario [4].
Le SS.UU. ritenevano di non dover mutare l’indirizzo ermeneutico espresso dalla Corte [5] e avallato anche dalla giurisprudenza amministrativa [6]. Sostenevano quindi che, una volta verificatasi l’acquisizione da parte dell’ente comunale, il creditore non potesse soddisfarsi sul bene ipotecato, ma potesse solo: (i) far valere il proprio diritto reale di garanzia sulla parte di terreno eccedente il decuplo dell’area di sedime; (ii) chiedere al debitore il risarcimento del danno.
La Corte rimettente non riteneva però soddisfacente la soluzione così prospettata, in quanto ravvisava un sacrificio ingiustificato dei diritti reali di garanzia preesistenti, di cui siano titolari terzi che non hanno concorso all’abuso. Veniva quindi promosso incidente di costituzionalità [7] in relazione all’art. 7, comma 3°, L. 47/1985 [8] e all’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001 per violazione degli artt. 3, 24, 42 e 117, comma 1°, della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo) nella parte in cui «non prevedono, in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su un terreno sul quale sia stato costruito un immobile abusivo, gratuitamente acquisito al patrimonio del comune, la permanenza dell’ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario».
3. La decisione della Consulta: incostituzionalità (parziale) dell’art. 7, comma 3°, L. 47/1985 per violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost.
La Corte Costituzionale, investita della questione, ha affrontato anzitutto l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura Generale dello Stato, basata sull’asserita incompatibilità, logica e giuridica, fra il titolo originario dell’acquisto da parte dell’ente comunale e la possibile permanenza delle garanzie reali sul bene oggetto di acquisto [9], ritenendola infondata. Al riguardo la Corte ha rilevato come la sorte di un diritto reale minore (quale è la garanzia ipotecaria) non sia, di per sé, pregiudicata dalla natura originaria dell’acquisto, dipendendo essa piuttosto dalla funzione del diritto reale e da come viene regolamentato dal legislatore.
Sempre in via preliminare di rito ha rilevato poi che, benché oggetto di censura fossero due norme (i.e., l’art. 7, comma 3°, L. 47/1985 e l’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001, di identico tenore) solo la prima era applicabile alla fattispecie.
Ciò chiarito, riveliamo subito che la Corte Costituzionale ha considerato fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3°, L. 47/1985 sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 Cost. (è rimasta invece assorbita la censura concernente l’art. 117, comma 1°, Cost.)
Anticipate così le statuizioni della Corte, ciò che più rileva è il percorso argomentativo seguito dalla stessa per giungere alla propria decisione, che può essere riassunto come di seguito.
Anzitutto il Collegio giudicante ha ricordato che la norma censurata si colloca nel quadro di una disciplina che regola le conseguenze di violazioni gravi della normativa urbanistico-edilizia (e cioè, la realizzazione di opere in assenza di concessione, in totale difformità della medesima, ovvero con variazioni essenziali [10]). In siffatte ipotesi, la richiamata normativa urbanistico-edilizia prevede che l’ente comunale provveda direttamente alla demolizione dell’abuso e al ripristino dello stato dei luoghi, a spese del responsabile [11], o ingiunga a quest’ultimo di demolire l’abuso (l’ingiunzione, per precisione, è rivolta sia al responsabile dell’abuso, sia al proprietario dell’immobile) [12]. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto al patrimonio comunale [13].
La Cassazione, fin dal 2006, ha interpretato questa norma inquadrando la confisca tra gli acquisti a titolo originario della proprietà [14]. Da tale qualificazione (e in assenza di una previsione di legge che specificasse la sorte dei diritti reali minori) il diritto vivente ha dedotto che eventuali diritti reali minori (quale è l’ipoteca) venissero caducati unitamente al precedente diritto dominicale, senza che potesse assumere rilevanza l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione.
