Il tema dei capitali “illegittimamente” detenuti all’estero occupa da tempo le agende del confronto politico nazionale; dopo aver, in più battute, sperimentato la strada dei condoni e dei c.d. scudi fiscali, la procedura di collaborazione volontaria (o voluntary disclosure), introdotta dal Decreto Legge n. 4 del 28 gennaio 2014, sembrerebbe essere l’ultima possibilità di “pentimento” offerta dal Fisco italiano al contribuente (residente in Italia) che abbia violato le norme in tema di monitoraggio fiscale.
L’intervento normativo (che ricalca analoghi provvedimenti adottati negli ultimi anni in altri Paesi, quali Stati Uniti, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna) va analizzato in un contesto globale in cui: (i) il contrasto ai paradisi fiscali ha acquisito carattere di priorità nell’operato dell’OCSE (che il 13 febbraio u.s. ha pubblicato uno standard globale per lo scambio automatico dei dati cui aderiranno, in una prima fase, ben 42 Paesi1) e dell’UE2; (ii) lo scambio di informazioni tra istituzioni e autorità finanziarie ha assunto proporzioni assai ampie (si pensi, da ultimo, alla disciplina FATCA3 e ai relativi accordi intergovernativi); e (iii) molti Stati (tra cui Svizzerae Austria) sembrano dirigersi verso una maggiore trasparenza del sistema bancario.
Coerentemente con l’approccio adottato oltre confine, la procedura di disclosure introdotta dal DL 4/2014 si caratterizza, in particolare, per la spontaneità della dichiarazione per le annualità ancora soggette ad accertamento, entro il termine del 30 settembre 2015.
1. Gli effetti dell’adesione alla procedura su sanzioni e imposte
In via preliminare, giova ricordare che il DL n. 4/2014 si innesta in un quadro già recentemente riformato ad opera della Legge n. 97 del 6 agosto 2013 che, in tema di monitoraggio fiscale, ha ampliato i poteri di indagine dell’Agenzia delle Entrate, riformato il quadro degli adempimenti per operatori e contribuenti e alleggerito l’impianto sanzionatorio per il quale, in sede comunitaria, era stato eccepito il contrasto con il principio di proporzionalità.
Ciò premesso, alla luce della normativa in commento, il contribuente che attiva la procedura di voluntary disclosure può avvalersi di un effetto premiale solo con riferimento alle sanzioni: la procedura si configura, infatti, come una mera riapertura dei termini di compliance (dichiarazione dei redditi, versamento, compilazione Quadro RW), cui consegue la tassazione, in via ordinaria, dei redditi esteri e la riduzione delle sanzioni come contropartita della spontaneità dell’adempimento del contribuente.
Per quanto concerne le sanzioni, in particolare:
– sul piano penale, è esclusa la punibilità per i delitti di omessa e infedele dichiarazione; le pene previste nei casi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante altri artifici sono diminuite fino alla metà;
– sul piano amministrativo, le sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di compilazione del Quadro RW (dal 3 al 15 per cento degli importi non dichiarati; dal 6 al 30 per cento, se gli investimenti all’estero o le attività estere di natura finanziaria sono detenute in Stati o territori a regime fiscale privilegiato) sono ridotte alla metà del minimo edittale se: (i) le attività vengono trasferite in Italia o in Stati membri dell'Unione europea e in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni con l'Italia; (ii) le attività trasferite in Italia o negli Stati citati al punto precedente erano o sono qui detenute; ovvero se (iii) le attività finanziarie sono o erano detenute in Stati diversi da quelli di cui ai punti (i) e (ii), laddove l'autore delle violazioni rilasci all'intermediario finanziario estero presso cui le attività sono detenute un'autorizzazione a trasmettere alle Autorità finanziarie italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria, allegando copia dell’autorizzazione, controfirmata dall'intermediario finanziario estero, alla richiesta di collaborazione volontaria. Negli altri casi, la sanzione irrogata è pari al minimo edittale ridotto di un quarto.
