L’alluvionale produzione di nuova normativa bancaria che ha seguito lo scoppio della crisi finanziaria è costata ai nostri intermediari non solo un grande sforzo organizzativo di adeguamento, ma soprattutto un’ingente restrizione dei parametri di capitalizzazione cui hanno risposto con un feroce deleveraging (cioè restringendo drammaticamente il credito) e con importanti aumenti di capitale. Dopo questi anni di notizie negative, provenienti dai regulators, si è innescata una sorta di riflesso pavloviano, per cui ogni volta che si profila una novità subito si teme un peggioramento. E per di più, abbiamo avuto ragione di ritenere che questa dinamica restrittiva sia stata configurata (non dico congegnata) in maniera tale da produrre effetti negativi soprattutto per le banche italiane. Suona così come una piacevole sorpresa pensare che i cambiamenti di scenario che si annunciano non saranno solo di segno negativo e forse risulteranno addirittura a favore delle banche italiane rispetto ai concorrenti esteri.
Cominciamo proprio dai requisiti patrimoniali. Già una buona cosa è che l’inasprimento che avrebbe dovuto arrivare con Basilea IV, o se preferite Basilea 3 ½, sembra scongiurato o almeno differito. Certo, non è merito delle autorità italiane né di quelle europee, ma piuttosto di alcuni Paesi emergenti su cui poi Trump avrebbe messo il carico da 90, secondo lo stile che ci stiamo abituando a conoscere. Gli espertoni di Basilea si troveranno un po’ isolati nel loro esercizio di ricalibrazione dei modelli di stima del rischio che si stimava avrebbe portato, guarda caso, un significativo aggravio dei requisiti patrimoniali. Peraltro, le banche italiane, a bocce ferme, potrebbero migliorare il loro grado di capitalizzazione grazie alla diffusione dei sistemi di rating interno, oggi utilizzati solo da 6 maggiori intermediari, e che permettono significativi risparmi nella dotazione patrimoniale. Questo non è esattamente il frutto di una nuova normativa, ma costituisce comunque uno spazio di miglioramento tutt’ora disponibile, con uno sforzo organizzativo non banale ma comunque secondo percorsi ormai sperimentati. A questo si aggiungerà poi l’effetto dell’aumento dello sconto della ponderazione sui prestiti alle piccole e medie imprese, già approvato dalla Commissione e da tradurre in norme nazionali. Questo parametro non è differenziato per Paese, ma diventa importante per noi data la composizione dei prestiti che vede una incidenza più marcata proprio nelle fasce più basse. Lo stesso accadrà per le banche tedesche, dato l’affinità della struttura produttiva fra i due Paesi.
Se questo è lo scenario esterno e squisitamente finanziario, molto può essere fatto anche sul fronte interno e in particolare sulle procedure di recupero dei crediti. Come noto, infatti, il valore di libro delle sofferenze è l’attualizzazione del presunto realizzo alla fine della procedura di escussione. Se questa è lunga e poco efficace il valore del credito è fortemente compromesso. Da tempo il Governo ha annunciato interventi sulla revisione delle procedure concorsuali per accorciare i tempi e aumentare le possibilità di recupero. Ma siamo ancora in fase molto preliminare. Più immediati possono essere gli effetti del cosiddetto patto marciano, cioè la possibilità attribuita alle banche di procedere al recupero del credito anche impossessandosi delle garanzie immobiliari. Che poi devono comunque essere realizzate, per non trasformare la banca in una immobiliare, ma la nuova procedura consente soluzioni di carattere privatistico più celeri ed efficaci.
Tutto questo non basta a prefigurare uno scenario roseo alle nostre banche, perché rimangono tanti problemi ereditati dal passato e un contesto congiunturale ancora molto difficile. Però almeno non si aggiungono altri fardelli e forse qualche morso di allenta. Poco, invero, ma almeno la nuova direzione è incoraggiante.