Conseguenza di tale convincimento era però il fatto che le norme sull’ipoteca venivano rese praticamente irrilevanti, nonostante dette norme di regola attribuiscano al creditore ipotecario il diritto di sequela sul bene e il diritto di essere soddisfatto con preferenza in sede espropriativa [15].
La Corte Costituzionale si è interrogata quindi, in primo luogo, sulla ragionevolezza di tale conseguenza (l’estinzione del diritto reale di garanzia) per il creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio. Per fare ciò essa ha riflettuto sulla funzione che la confisca edilizia svolge, rilevando come la finalità della confisca edilizia sia – secondo quanto già in precedenza affermato dalla Suprema Corte [16] – afflittiva, in quanto l’acquisizione ex lege da parte del Comune integra una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi prima esegue un’opera abusiva e poi non adempie all’obbligo di demolirla.
Alla luce di tale funzione (afflittiva abbiamo detto) della confisca, la Consulta ha ravvisato la palese irragionevolezza di una disciplina che determina l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito del soggetto (creditore ipotecario) che non sia responsabile dell’abuso. Ragionando diversamente, e cioè ritenendo ragionevole la disciplina sopra richiamata, si finirebbe per giustificare l’applicazione al creditore pignoratizio di conseguenze sanzionatorie di un illecito al quale è del tutto estraneo perché, se non è responsabile dell’abuso non può essere destinatario dell’ordine di demolizione al quale, per definizione, non può ottemperare. Né egli può ritenersi obbligato propter rem alla demolizione, in quanto il suo diritto reale non gli attribuisce né il possesso né la detenzione del bene.
Ciò chiarito, la Corte ha svolto anche in un ulteriore passaggio, affermando che non vi sono ragioni per circoscrivere la tutela del creditore ipotecario al solo caso in cui egli abbia iscritto ipoteca sul terreno o sia divenuto cessionario del diritto prima della realizzazione dell’immobile abusivo, ciò in quanto la natura abusiva di un immobile non incide sulle vicende relative al diritto di ipoteca. Sul punto i Giudici delle leggi richiamano diverse disposizioni della L. 47/1985 e del D.P.R. 380/2001 [17] per affermare che la presenza di un abuso edilizio non incide sulla circolazione e sulla tutela del credito ipotecario, le cui facoltà si fanno valere in sede espropriativa, nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia. Posto, quindi, che l’ordinamento giuridico accorda normalmente tutela al creditore che acquista l’ipoteca su un immobile già abusivo, per la Corte non vi è ragione di ritenere che il medesimo creditore ipotecario (che non è responsabile dell’abuso edilizio), debba subire le conseguenze pregiudizievoli della confisca operata dal Comune per effetto di una sanzione inflitta per l’inottemperanza a un ordine di demolizione, al quale altri soggetti dovevano provvedere.
La Corte Costituzionale, in secondo luogo, ha valutato (e ravvisato) la sproporzione tra il sacrificio imposto dalla norma censurata al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio e le conseguenze della sua inerzia.
La Consulta al riguardo ha rilevato che, ammettendo la correttezza della disciplina che determina, in caso di confisca edilizia, l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito del soggetto (creditore ipotecario) che non sia responsabile dell’abuso, detto creditore, per evitare ciò, sarebbe costretto a una continua vigilanza sull’immobile al fine di poter chiedere all’autorità giudiziaria la cessazione di quegli atti del debitore o di terzi che, in quanto idonei a creare i presupposti della confisca edilizia, sarebbero tali da portare all’estinzione della garanzia. Secondo il Collegio giudicante si tratterebbe però di iniziative inesigibili, in quanto il dovere del creditore di tenere una condotta attiva per mitigare il danno non comprende l’esercizio di attività gravose (quali la vigilanza incessante sull’immobile, l’accertamento del carattere abusivo di eventuali manufatti o l’avvio di un’azione giudiziaria) [18]. Né la sproporzione potrebbe essere mitigata dall’esistenza di rimedi per il creditore successivi al perimento del bene (quali l’esecuzione sulla parte residua del terreno oggetto della garanzia reale o la richiesta di altre garanzie reali su altri beni o del risarcimento del danno) che costituiscono forme alternative di tutela ipotetiche e aleatorie, come tali non adeguate.