Sugli importi dovuti a titolo di sanzione il contribuente può, poi, avvalersi dell’ulteriore riduzione ad un terzo degli importi indicati nell’avviso di accertamento (tale riduzione dovrebbe, in base al tenore letterale della norma, essere applicabile solo alle sanzioni per omessa compilazione del Quadro RW e infedele dichiarazione e non quindi, alle sanzioni per omesso versamento dell’imposta).
Come anticipato, sul piano delle imposte, invece, la procedura non prevede sconti o forfetizzazioni di alcun tipo. Sul tema, va, tuttavia, dato atto all’Agenzia delle Entrate di aver chiarito, nel “Modello per la richiesta di ammissione alla procedura di collaborazione volontaria”, pubblicato in bozza sul sito istituzionale lo scorso 13 febbraio (e aperte a eventuali osservazioni entro il 15 marzo p.v.) un punto assai controverso, circa le modalità di tassazione dei redditi di natura finanziaria e i connessi profili temporali, fornendo, all’Appendice 5 uno specchietto riepilogativo delle tipologie di reddito e delle rispettive modalità di tassazione, ratione temporis.
In termini pratici, il contribuente deve fornire tutte le informazioni utili a ricostruire la natura dei redditi esteri non dichiarati: laddove possibile, sulla base di una ricostruzione analitica, deve distinguere le diverse tipologie di reddito (per esempio, scindendo la componente di capitale dalla componente di rendimento/ interessi) indicandole nella Sezione III del Modello/Scheda R; contestualmente, il contribuente deve operare una distinzione in base al tipo di tassazione cui tali redditi sarebbero stati assoggettati in Italia, se dichiarati.
Al fine di agevolare la compilazione della suddetta Sezione III, l’Appendice 5 chiarisce, per esempio, che i conti correnti vanno assoggettati ad una aliquota del 27% (fino al al 31/12/2011) o del 20% (a decorrere dal 1° gennaio 2012) o che le partecipazioni qualificate italiane vanno assoggettate ad aliquota marginale Irpef e così via.
2. La trasparenza della procedura
La collaborazione volontaria presuppone la totale trasparenza della posizione del richiedente nei confronti del Fisco; a tal riguardo, occorre ricordare che la procedura può essere attivata dai contribuenti destinatari degli obblighi di monitoraggio fiscale, ossia i soggetti indicati nell’art. 4, comma 1, del DL n. 167/1990.
Si tratta, nello specifico di: (i) persone fisiche; (ii) enti non commerciali; (iii) società semplici ed equiparate; (iv) trust.
Profili di criticità potrebbero emergere con riferimento ai trust, recentemente investiti dall’obbligo di compilazione del Quadro RW. La Legge n. 97 del 2013 ha, infatti, esteso l’obbligo di monitoraggio a qualunque titolare effettivo dei beni detenuti all’estero, inclusi i trust c.d. discrezionali.
Circa i trust, la Circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013 ha chiarito che ai fini delle norme sul monitoraggio fiscale, si considerano residenti in Italia, salva prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli white-listed, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Secondo l’Agenzia delle Entrate, si considerano, altresì, residenti in Italia i trust istituiti nei predetti Stati o territori non white-listed quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
Nel caso dei trust, peraltro, il soggetto tenuto alla presentazione della richiesta di adesione alla procedura va individuato sulla base dei seguenti criteri: 1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la richiesta può essere presentata dalla persona fisica o dalle persone fisiche beneficiarie del 25% o più del patrimonio del trust; 2) se i beneficiari non sono stati determinati, la richiesta deve essere presentata dalla categoria di persone nel cui interesse principale è istituito o agisce il trust; 3) negli altri casi, la richiesta deve essere presentata dalla persona fisica o dalle persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio del trust.
Il richiedente deve inoltre indicare nel Modello (Tabella R.6) i collegamenti che ha o che ha avuto con le attività estere rilevanti al termine di ciascun periodo d’imposta, precisando il suo ruolo di: (i) titolare effettivo e intestatario; (ii) titolare effettivo ma non intestatario; (iii) intestatario ma non titolare effettivo; (iv) delegato a operare; o (v) altro (categoria residuale).