4. (Segue) L’incostituzionalità (parziale) anche dell’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001 per violazione degli artt. 3, 24, 42 Cost.
Si è detto nel precedente paragrafo che la Corte Costituzionale ha preso in considerazione le (sole) censure poste con riguardo all’art. 7, comma 3°, L. 47/1985, essendo questa la norma applicabile alla fattispecie ratione temporis.
Ciononostante, essa ha poi anche precisato che l’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001 ha un tenore letterale identico a quello dell’art. 7, comma 3°, L. 47/1985, e, quindi, che anche per questa disposizione valgono le medesime motivazioni poste a supporto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3°, L. 47/1985. Da ciò è derivata la conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale (parziale) anche dell’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001 sempre per violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost.
5. Implicazioni pratiche e breve raffronto con la disciplina riguardante la confisca di natura penale
La decisione della Consulta porta con sé risvolti pratici abbastanza evidenti, in quanto la tutela del diritto di ipoteca del creditore risulta rafforzata rispetto al passato.
Alla luce della pronuncia, infatti, anche in presenza dell’acquisizione, mediante confisca edilizia, da parte dell’ente comunale dell’immobile realizzato in violazione della normativa urbanistico-edilizia e che non sia stato demolito, il diritto reale di garanzia, rappresentato dall’ipoteca iscritta dal creditore (estraneo all’abuso) sul fondo sul quale l’immobile è stato costruito, non potrà più essere pregiudicato dalla caducazione automatica conseguente alla caducazione del diritto dominicale. E ciò – si rammenta – non solo nel caso in cui il creditore abbia iscritto ipoteca sul terreno o sia divenuto cessionario del diritto prima della realizzazione dell’immobile abusivo, in quanto la natura abusiva di un immobile non dovrà incidere sul diritto di ipoteca medesimo.
Il creditore, quindi, non sarà costretto a tenere una condotta attiva (mediante vigilanza sull’immobile, accertamento dell’abusività di eventuali manufatti o avvio di giudizi) al fine di poter chiedere all’autorità giudiziaria la cessazione di quegli atti del debitore o di terzi che creerebbero i presupposti della confisca edilizia, in quanto detta confisca non dovrà più comportare l’estinzione della garanzia.
Le implicazioni pratiche che la pronuncia di incostituzionalità determinerà in ambito civile/amministrativo, peraltro, appaiono in linea con quanto in realtà già previsto – anche grazie ad un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni data dalla Corte di Cassazione – in relazione ai provvedimenti ablativi di natura penale, e cioè, tipicamente, le confische di prevenzione ex D.lgs. 159/2011 (c.d. Codice antimafia) e le confische disposte nella fase di cognizione, che, come si intuisce, hanno la finalità ora di prevenire, ora di reprimere la commissione di reati.
Benché, anche in questi casi possa esserci il rischio di un contrasto tra l’interesse del creditore (che solitamente ha iscritto proprio un’ipoteca sul bene oggetto di confisca) e l’interesse pubblico dello Stato, come detto, a evitare la tenuta di una condotta illecita o a reprimerla, è prevista una specifica normativa che, per come interpretata dalla Suprema Corte, si pone a tutela del creditore in buona fede che dimostri di non avere “legami” con detta condotta.
Ora, per quel che riguarda la c.d. confisca di prevenzione ex D.lgs. 159/2011, il creditore vantante un diritto antecedente al sequestro può agire per vedere riconosciuto il proprio credito se ricorrono i presupposti di cui agli artt. 52 e ss. del medesimo decreto, e cioè: (i) l’anteriorità del credito, risultante da atti aventi data certa, rispetto al sequestro, (ii) l’inesistenza di altri beni del debitore sui quali il credito può esercitare la garanzia patrimoniale in misura idonea al soddisfacimento del credito; (iii) la buona fede del creditore e la contestuale assenza di strumentalità del credito all’attività illecita perpetrata dal destinatario del sequestro. Come anticipato, però, rispetto a quest’ultimo requisito, che, se interpretato troppo rigorosamente, rischierebbe di danneggiare i terzi creditori che hanno concesso in buona fede un credito rivelatosi strumentale ad un illecito, anche se essi sono estranei alle condotte tenute del debitore, la Cassazione ha affermato – dando una lettura costituzionalmente orientata della norma – che il creditore è tenuto a dimostra la propria buona fede e, solo se risulti accertata la strumentalità del credito rispetto all’attività illecita, anche l’ignoranza in buona fede del nesso di strumentalità tra credito e attività illecita commessa dal debitore [19].
Con riguardo alle confische di cognizione [20] il discorso è pressoché analogo. Ad esse, infatti, si applica quanto previsto dall’art. 104 bis disp. att. c.p.p., che ha esteso a tutti i casi di confisca il regime di tutela dei diritti del terzo, previsti dal Codice Antimafia, appena sopra descritti [21]. La richiamata disposizione, ai commi 1 bis e 1 quater, prevede infatti che (i) «in caso di sequestro disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, del codice [sequestro preventivo ai fini di confisca] o di confisca ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì, le disposizioni di cui al titolo IV del Libro I del citato decreto legislativo [D.lgs. n. 159/2011, cioè appunto il c.d. Codice Antimafia]» e (ii) «ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall’articolo 240-bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice, si applicano le disposizioni del titolo IV del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159».
[1] Camera di Consiglio del 4 giugno 2024, decisione del 6 giugno 2024, pubblicazione del 3 ottobre 2024.
[2] Presidente Augusto Antonio Barbera; Redattore Emanuela Navarretta.
[3] Procedimento ex art. 374, comma 2°, c.p.c.
[4] Anche sulla scorta dell’insegnamento offerto in tema di confisca urbanistica e tutela dei terzi di buona fede da alcune pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
[5] Cass., Sez VI civ., ordinanza 11 novembre 2021, n. 33570; Cass., Sez. I civ., ordinanza 9 ottobre 2017, n. 23583; Cass., Sez. VI civ. ordinanza 6 ottobre 2017, n. 23453; Cass., Sez. III civ., sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693.
[6] CdS, adunanza plenaria, sentenza 11 ottobre 2023, n. 16; CdS, Sez. VI, sentenza 9 giugno 2020, n. 3697; CdS, Sez. IV, sentenza 16 gennaio 2019, n. 398; Sez. V, sentenza 7 marzo 1997, n. 220.
[7] Si precisa che prima di proporre incidente di costituzionalità la Corte di Cassazione rimettente ha provato a valutare la percorribilità di un’interpretazione adeguatrice delle norme alla Costituzione, sondando due vie interpretative, tuttavia ritenute poi non accessibili. La prima attribuiva al Comune, a titolo di diritto di superficie, il solo manufatto abusivo, qualificando come nuda proprietà il diritto sul terreno (che avrebbe potuto rimanere gravato dall’ipoteca originaria), ma tale ricostruzione risultava smentita dal dato testuale dell’art. 7 della L. 47/1985 e dall’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001. La seconda consentiva al creditore ipotecario di coltivare l’esecuzione forzata con vendita sottoposta a condizione sospensiva rappresentata dalla demolizione dell’immobile abusivo o dalla presentazione di una domanda in sanatoria, ma ciò non pareva superare il tema dell’estinzione dell’ipoteca per effetto dell’acquisto a titolo originario da parte del Comune.
[8] Articolo oggi abrogato dall’art. 136, comma 2°, lett. f), D.P.R. 380/2001 (c.d. T.U. Edilizia), il quale, all’art. 31, comma 3°, prevede una disposizione di identico tenore.