Va, ulteriormente, evidenziato che l’autodenuncia potrebbe far emergere violazioni commesse da altri soggetti (ad esempio società) che non possono avvalersi della procedura; ciò è tanto più rilevante laddove si consideri che non esiste alcuna preclusione all’utilizzo degli elementi emersi dalla procedura a favore di altri soggetti riconducibili al contribuente in qualità di dominus (a differenza di quanto previsto dall’art. 13-bis, DL n. 78/2009 nel contesto della più recente procedura di emersione dei capitali esteri).
3. La limitata portata applicativa della procedura
A rimarcare ulteriormente la differenza “ontologica” tra la procedura di voluntary disclosuree i precedenti provvedimenti di c.d. “scudo fiscale”, contribuisce la circostanza che la procedura in commento produce effetti esclusivamente sul piano fiscale ed è finalizzata solo al recupero delle imposte dovute e non versate in relazione ai capitali detenuti all’estero e non dichiarati.
Tale aspetto è stato definitivamente chiarito dal MEF con Circolare n. 8624 del 31 gennaio 2014; questo comporta che l’operazione di disclosure non determina una sanatoria delle ulteriori violazioni in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo e, quindi, non vale, in alcun modo, a qualificare di per sé come lecite le risorse o le attività, oggetto di volontaria emersione, illegalmente detenute o stabilite all’estero.
A ciò si aggiunga che, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 3, del DL 4/2014, l’Agenzia delle Entrate è tenuta a comunicare all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura,
Ne conseguirebbe una veicolazione di informazioni, pressoché automatica, tra autorità fiscale e autorità giudiziaria, a prescindere dalla possibile sussistenza di ipotesi di reato.
Se la norma non sarà oggetto di ulteriori modifiche, questo meccanismo di trasferimento automatico delle informazioni, potrebbe esporre il contribuente al rischio di una indagine assai più ampia sulla sua posizione con rischi sanzionatori non prevedibili, al di là di quelli fiscali espressamente disciplinati.
4. Gli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio
L’art. 1 del DL 4/2014 in commento, non prevede alcuna causa di esclusione dall’obbligo di effettuare la segnalazione di operazioni sospette da parte dei soggetti tenuti agli adempimenti antiriciclaggio.
La citata Circolare del MEF n. 8624 del 31 gennaio 2014, ribadisce che anche ai fini della procedura di voluntary disclosure, restano immutati gli obblighi di verifica della clientela, registrazione e di segnalazione di eventuali operazioni sospette.
Appare ragionevole ipotizzare che i professionisti siano chiamati a prestare a propri clienti una attività consulenza sui costi complessivi della procedura, per stimarne l’impatto in termini di imposte e sanzioni dovute; in questa analisi i professionisti dovrebbero necessariamente esaminare in modo approfondito, una serie di atti e documenti prodotti dal contribuente dai quali potrebbero emergere situazioni penalmente rilevanti. Ebbene, in questi casi, sorgerebbe per i professionisti coinvolti, un obbligo di segnalazione di operazione sospetta ai sensi dell’articolo 41 del D.lgs.n. 231/2001.
Giova rilevare che l’art. 12 del D.Lgs. n. 231/2001 esclude l’obbligo di segnalazione per le informazioni che i professionisti ricevono, nel corso dell’esame della posizione giuridica del cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso. Tuttavia, salvo un successivo chiarimento normativo o di prassi in relazione all’oggetto del mandato professionale, l’attività di consulenza per la procedura di voluntary disclosure non sembrerebbe rientrare, di per sé, nella fattispecie di “assistenza per evitare un procedimento” e potrebbe, pertanto, far sorgere i suddetti obblighi di segnalazione, gravando i professionisti di un rilevante onere in termini di adempimenti e responsabilità.
Conclusioni
Secondo le stime fornite dalla Banca d’Italia, l’ammontare dei capitali italiani irregolarmente detenuti all’estero ammonterebbe a circa 200 miliardi di euro; lo Stato conta di acquisire una fetta di questo importo pari a circa 40 miliardi, con un corrispondente gettito di circa 8 miliardi di euro4.
Tuttavia, l’attuale impianto normativo necessita, a parere di chi scrive, di alcune limature per potersi tradurre in uno strumento realmente appetibile per i contribuenti ed efficace nell’ottica delle previsioni di gettito.