[9] Per completezza si segnala che l’Avvocatura dello Stato ha proposto anche una possibile interpretazione adeguatrice ulteriore rispetto a quelle già sondate dalla Corte di Cassazione, che consideri il titolare di diritti reali di garanzia precedentemente iscritti tra i destinatari dell’ordine di demolizione, cosicché egli risulti tra i soggetti come possono adoperarsi per impugnare l’ordine medesimo o per procedere direttamente alla demolizione dell’immobile abusivo per evitare le conseguenze dell’inottemperanza.
[10] Cfr. artt. 7 e 8, L. 47/1985.
[11] Cfr. artt. 4, commi 1°, 2° e 4°, e 6, L. 47/1985 e oggi artt. 27, comma 2°, e 29, comma 1° D.P.R. 380/2001.
[12] Cfr. art. 7, comma 2°, L. 47/1985 e oggi art. 31, comma 2°, D.P.R. 380/2001.
[13] Art. 7, comma 3°, L. 47/1985 oggi art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001, e cioè le disposizioni oggetto di censura.
[14] Cass., Sez. III civ., 26 gennaio 2006, n. 1693 (ma già prima, in un obiter dictum, Cass., SS.UU. civ., 12 giugno 1999, n. 322). Tale interpretazione ha poi trovato conferma anche nella giurisprudenza relativa all’art. 31, comma 3°, D.P.R. 380/2001: Cass., Sez VI civ., ordinanza 11 novembre 2021, n. 33570; Cass., Sez II civ., ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2194; Cass., Sez. I civ., ordinanza 9 ottobre 2017, n. 23583; Cass., Sez. VI civ. ordinanza 6 ottobre 2017, n. 23453; Cass., Sez. III civ., sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693; CdS, Sez. VI, sentenza 8 marzo 2023, n. 2459; CdS, adunanza plenaria, sentenza 11 ottobre 2023, n. 16; CdS, Sez. VI, sentenza 9 giugno 2020, n. 3697; CdS, Sez. IV, sentenza 16 gennaio 2019, n. 398; Sez. V, sentenza 7 marzo 1997, n. 220.
[15] C.d. ius sequelae, ius distrahendi e ius praelationis; cfr. artt. 2858 ss. c.c.; 2741, comma 1°, c.c.; 2808 c.c. e 510 c.p.c., nonché, in caso di cessione del credito, art. 1263, comma 1°, c.c.
[16] Cfr., a titolo d’esempio, Cass., Sez. III civ., 26 gennaio 2006, n. 1693 e, più di recente, con riguardo alla disciplina prevista dal T.U. Edilizia, anche CdS, Sez. VI, 17 marzo 2023, n. 2769.
[17] Art. 17, comma 1°, secondo periodo, L. 47/1985, abrogato dal T.U. Edilizia e sostituito dall’art. 46, comma 1°, secondo periodo, D.P.R. 380/2001; art. 17, comma 3°, e art. 40, comma 4°, L. 47/1985; art. 46, comma 3°, D.P.R. 380/2001.
[18] Hanno affermato questo principio Cass., Sez. Lavoro, ordinanza 5 agosto 2021, n. 22352; Cass., Sez. I civ., ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3797; Cass., Sez. III civ., ordinanza 5 ottobre 2018, n. 24522; Cass., Sez. Lavoro, sentenza 11 marzo 2016, n. 4865.
[19] Cass., Sez. VI pen., 11 luglio 2023, n. 30153.
[20] Disciplinata dagli articoli 240 ss. c.p. (oltre che da alcune disposizioni specifiche per singole ipotesi di reato) e può essere di tre diverse tipologie: diretta, per equivalente e allargata.
[21] Già applicabile alla confisca allargata dal 2017 in virtù di specifica modifica legislativa all’art. 12 sexies D.L. n. 306/1992 (all’epoca in vigore e successivamente abrogato).