A tal fine, sarebbe auspicabile, da parte dell’Amministrazione finanziaria un ulteriore sforzo di semplificazione della procedura.
Si consideri che in base alle bozze di modelli attualmente disponibili, il contribuente è tenuto a fornire una ricostruzione assai dettagliata dei redditi esteri e delle loro relative movimentazioni; soprattutto per capitali detenuti da molti anni tale ricostruzione potrebbe rivelarsi assai complicata, se non impossibile. Nell’imporre tale onere di produzione documentale si dovrebbe tener conto anche della legislazione vigente negli Stati in cui tali somme sono depositate e delle procedure interne adottate dagli intermediari esteri per la conservazione dei documenti relativi a conti, investimenti, attività finanziarie.
In tale ottica, appare quanto mai severa la previsione introdotta dall’art. 5-septies del DL 167/90 a norma del quale: “Chiunque, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero é punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni”. Innanzitutto, la norma riferendosi a “chiunque”, definisce un ambito soggettivo assai ampio, esponendo potenzialmente anche intermediari finanziari e professionisti incaricati di assistere il contribuente nella procedura a responsabilità assai gravi. Inoltre, vista la oggettiva complessità in cui si può incorrere nella ricostruzione di patrimoni esteri, la fornitura di dati e notizie non corrispondenti al vero può essere anche meramente involontaria.
Va, altresì, rimarcato che il ricorso alla presunzione di evasione, come prevista dall’art. 12 del DL n. 78/2009, appare eccessiva e penalizzante in un contesto di collaborazione, in cui il contribuente potrebbe imbattersi in difficoltà oggettive nella ricostruzione della “storia” dei propri redditi.
A minare l’appetibilità della procedura contribuiscono, altresì, le previsioni in tema di trasferimento delle informazioni all’autorità giudiziaria e segnalazioni ai sensi della normativa antiriciclaggio.
Ulteriori difficoltà possono sorgere con riferimento all’individuazione soggettiva poiché sono assai rari i casi in cui la detenzione dei patrimoni è riferibile ai soggetti che hanno effettivamente violato la normativa sul monitoraggio fiscale (emblematico il caso dei trust).
Da ultimo, giova rilevare che, poiché una quota consistente dei capitali italiani all’estero è detenuta presso istituzioni finanziarie svizzere, gioca un ruolo decisivo ai fini del globale successo dell’operazione per le casse erariali, la sorte degli accordi con la Svizzera sul tema dello scambio di informazioni ai fini fiscali: le ultime notizie riferiscono di un ulteriore slittamento delle negoziazioni bilaterali alla fine del mese di maggio 2014; questo è sicuramente un dato che i contribuenti non trascureranno nel valutare, nei termini piuttosto ampi concessi dalla norma, se e con quali modalità aderire o meno alla procedura.
E’ evidente che il progressivo irrigidimento delle normative internazionali sulla lotta all’evasione e ai paradisi fiscali impongono a tutti gli Stati di ridisegnare l’impianto normativo e sanzionatorio interno: in quest’ottica le autorità comunitarie hanno guardato con favore a tutte quelle misure adottate in molti Paesi, volte a favorire le iniziative volontarie di disclosure da parte dei contribuenti.
Tuttavia, nel piano di azione contro la frode fiscale varato della Commissione UE il 6 dicembre 2012, si pone significativamente l’accento su pratiche dirette a migliorare il rapporto tra Fisco e contribuente, ispirandosi ai principi di fiducia e collaborazione attiva, ambito in cui si colloca anche la normativa sulla voluntary disclosure ex DL n. 4/2014.
1
Si veda, inoltre, il Rapporto OCSE “Offshore Voluntary Disclosure. Comparative Analysis, Guidance and Policy Advice” del settembre 2010, ripreso poi, nell’aprile 2013, dalla c.d. Commissione Greco.
3
Si tratta del Foreign Account Tax Compliance Act, approvato negli U.S.A. con legge federale del 2010, che impone agli istituti finanziari esteri di comunicare all’Internal Revenue Service statunitense informazioni sui conti accesi da soggetti cittadini o residenti statunitensi nelle proprie filiali estere.